Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 25-03-2011) 03-05-2011, n. 17192

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1 – A.G. ricorre contro ordinanza del Tribunale di riesame di Caltanissetta, che ha confermato la misura di custodia disposta il 30.11.2010 dal GIP nei suoi confronti per concorso nell’attività criminosa di Cosa Nostra, ai sensi degli artt. 110 e 416 bis c.p., nel mettere a disposizione di esponenti di rilievo della frazione nissena del sodalizio la propria attività imprenditoriale, così da consentire ai suoi membri di inserirsi nel settore delle forniture di bitume, ricevendone in cambio il supporto per l’affidamento di commesse nel territorio di Caltanissetta, dal 2002 sino al marzo 2004.

Secondo l’ordinanza, gli elementi a carico provengono oltre che da numerosi affiliati nisseni, anche da G.A., che dice dell’interessamento di P.B. all’impianto di bitume del ricorrente, riscontrato da un pizzino.

R.P. ha dichiarato di essersi interessato ad A. su richiesta di S.M., che voleva il monopolio delle forniture di bitume a Caltanissetta, ma non riusciva a battere il concorrente. Egli, su consiglio di B.C., per evitare di porsi in contrasto con l’indirizzo dell’associazione, consultava S.A., il capo locale di Cosa Nostra da cui apprendeva che lo stesso si era interessato per l’attribuzione ad A., raccomandato da P., di lavori nella parte nord della provincia e ne era stato ricompensato. Quindi operava un accordo che conciliava le posizioni dei due fornitori di bitume.

B. ha confermato, come pure l’imprenditore edile R. A., altro collaborante, che ha specificato che tuttavia l’ A. non era solito versare il tributo concordato alla famiglia nissena. R. ne era contrariato e, riferisce F., disponeva atti d’intimidazione nei confronti di A. (danneggiamento di mezzi), della cui crisi nel rapporto con la famiglia nissena riferisce M.A., che accompagnava R. in un cantiere del primo.

Secondo il Tribunale tanto non esclude l’accordo di A. con la famiglia nissena, che favorendo lui ed i fratelli S., aveva estromesso dal territorio tutte le altre ditte fin dal 2002, come spiegano R. e Ri., ancorchè R. sapesse che A. lavorava anche per l’Anas, al cui interno aveva appoggi e che si procurava i lavori da solo.

Oltre l’ordinanza rigetta eccezioni, fondate essenzialmente sul contrasto dei riferimenti e le molte allegate denunce di furto o danneggiamento, presentate dai dipendenti del ricorrente. Le denunce non dicono di minacce o estorsioni di cui i versamenti di A. al clan siano frutto. I versamenti sono serviti a rivolgere a proprio profitto la relazione con il sodalizio mafioso (Cass., n. 39042/08 e 46552/05), onde egli risulta un imprenditore colluso.

Ha quindi ritenuto applicabile nella specie la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3.

Il ricorso (Avv. S. Iacona e S. Gugino) deduce: violazione dell’art. 273 (per contraddittorietà – v. R. circa il fatto che l’indagato si procurasse i lavori da solo e che i collaboranti non ne indichino di procurati da Cosa Nostra), mancato esame della testimonianza di I.C.M. imprenditore, vice presidente dell’associazione antiracket di Caltanissetta, prodotta in sede di riesame, esame incompiuto delle dichiarazioni di F. e M., reale "perchè" dell’interessamento di P. sottolineato in note difensive, a fronte del monopolio in cui in effetti agiva l’imprenditore. Indi eccepisce, ex artt. 274 e 275 c.p.p., il travisamento del tempo trascorso (7 anni) circa le esigenze cautelari.

2 – Il ricorso è fondato. L’ordinanza, facendo grazia della concisione, opera una minuziosa analisi per dimostrare insuperato l’assunto dell’accordo del ricorrente con la mafia nissena. Per contro, non prende conto compiuto delle obiezioni documentate della Difesa (v. ricorso), sì da giungere ad una conclusione manifestamente illogica.

E’ indiscussa la premessa che, per riterièrè il concorso ai sensi degli artt. 110 e 416 bis c.p., bisogna dimostrare, per gli effetti evidenti, che il sostenuto concorrente abbia dato contributo volontario rilevante alla vita dell’associazione (S. U. "Carnevale" e "Mannino") e che tanto abbia fatto anche a proprio vantaggio, così come afferma l’imputazione.

Orbene, l’ordinanza afferma che R. si è mosso su richiesta di Sultano, che mirava al monopolio nella zona di Caltanissetta, facendoglielo conseguire con il confinamento nel nord della provincia dell’attività di A., che per sè non temeva concorrenza. Ed A. si è poi procurato i lavori da solo nel territorio confinato. Non s’intende il suo vantaggio.

Il Tribunale bensì afferma A. protetto addirittura da P. e comunque non bisognoso dell’aiuto dell’affiliato nisseno per ottenere lavori. Dà poi conto della reazione di R. al fatto che non pagasse il dovuto, escludendo però che i non pochi fatti denunciati si rapportino allo stesso R.. Orbene, seppure non è stato R. ad operare le minacce ed a cagionare i danni ai cantieri di A., non s’intende come altri, nel territorio di Cosa Nostra, abbiano potuto commetterli, perciò a quale titolo R., che ne aveva già confinato l’attività, senza neanche proteggerlo nè pretenderne il compenso.

Insomma non si ravvisa sotto nessun profilo una contropartita per A., sicchè non si vede perchè è disattesa la tesi difensiva che non abbia aderito ad un "accordo" con Cosa Nostra, ma ne sia stato vittima. L’unica spiegazione possibile è che il Tribunale attribuisca al termine "accordo" una valenza semantica condizionata ad un linguaggio singolare nel territorio nisseno, al di là del senso comune della parola in ogni parte del paese.

Difatti, per quanto un accordo con la mafia sia per sè forzoso ed implichi consecutiva soggezione ed omertà, all’evidenza proprio perchè "accordo" presume una contropartita (v. imputazione). In questa ovvia luce vanno lette le dichiarazioni, prima ancora di verificare se trovi riscontro esterno l’attribuzione specifica, cd. individualizzante, al chiamato.

Nella specie la lettura offerta risulta travisare l’acquiescenza di quello che disegna come persona costretta, un intimato seppur connivente (soggiacendo al sacrificio della sua libertà di concorrenza, ha anche taciuto il reale perchè delle minacce e dei danni subiti, per fatti denunciati dai suoi dipendenti), per chi è concorso nel reato associativo altrui.

Questo rilievo decisivo a sensi dell’art. 273 assorbe la questione delle esigenze cautelari, peraltro superate dall’asserto della Difesa in questa sede (rimessione in libertà del ricorrente). Ma incidentalmente ancora si rileva l’automatismo dell’ordinanza nel dar peso alle parole per se stesse, fuori della realtà. Talune sentenze di questa Corte, difatti, hanno bensì parificato ai sensi dell’ari 275 c.p.p., comma 3 il concorso esterno alla partecipazione all’associazione mafiosa. Ma la differenza tra il vero e proprio status del partecipe, concorrente necessario ed il contributo del concorrente esterno, poggia sul rilievo che il primo implica una scelta di vita d’onde, per diritto vivente, la necessità di espressa dissociazione. Il contributo dell’esterno alla vita associativa si rapporta invece ad un momento storico, di talchè il rilevante tempo trascorso in assenza di sintomi di costanza di rapporti con la mafia non consente di ritenere apoditticamente insuperata la presunzione, salvo intenderla nel caso assoluta, mentre in esso si accentua la sua natura di presunzione semplice.

In conclusione, fermo che i principi si rispettano nella concreta verifica della realtà e sono svuotati da presunzioni astratte, legate alle parole per se stesse, il nuovo esame terrà conto di quanto sopra rilevato, nell’affermare o escludere la gravità degl’indizi.
P.Q.M.

annulla l’impugnata ordinanza con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Caltanissetta. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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