Cons. Stato Sez. VI, Sent., 03-05-2011, n. 2602 Cessione di alloggio popolare ed economico in proprietà

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe appellata, il TAR della Toscana ha respinto il ricorso n. 454 del 2004, proposto avverso la delibera del consiglio regionale della Toscana emessa il 19 giugno 2002, concernente l’approvazione dell’ultima integrazione del programma di cessione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, nella parte relativa alla proposta formulata dall’ATER di Firenze con la delibera n. 130/2002, nonché avverso la stessa delibera dell’ATER, nella parte in cui ha escluso dal piano di alienazione gli immobili situati a Firenze, via Carlo del Prete nn. 324/91 e 106.

In punto di fatto, il TAR ha rilevato che l’atto regionale era stato emesso in esecuzione di quanto stabilito dalla sua precedente sentenza n. 238/2002 (pronunciata in sede di giudizio di ottemperanza alla sentenza n. 770/1998).

Il commissario straordinario dell’ATER di Firenze – con l’atto 27 marzo 2002, n. 130 – ha integrato il piano di alienabilità degli alloggi ERP (ai sensi della legge n. 560/1993), mediante l’inserimento del complesso edilizio di via Carlo del Prete nn. 3, 24, 91 e 106 (composto di 276 alloggi), con la conseguenza che la quota massima alienabile (il 75% di 7.304 alloggi) è stata determinata in 5.478 alloggi, in luogo dei precedenti 5.321.

In applicazione dei criteri tecnicoamministrativi già fissati, l’amministratore straordinario ha individuato – nella quota da alienare in Firenze- alcuni fabbricati realizzati oppure recuperati nel periodo 19841985, primo trimestre solare, e situati in piazza T. Gaddi, nn. 4 -14r e 19r.

Con la successiva delibera 19 giugno 2002, n. 99, il Consiglio Regionale della Toscana, ai applicazione della legge 24 dicembre 1993, n. 560, ha approvato le proposte integrative del programma di cessione degli alloggi ERP presentate dagli enti proprietari, tra le quali all’allegato 5 anche quella formulata dall’ATER di Firenze e relativa, in particolare, ai fabbricati di piazza Gaddi.

Gli originari ricorrenti hanno impugnato tali atti nelle parti in cui essi non hanno inserito nel piano di alienazione anche gli alloggi di via Del Prete, deducendo anche il vizio di violazione del giudicato formatosi sulle sentenze del TAR n. 770/1998 e n. 238/2002.

Secondo tale prospettazione, erroneamente l’ATER di Firenze avrebbe inserito gli alloggi di via Del Prete soltanto nel plafond su cui calcolare la percentuale di immobili da alienare, ma non anche nella quota da vendere (nonostante essi fossero stati costruiti nel 1929).

L’ATER avrebbe infatti illegittimamente tenuto conto del vincolo storico artistico posto sul fabbricato dalla Soprintendenza per i beni ambientali di Firenze, Pistoia e Prato, con l’atto n. 1454 del 1° febbraio 2001 (e cioè in epoca successiva alla notificazione della sentenza n. 770/1998), in contrasto con le statuizioni della sentenza n. 238/2002.

2. Con la sentenza gravata, il Tribunale amministrativo, prescindendo dall’esame dell’eccezione di carenza d’interesse al ricorso formulata dalle amministrazioni intimate, ha respinto il ricorso di primo grado, ritenendo insussistente il vizio di violazione del giudicato.

In particolare, il TAR ha osservato che:

– la sentenza n. 770/1998, nello stabilire che gli immobili in questione, in quanto oggetto di recupero edilizio effettuato con il contributo dello Stato rientravano nella tipologia degli alloggi inseribili nel programma di alienazione previsto dalla legge n. 560/1993, aveva precisato che per gli alloggi in questione gli assegnatari non erano titolari "di un diritto all’acquisto", poiché l’individuazione degli alloggi da inserire nel piano di cessione avveniva attraverso una scelta discrezionale delle amministrazioni proprietarie;

– la successiva sentenza n. 238/2002 resa in sede di giudizio di ottemperanza aveva unicamente dichiarato l’obbligo dell’azienda regionale di adottare i provvedimenti necessari a computare i 276 alloggi in questione "nella base di calcolo" su cui andava computata "la percentuale di alienabilità" prevista dalla legge n. 560/1993, ancorché avesse precisato l’irrilevanza del vincolo artistico imposto successivamente alla notifica della decisione n. 770/1998;

– non vi è stata alcuna violazione del giudicato, poiché, sulla base della delibera del consiglio regionale n. 18/1994, l’individuazione degli alloggi da inserire nel piano di vendita veniva fatta dagli enti proprietari secondo il criterio della "maggiore anzianità di costruzione", in quanto per gli edifici oggetto di interventi di recupero edilizio, anzichè all’anno di costruzione, doveva farsi riferimento a quello di "realizzazione" dell’intervento edilizio di manutenzione e restauro;

– la contestata delibera dell’ATER impugnata (contenente la proposta di integrazione del piano di alienazione alloggi) dava atto che, una volta effettuata l’integrazione del plafond di base su cui calcolare la quota del 75% di alloggi alienabili (e cioè 5.478 alloggi), la loro individuazione doveva avvenire secondo criteri di priorità che si ricollegavano ad un limite di vetustà posto tra il 1984 ed il primo trimestre 1985 e che erano stati stabiliti con delibera ATER 18 ottobre 2000, n. 375, sulla base delle indicazioni disposte dal consiglio regionale con la delibera n. 18/1994;

– per l’area di Firenze città, la delibera impugnata aveva proposto il fabbricato in piazza Gaddi nn. 4 -14r e19r (4 alloggi), la cui vetustà di realizzazione o di recupero risaliva al 1984;

– il complesso immobiliare di via Del Prete, infatti, – come rilevato nella stessa sentenza 770/1998 – era stato oggetto di un lungo intervento di risanamento conservativo che (come precisato dal gestore "C. s.p.a.") era terminato il 30 aprile 1985, con la conseguenza che il fabbricato in questione risultava meno vetusto di quello di piazza Gaddi (individuato dalla delibera dell’ATER n. 130/2002, poi recepita dal consiglio regionale);

– il riferimento alla sottoposizione del fabbricato al vincolo (contenuto nelle premesse della delibera dell’ATER) aveva valore esclusivamente riepilogativo della posizione dell’azienda regionale antecedente alla sentenza n. 238/2002 a cui dava espressa esecuzione, dando atto contestualmente che i fabbricati da alienare sarebbero stati selezionati secondo il criterio della vetustà di realizzazione o di recupero risalente al 1984 ed al primo trimestre 1985, fissata fin dall’ottobre 2000 con la delibera n. 375/2000.

3. Con l’appello in esame, gli originari ricorrenti rimasti soccombenti hanno censurato la sentenza del TAR, chiedendo in sua riforma l’accogglmento del ricorso di primo grado.

Essi hanno dedotto che:

– la sentenza n. 238/2002 ha effettivamente chiarito e precisato l’irrilevanza (al fine di desumerne l’inalienabilità) del vincolo artistico imposto sui predetti immobili successivamente alla notifica della decisione n. 770/1998;

– il TAR non ha però colto la circostanza che l’unica motivazione addotta dall’amministrazione per escludere i predetti immobili si è basata proprio sulla sussistenza del vincolo artistico;

– l’omesso inserimento degli immobili di via Del Prete tra quelli alienabili non è dipesa (come ritenuto dal TAR, così integrando la motivazione degli atti) dalla esistenza di immobili più vetusti, tanto che quelli di via Del Prete non erano stati neppure posti a confronto con quelli asseritamente più vetusti e scelti per l’alienazione (essendosi dato rilievo al vincolo artistico, violando la sentenza n. 238/2002);

– sotto altro profilo, gli immobili di via Del Prete (sebbene interessati da un intervento di ristrutturazione) non erano meno vetusti di quelli prescelti per l’alienazione e risultano esclusi dal "confronto", malgrado nessun atto abbia provato che la loro ristrutturazione era terminata il 30 aprile 1985 (ed anche a considerare provato il ftto che alcuni appartamenti erano stati ristrutturati ben prima di detta data).

Con una articolata memoria datata 16 febbraio 2011, gli appellanti hanno ribadito le proprie censure, facendo presente che gli immobili di via Del Prete risalivano al 1929 e pertanto risultavano più risalenti rispetto a quelli prescelti dall’amministrazione per l’alienazione.

La s.p.a. C. si è costituita, depositando una memoria con la quale ha chiesto la reiezione dell’appello perché infondato, rilevando che il vincolo artistico apposto sugli immobili li rendeva comunque incedibili, privando gli originari ricorrenti dell’interesse al ricorso.

La società ha anche criticato la sentenza di primo grado, che aveva compensato tra le parti le spese di lite, chiedendo che gli appellanti siano condannati al pagamento delle spese del secondo grado di giudizio.

Il Comune di Firenze ha depositato una memoria, richiamando gli effetti preclusivi discendenti dal sopravvenuto vincolo storicoartistico imposto sul complesso immobiliare di via Del Prete, ed ha rilevato che gli immobili in oggetto erano stati destinatari di lavori di ristrutturazione immobiliare del costo di lire 2.098.000.000 nel corso degli anni "80.

Come prescritto dalla delibera della Regione Toscana del 15 gennaio 1994 n. 18, tali lavori hanno quindi sostituito (al fine della determinazione del criterio della maggiore vetustà) la data di costruzione degli immobili con quella relativa al compimento delle opere di ristrutturazione.

Alla pubblica udienza del 22 marzo 2011, l’appello è stato posto in decisione.
Motivi della decisione

1. L’appello è infondato e va respinto.

2. Ritiene il Collegio che la sentenza gravata abbia correttamente interpretato le statuizioni della precedente sentenza n. 238/2002 del TAR per la Toscana (pronunciata in sede di giudizio di ottemperanza alla precedente sentenza n. 770/1998).

L’amministrazione, infatti, ha rispettato pienamente il giudicato, ponendo in essere l’attività prescrittale e tenendo presente la situazione in atto al momento in cui essa ha emanato il provvedimento originariamente annullato (cfr. Consiglio Stato, sez. IV, 28 luglio 2005, n. 4005, in ordine alla legittimità del provvedimento che, in sede di esecuzione del giudicato, si espiri al principio "ora per allora").

L’atto emanato dall’Amministrazione, dopo l’annullamento in sede giurisdizionale di un provvedimento illegittimo, può considerarsi adottato in violazione o elusione del giudicato solo quando da esso deriva un obbligo talmente puntuale che l’ottemperanza si concreta nell’adozione di un atto il cui contenuto è integralmente desumibile nei suoi tratti essenziali dalla sentenza

(Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2010, n. 3223).

2.1. Ciò non è certamente avvenuto nel caso di specie.

La sentenza n. 238/2002 (nell’affermare che l’amministrazione non si era conformata al dictum giurisdizionale scaturente dalla decisione n. 770/1998) aveva con chiarezza affermato che "contrariamente a quanto affermato dall’ATER con la citata nota n. 18205, dell’11 luglio 2001, la circostanza dell’attivazione da parte della Soprintendenza per i Beni Ambientali ed Architettonici di Firenze, Pistoia e Prato, di un procedimento diretto a sottoporre a vincolo il complesso immobiliare di via Carlo del Prete, non assume alcuna rilevanza ostativa all’adozione di provvedimenti diretti a dare esecuzione alle statuizioni contenute nella sentenza n. 770, del 27 agosto 1998, in quanto, indipendentemente dal fatto che il suindicato procedimento non si sarebbe ancora concluso, costituisce principio pacifico in giurisprudenza che l’Amministrazione, in sede di esecuzione del giudicato, deve tenere conto delle sopravvenienze di fatto e di diritto anteriori alla notificazione della sentenza, mentre restano ininfluenti le sopravvenienze ulteriori (cfr. Cons. Stato VI Sez. 10 gennaio 2000 n. 125 e 21 aprile 1999 n. 493)."

Il giudicato di cui alla sentenza n. 770/1998, contrariamente a quanto è stato dedotto dagli appellanti, non ha comportato l’obbligo di sottoporre a vendita gli immobili di via Carlo Del Prete, ma unicamente il dovere (ribadito nella sentenza n. 238/2002) di "provvedere all’adozione degli atti diretti a far rientrare i predetti immobili di via Carlo Del Prete nella base di calcolo su cui va determinata la percentuale di alienabilità prevista dalla L. 24 dicembre 1993, n. 560".

La lettura combinata dei due passaggi motivazionali contenuti nella medesima sentenza n. 238/2002 implica pertanto che l’amministrazione non fosse tenuta a porre in vendita i medesimi immobili.

2.2. La sentenza impugnata si è fatta carico di risolvere l’apparente antinomia (censurata dagli odierni appellanti) riposante nella circostanza che il vincolo storicoartistico predetto è stato (nuovamente) richiamato dall’amministrazione, allorché essa non ha incluso gli stessi alloggi nel piano di alienazione.

Con una motivazione che la Sezione considera esaustiva ed immune da contraddizioni, il TAR ha constatato come tale richiamo non rivestisse portata viziante (e men che meno violativa del giudicato), poiché ha avuto un "valore esclusivamente riepilogativo della posizione dell’azienda regionale antecedente alla sentenza TAR Toscana n. 238/2003…, dando atto contestualmente che i fabbricati da alienare sarebbero stati selezionati secondo il criterio della vetustà di realizzazione o recupero risalente al 1984 ed al primo trimestre 1985, fissata fin dall’ottobre 2000 con la delibera ATER Firenze 375/2000."

2.3. Le censure degli appellanti sul punto non appaiono persuasive.

Per la pacifica giurisprudenza, quando il provvedimento impugnato si basa su distinte ragioni giustificatrici, la sua impugnazione non può essere accolta se anche una sola delle sue ragioni resista alle formulate censure.

Se anche pertanto (il che si nega come meglio si chiarirà di seguito) la sopravvenienza del vincolo fosse stata considerata dall’amministrazione quale circostanza decisiva per negare l’alienabilità degli immobili per cui è causa (il che si sarebbe posto in contrasto col vincolo conformativo scaturente dalla sentenza n. 238/2002), tale elemento non sarebbe comunque decisivo per affermare l’illegittimità dell’azione amministrativa.

3. Nel presente giudizio, ha infatti rilievo decisivo il fatto che l’amministrazione ha basato le proprie determinazioni sul criterio della vetustà di realizzazione o di recupero (nella specie risalente al 1984 ed al primo trimestre 1985), criterio fissato fin dall’ottobre 2000 con la delibera ATER Firenze 375/2000.

Non risultano fondate le censure secondo cui ci si troverebbe in presenza di una (inammissibile) forma di integrazione postuma della motivazione.

La delibera dell’ATER di Firenze n. 375/2000 ha determinato il sopra richiamato criterio selettivo, cui si sono attenute le amministrazioni nel corso del procedimento.

Infatti, la impugnata delibera dell’ATER n. 130 (contenente la proposta di integrazione del piano di alienazione degli alloggi) ha fatto presente, che una volta effettuata l’integrazione del plafond di base su cui calcolare la quota del 75% di quelli alienabili (e cioè 5.478 alloggi), la loro individuazione doveva avvenire secondo criteri di priorità che si ricollegavano ad un limite di vetustà posto tra il 1984 ed il primo trimestre 1985, in quanto stabiliti con la delibera ATER 18 ottobre 2000 n. 375, sulla base delle indicazioni dettate dal consiglio regionale con la delibera n. 18/1994.

Ciò si ricava dal terz’ultimo e penultimo capoverso della prima pagina della citata delibera, laddove l’amministrazione ha fatto presente di volere ottemperare alla sentenza n. 238/2002 "nonostante l’apposizione del vincolo", il che indica chiaramente che il richiamo al vincolo storicoartistico nel frattempo apposto aveva soltanto funzione esplicativa, e non è stato considerato dalla stessa amministrazione quale ostativo all’alienazione.

La con divisibilità del ragionamento del TAR si rinviene anche nella seconda pagina della citata delibera n. 130, laddove, nell’inserire gli alloggi di via Del Prete nel plafond complessivo, si sono inseriti i fabbricati (n. 154 alloggi complessivamente) nel piano di alienazione (si veda lo "specchietto" contenuto nella citata delibera), facendo unicamente riferimento al criterio della vetustà.

Ritiene dunque la Sezione che:

– va escluso che nella specie vi sia stata una "motivazione postumà delle determinazioni delle amministrazioni;

– legittimamente è stato applicato il predeterminato criterio della "maggiore vetustà" (caratterizzato dalla valutazione dell’epoca di originaria edificazione del complesso immobiliare, ovvero da quella delle opere di ristrutturazione medio tempore ivi eseguite);

– tale criterio – oltre che del tutto logico (in quanto la ristrutturazione effettuata con denaro pubblico di certo incide sul valore dell’immobile e consente di qualificarlo anche "di rinnovata fabbrica’) – è stato determinato con un provvedimento non contestato e divenuto inoppugnabile.

4. Con un distinto ordine di censure, gli appellanti hanno contestato in punto di fatto che i lavori di recupero e ristrutturazione di via Del Prete siano effettivamente terminati nell’aprile 1985.

4.1. La doglianza è articolata sotto due profili.

Da un canto, infatti, si afferma che tale circostanza temporale non sarebbe stata provata dall’amministrazione; per altro verso, ed in via logicamente subordinata, si fa riferimento al protrarsi dei lavori manutentivi ristrutturativi e di recupero, deducendo i lavori (per alcuni immobili del compendio immobiliare) sarebbero terminati in data antecedente all’aprile 1985.

Hanno pertanto dedotto gli interessati che l’amministrazione – anche seguendo il criterio della vetustà -avrebbe dovuto porre in vendita le unità immobiliari di via Del Prete, in quanto i loro lavori di ristrutturazione si sarebbero conclusi prima della definitiva conclusione dell’opera di recupero complessivamente considerata.

4.2. Ritiene la Sezione che anche tali deduzioni siano infondate.

Quanto al dedotto spirare dei lavori di ristrutturazione nell’aprile 1985, gli appellanti non hanno fornito alcuna prova obiettiva di quanto affermato, a fronte delle specifiche e formali risultanze documentali sull’andamento dei lavori (concernenti beni pubblici) e sulla loro effettiva conclusione.

Quanto al secondo profilo, si deve attribuire decisivo rilievo alla unitarietà dei lavori manutentivi e di ristrutturazione riguardanti un compendio immobiliare, in relazione ai singoli alloggi e alle parti "comuni’.

Sotto tale aspetto, è del tutto logico in linea di principio considerare i lavori ancora in corso quando essi riguardino una parte dell’edificio, pur essendo terminati in altre parti: a maggior ragione, tale considerazione può riguardare l’applicazione del criterio obiettivo, stabilito per determinare la venustà degli immobili per la determinazione di quelli da inserire nel piano di alienazione.

5. Conclusivamente, l’appello va respinto.

La condanna al pagamento delle spese degli onorari del giudizio segue la soccombenza e gli appellanti vanno condannati – in solido tra loro – al pagamento, in favore delle appellate amministrazioni, in complessivi euro ventimila (Euro 20.000/00), oltre accessori di legge, di cui diecimila in favore della Regione Toscana e diecimila in favore del Comune di Firenze.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 3692 del 2006 come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna – in solido tra loro – gli appellanti al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio, nella misura di complessivi Euro ventimila (Euro 20.000/00), oltre accessori di legge, di cui diecimila in favore della Regione Toscana e diecimila in favore del Comune di Firenze.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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