Cons. Stato Sez. VI, Sent., 03-05-2011, n. 2600 Equo indennizzo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

tato Paola Palmieri;
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe appellata il Tribunale amministrativo regionale della Toscana ha accolto il ricorso n. 406 del 1992, proposto dal signor O. Giuliano -e riassunto dagli eredi di quest’ultimo, signori M. L., S. O., Ro. O., Ro. O.- che aveva chiesto il riconoscimento del proprio diritto alla liquidazione dell’equo indennizzo.

Il Tribunale amministrativo ha preso atto della delibera 24 giugno 1981, con cui la "grave cervicoalgia con discopatia O5O6 e lombalgia recidivante con discopatia L5S1" che attingeva l’Orsini era stata riconosciuta dipendente da causa di servizio ed ha quindi affermato il principio per cui in tema di equo indennizzo – per i dipendenti della (cessata) Azienda autonoma delle ferrovie dello stato – non era applicabile la decadenza – ex art. 38 d.m. 19 dicembre 1958 – per tardiva presentazione della domanda di accertamento della causa di servizio, tenuto conto che solo con la l. n. 564 del 1981 per la prima volta era stato introdotto con efficacia retroattiva tale beneficio in relazione ad infermità riconosciute come dipendenti da cause di servizio.

Il TAR ha conseguentemente dichiarato il diritto degli eredi a percepire l’equo indennizzo per l’infermità già riconosciuta dipendente da causa di servizio, con interessi legali e rivalutazione per il periodo successivo alla liquidazione.

2. L’appellante società ha censurato la predetta sentenza, chiedendo che in sua riforma sia respinto il ricorso di primo grado.

L’appellante ha rilevato che con delibera 24 giugno 1981, n. 187, la patologia che attingeva il dipendente era stata riconosciuta dipendente da causa di servizio e che nella predetta delibera si era fatto presente che tale riconoscimento non avrebbe prodotto effetti ai fini della liquidazione dell’equo indennizzo, in quanto la domanda era stata presentata oltre il termine di sei mesi previsto dall’ art. 38 del d.m. 19 dicembre 1958 n. 2716.

Egli soltanto successivamente aveva presentato la domanda per la liquidazione dell’equo indennizzo, dichiarata inammissibile per tardività, e soltanto nel 1992 era stato adito il Tribunale amministrativo regionale della Toscana.

Ad avviso dell’appellante, ne discendeva che il ricorso di primo grado doveva essere dichiarato inammissibile per omessa tempestiva impugnazione del diniego.

Del pari si sarebbe dovuta dichiarare la decadenza (ex art. 11 della legge n. 564/1981, ovvero ex art. 38 del d.m. 2716 del 1958) dal diritto alla liquidazione dell’equo indennizzo, per tardiva presentazione della domanda di riconoscimento della causa di servizio rispetto al momento in cui la natura e la gravità della malattia erano state conosciute.

Non spetterebbe infine, ai sensi dell’art. 16, comma 6, della legge 30.12.1991 n. 412, il cumulo (erroneamente riconosciuto) di interessi e rivalutazione.

Gli originari ricorrenti in riassunzione hanno depositato un’articolata memoria, chiedendo la reiezione dell’appello, perché infondato.

Alla pubblica udienza del 22 marzo 2011 il ricorso è stato posto in decisione.
Motivi della decisione

1. L’appello è infondato e va respinto, nei termini di cui alla motivazione che segue.

2. Appare, anzitutto, irrilevante la circostanza che, secondo l’appellante, avrebbe dovuto determinare l’inammissibilità del ricorso di primo grado (vale a dire che la richiesta di accertamento del diritto ad ottenere, in via giurisdizionale, l’equo indennizzo, sarebbe preclusa da una determinazione di rigetto -non impugnata- della domanda di concessione e di liquidazione dell’equo indennizzo).

La stessa appellante muove, infatti, dal presupposto che nella specie si controverte della sussistenza di un diritto soggettivo, per cui il suo accertamento non può essere condizionato da precedenti determinazioni della amministrazione, ancorché queste non siano state contestate in termini.

3. La società interessata richiama in dettaglio la normativa vigente (art. 38 d. m. n. 2176/1958; art. 11 della legge n. 564/1971; art. 209 della legge n. 425/1958; art. 68, comma 8, del d.p.r. n. 3 del 1957), per concludere che il diritto all’equo indennizzo era già disciplinato dal richiamato art. 68, comma 8, d.p.r. n. 3/1957, in virtù del disposto dell’art. 209 della legge n. 425/1958.

Sarebbe, quindi, errata la statuizione del TAR secondo la quale il beneficio dell’equo indennizzo sarebbe stato attribuito ai dipendenti delle Ferrovie dello Stato per la prima volta dall’art. 11 della legge n. 564/1981.

Una conferma in tal senso sarebbe desumibile dalla deliberazione delle Azienda delle Ferrovie di riconoscimento della causa di servizio (assunta prima della entrata in vigore della legge n. 564/1981), nella quale si esprimeva l’avviso che tale riconoscimento non poteva avere effetto ai fini della concessione dell’equo indennizzo, prevista dall’art. 68 del d.p.r. 10 gennaio 1957 n.3.

La sanatoria ex art. 11, comma 2, della legge 6 ottobre 1981 n. 564 non sarebbe applicabile alla decadenza ex art. 38 del d.m. n. 2716/1958 per tardiva presentazione della domanda di riconoscimento della causa di servizio, in quanto questo articolo si limita a dichiarare ammissibili le domande di concessione e liquidazione dell’equo indennizzo, senza menzionare le domande di riconoscimento della causa di servizio.

La previsione di cui al terzo comma del citato articolo 11 confermerebbe espressamente che sono espressamente escluse la sanatoria e l’ammissibilità delle domande tardive di riconoscimento della causa di servizio. Inoltre, l’interessato era venuto a conoscenza dell’evento dannoso molto prima della presentazione della domanda (la malattia si era manifestata nel 1979) per cui anche a tale stregua doveva essere rilevata la decadenza dal diritto alla liquidazione dell’equo indennizzo per tardiva presentazione della domanda di concessione.

4. Così riassunte le articolate censure dell’appellante, ritiene la Sezione che esse vadano respinte, perché infondate.

La società appellante ha assimilato due situazioni, la cui distinzione deve essere mantenuta ferma (domanda di riconoscimento di causa di servizio, e domanda di concessione dell’equo indennizzo).

La tardività della domanda di riconoscimento della causa di servizio, nel settore di riferimento dei dipendenti dell’Azienda delle Ferrovie, non è stata sanata dall’art. 11, comma 2, della legge n. 564/1981, che si è riferito unicamente alle domande di concessione e di liquidazione di equo indennizzo, le quali restano ammissibili anche se presentate prima della sua entrata in vigore.

Nella specie, il reiterato richiamo alla domanda di riconoscimento della causa di servizio (presentata in data 31 marzo 1980), fatto dall’appellante per rilevarne la tardività, è irrilevante nella vicenda in esame, che ha per oggetto l’ammissibilità di una domanda di equo indennizzo successiva all’entrata in vigore della legge n. 564 del 1981 (e successiva al riconoscimento della causa di servizio, avvenuto con provvedimento n. 187 del 24 giugno 1981).

Tale domanda di concessione dell’equo indennizzo è ammissibile, perché, secondo un costante orientamento giurisprudenziale, l’art. 11 della legge 6 ottobre 1981, n. 564, ha, per la prima volta, attribuito ai ferrovieri il diritto all’equo indennizzo a seguito dell’infermità contratta per causa di servizio, stabilendo che il beneficio non va riconosciuto solo in relazione alle infermità contratte dopo l’entrata in vigore della legge, ma anche per quelle contratte in epoca antecedente, purché in data successiva al 30 giugno 1956.

In quest’ultima ipotesi (di natura transitoria), la richiesta di equo indennizzo deve essere presentata nel termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge in relazione alle infermità pregresse, ferma restando l’ammissibilità delle domande presentate prima di tale data. All’interessato è, comunque, stata data la possibilità di avvalersi dell’avvenuto riconoscimento della causa di servizio, ovvero di presentare contemporaneamente la richiesta di tale riconoscimento, dal momento che non si è verificata alcuna preclusione in relazione a tale diritto (si veda per tutte, Cass., Sez. Un., sentenza n. 11395 del 19.12.1996).

Il solo termine, introdotto dalla legge 6 ottobre 1981, n. 564 (attributiva del beneficio in questione), è quello semestrale decorrente dalla data della sua entrata in vigore, al fine di estendere il beneficio stesso alle infermità pregresse (purché non anteriori al 30 giugno 1956), per cui la decadenza per tardiva presentazione della domanda di equo indennizzo può essere pronunciata solo in relazione all’unico provvedimento che ha regolato, per la prima volta, il termine per la presentazione di detta domanda, cioè l’art. 4 del d. m. 2 luglio 1983 (il quale riproduce la disciplina fissata per gli impiegati civili dello Stato, secondo cui la domanda del beneficio deve essere presentata entro sei mesi dalla comunicazione del provvedimento che riconosce la causa di servizio, ovvero entro sei mesi dalla data in cui si è verificata la menomazione dell’integrità fisica in conseguenza dell’infermità o della lesione già riconosciuta dipendente da causa di servizio).

Prima dell’emanazione di questo decreto ministeriale, il diritto non era disponibile, e quindi non poteva neppure decorrere il termine di prescrizione (si veda Cass., Sez. Lav., n. 10750 del 2 dicembre 1996; n. 11012 del 3 novembre 1998).

5. Con la seconda censura, l’appellante ha dedotto che la tardività della domanda doveva essere, comunque, pronunciata ex art. 38 del d. m. 2716/1958, il quale prevede il termine di sei mesi per presentare la domanda di riconoscimento della causa di servizio, e tale termine decorre dalla data in cui si è verificato l’evento dannoso o (alternativamente) dalla data in cui il dipendente ha avuto notizia sicura ed esatta della natura della gravità della malattia.

La censura, nell’assimilare ancora le diverse fattispecie del riconoscimento della causa di servizio e della richiesta di liquidazione dell’equo indennizzo, risulta infondata, poiché la delibera del 24 giugno 1981 non ha considerato tardiva l’istanza dell’interessato, perché questi aveva avuto conoscenza sicura della gravità della malattia soltanto dopo il primo manifestarsi della malattia, nel 1979.

La questione della tempestività della domanda di equo indennizzo non può essere confusa con quella (insussistente) della tempestività del riconoscimento della causa di servizio, e va risolta alla stregua proprio della previsione di cui all’art. 11 della legge n. 564/1981, che – si ribadisce – ha introdotto per la prima volta, con efficacia retroattiva, il beneficio dell’equo indennizzo per i ferrovieri in relazione ad infermità riconosciute come dipendenti da cause di servizio.

Per questo, non è applicabile, nella specie, la decadenza ex art. 38 del d. m. 19 dicembre 1958, emanato dal Ministero dei Trasporti ai sensi dell’art. 208 della legge 26 marzo 1958 n. 425, e neppure è pertinente il richiamo all’art. 68, comma 8, del d.p.r. n. 3/1957, che, ad avviso dell’appellante, avrebbe attribuito il beneficio in questione ai ferrovieri (sulla inapplicabilità della decadenza ex art. 38 del d.m. 19 dicembre 1958, Cass. Lav., sentenza n. 878 del 29 gennaio 1997).

6. Risulta infondata anche l’ultima censura, con la quale si sostiene che non poteva essere riconosciuto il cumulo di interessi e rivalutazione, alla stregua dell’art. 16, comma 6, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (l’equo indennizzo sarebbe peraltro già automaticamente rivalutato sulla base dell’art. 15, comma 1, del d. m. 1622/1983).

La appellante deduce, infatti, il contrasto con una normativa che ha un chiaro riferimento a crediti previdenziali, e non a quelli di lavoro (art. 22, comma 36, della legge 23 dicembre 1994 n. 724), quale è il credito avente ad oggetto l’equo indennizzo (si veda, Cassazione civile, sez. lav., 19 aprile 2000, n. 5160; Cass, Sez. Lav., 11 febbraio 1992, n. 1521), per cui, a tale stregua, deve essere confermata la statuizione del primo giudice, senza che possa essere approfondita la questione se il credito di equo indennizzo sia stato o meno automaticamente rivalutato ex art. 15, comma 1, del d.m. 1622/1983, dal momento la questione non viene sviluppata in ricorso, ma solo accennata in aggiunta all’insussistente contrasto con la citata legge n. 412/1991.

6. Per le ragioni che precedono, l’appello va respinto.

La condanna al pagamento delle spese degli onorari del secondo grado del giudizio segue la soccombenza e l’appellante società deve essere pertanto condannata al pagamento delle medesime, in favore degli appellati, in misura che appare congruo determinare, avuto principalmente riguardo alla natura della controversia, in Euro duemila (Euro 2000/00), oltre accessori di legge, se dovuti.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 3586 del 2006 come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese e degli onorari del secondo grado del giudizio, nella misura di Euro duemila (Euro 2000/00), oltre accessori di legge, se dovuti.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *