Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 10-03-2011) 03-05-2011, n. 17210 Scriminanti

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il giudice dell’udienza preliminare presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza del 23 febbraio del 2009, dichiarava non doversi procedere nei confronti di I.V., in ordine al delitto ascrittogli, con la formula "perchè il fatto non costituisce reato".

Al predetto si era addebitato il delitto di cui all’art. 61 c.p., n. 11, artt. 81 cpv. e 609 bis c.p. perchè, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, aveva costretto M.A. a subire atti sessuali consistiti nell’afferrarla per le spalle, immobilizzarla, stringerle il collo e baciarla sulla bocca, palpandola ed accarezzandola in varie parti del corpo contro la volontà della stessa nonchè per avere tentato di avere un rapporto sessuale con la stessa non riuscendo nell’intento per la reazione della donna. Fatto commesso con abuso della relazione professionale in (OMISSIS).

La contestazione ha preso origine dalla denuncia sporta dalla M. il 6.5.2008 ai CC della stazione di Villa Literno nel corso della quale la giovane aveva raccontato che da circa due settimane collaborava, come "volontaria", presso la biblioteca comunale di Villa Literno, della quale era responsabile lo I., amico del padre, e con il quale i rapporti erano sempre stati educati. Il pomeriggio del (OMISSIS), verso le ore 18,00, aveva iniziato il proprio turno trovando lo I. intento a lavorare al computer. Il predetto aveva cominciato a parlarle invitandola a pranzo con una certa insistenza, raccomandandole di non raccontare niente a nessuno e proponendole di recarsi a prenderla direttamente all’uscita dell’università di Napoli. Essa, prima aveva informato lo I. che non v’era nulla di male ad andare a pranzo con colleghi di lavoro e poi, avendo rilevato che la conversazione stava prendendo una piega che non le piaceva, aveva invitato lo I. a riprendere il lavoro. Invece, dopo pochi minuti, l’imputato si era avvicinato e, con veemenza, le aveva afferrato il collo dalle spalle facendo forza con il braccio ed era così riuscito ad immobilizzarla e a baciarla lascivamente sulle labbra con la lingua. In preda al panico, aveva reagito strattonando ed allontanando l’imputato al quale rivolgeva la seguente frase ": sei scemo?" Lo I. aveva replicato dicendo:

"cosa mai è un bacio". La denunciante aveva precisato di aver preso il telefono cellulare ed essere fuggita per raggiungere il suo fidanzato e poi sporgere denuncia. La M. aveva aggiunto che era la prima volta che lo I. aveva manifestato "effusioni sessuali" e che all’episodio non avevano assistito testi oculari.

Nell’immediatezza erano sentiti il fidanzato della M., U. G. ed i genitori della stessa, i quali, sostanzialmente riferivano l’episodio da loro appreso dalla giovane. Sulla scorta di tali elementi, i CC procedevano all’arresto in flagranza dello I..

Acquisite le chiavi della biblioteca, i militari verificavano, sia che v’era ancora il giubbotto lasciato dalla denunciarne nella fuga, sia che la presenza della giovane quel pomeriggio risultava dal registro.

Nell’interrogatorio di garanzia l’imputato ammetteva di avere baciato la M., spiegando che in varie occasioni la giovane gli aveva proposto di offrirle il pranzo e che in un’altra circostanza gli aveva chiesto di scriverle una dedica su un suo biglietto da visita, condotte queste che lo avevano indotto a ritenere che potesse baciarla senza urtare la sua suscettibilità. Spiegava, pertanto, la sua sorpresa nel vedersi allontanare dalla giovane quando l’aveva baciata e precisava che, dopo il rifiuto della ragazza, non aveva insistito nè aveva tentato di trattenerla. Negava sia di averla palpeggiata che di avere tentato di avere un rapporto sessuale.

Il GIP non convalidava l’arresto e rigettava la richiesta di misura cautelare personale ritenendo che non ricorressero gravi indizi di colpevolezza.

Tanto premesso in fatto, il giudice a fondamento del proscioglimento, dopo avere premesso che la valutazione doveva essere limitata alla condotta del bacio, posto che le altre condotte contestate al prevenuto nel capo di imputazione non erano mai state denunciate dalla parte offesa, ha osservato che le dichiarazioni rese dallo I. sia sulle modalità dell’approccio, ossia senza ricorrere alla violenza, sia sulla convinzione del consenso della M., erano assolutamente credibili in ragione del comportamento successivo al rifiuto tenuto dallo stesso imputato, il quale non ha nè tentato un nuovo approccio, nè ha impedito alla giovane di allontanarsi, nè ha rivolto alla stessa minacce o avvertimenti. Ha aggiunto che tale comportamento emergeva, non solo da quanto riferito dallo stesso imputato, ma anche da quanto raccontato agli investigatori dalla denunciate; che la condotta tenuta dall’imputato dopo il bacio rendeva verosimile e credibile che lo stesso non avesse posto in essere alcuna violenza nei confronti della giovane per costringerla a subire il bacio e rendeva plausibile la convinzione in ordine al consenso della vittima. Ha conclusivamente osservato che trattatasi di errore che escludeva la punibilità dello I. non essendo alla sua condotta sotteso il dolo generico inteso come coscienza e volontà di coartare o indurre la vittima a subire un atto sessuale e che non aveva alcun rilievo l’indagine sulla colposità o meno di tale errore non essendo prevista accanto alla violenza sessuale dolosa una corrispondente fattispecie colposa.

Avverso la sentenza ha proposto appello il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Santa Maria Capua Vetere denunciando contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova, posto che la dichiarazione della persona offesa era pienamente credibile e che immotivatamente il giudice aveva escluso la configurabilità del reato.
Motivi della decisione

Il ricorso va accolto.

Anzitutto va precisato che, secondo autorevole dottrina e la giurisprudenza (Cass. 21 gennaio 1982, Maglione RV 152899) non rientrano nella scriminante invocata dal tribunale i casi in cui la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie (artt. 614 o 609 bis c.p.) perchè in tali casi l’errore sul dissenso ossia su un elemento costitutivo della fattispecie spesso si risolve in errore sulla legge penale, che non può essere invocato a norma dell’art. 5 c.p.. Quindi il tribunale per escludere il reato non avrebbe potuto richiamare la possibile sussistenza di un consenso putativo o presunto.

In ogni caso, anche a volere ammettere in questa materia la ricorribilità di un consenso putativo o presunto, si deve trattare comunque di casi in cui si possa ragionevolmente presumere che il titolare del diritto, se avesse potuto, avrebbe espresso il proprio consenso. D’altra parte l’esimente putativa (nella specie consenso dell’avente diritto) può trovare applicazione solo quando sussista un’obiettiva situazione – non creata dallo stesso soggetto attivo del reato – che possa ragionevolmente indurre in errore tale soggetto sull’esistenza delle condizioni fattuali corrispondenti alla configurazione della scriminante.

Nella fattispecie la motivazione del tribunale su tale punto è alquanto lacunosa, in quanto dalle dichiarazioni rese dalla parte offesa non emerge in maniera palese la sussistenza di un possibile errore sul consenso della vittima. Invero la parte lesa, allorchè aveva intuito le intenzioni dello I., lo aveva invitato a pensare al lavoro, come risulta dalla ricostruzione del fatto contenuta nella stessa sentenza. L’invito della ragazza a pensare solo al lavoro non si concilia con l’esistenza di un consenso ancorchè putativo o erroneamente supposto. Gli elementi indicati dal tribunale per giustificare la sussistenza di un consenso reale o putativo non trovano quindi puntuale riscontro nelle dichiarazioni della parte lesa richiamate nella stessa sentenza.

Per le considerazioni dianzi esposte nella fattispecie era doverosa la verifica dibattimentale anche in base alla nuova regola di giudizio introdotta con la L. n. 479 del 1999. Pertanto la sentenza impugnata va annullata con rinvio al tribunale di Santa Maria Capua Vetere per un nuovo esame.

La liquidazione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile va rimessa al giudice del rinvio.
P.Q.M.

La Corte letto l’art. 623 c.p.p. annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere cui demanda la liquidazione delle spese tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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