Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-02-2011) 03-05-2011, n. 17089

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente: E.M. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 11.03.2010 dalla Corte di appello di Bari che aveva confermato la sentenza di condanna emessa in data 24.10.08 dal Tribunale di Foggia – sez. Cerignola – nei confronti del ricorrente, imputato del reato di ricettazione di un assegno bancario di provenienza furtiva; in (OMISSIS).

Nel presente ricorso il ricorrente deduce:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) e).

1)-il ricorrente censura la decisione impugnata per avere disapplicato i criteri dell’art. 192 c.p.p. ritenendo illogicamente sufficienti gli indizi relativi all’identificazione dell’imputato;

-a parere del ricorrente le circostanze: -che la telefonata con la quale si è ordinato l’oggetto sia partita dall’utenza intestata alla madre dell’imputato e: -che l’oggetto ordinato e pagato con l’assegno rubato sia stato consegnato presso l’abitazione dell’ E., non sarebbero elementi sufficienti per attribuire all’imputato la condotta ascritta, in quanto il Tribunale avrebbe illogicamente omesso di considerare che tali condotte potevano essere compiute da altri soggetti coabitanti con l’ E.;

-la motivazione sarebbe illogica anche per avere omesso di fornire la prova che l’ E. abitava proprio nella casa ove è stato con segnato l’oggetto e da cui è partita la telefonata;

2)-la sentenza era anche da censurare per non avere ritenuto l’ipotesi lieve dell’art. 648 c.p., comma 2 e per non avere concesso le attenuanti generiche;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorrente lamenta che la motivazione impugnata sarebbe insufficiente ai fini della dimostrazione della sua penale responsabilità ma trascura di considerare che la sentenza impugnata va letta in coordinamento con quella di primo grado, atteso che, per giurisprudenza costante, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.

(Cassazione penale, sez. 2, 23/06/2009, n. 27158).

Tanto premesso, dalla lettura combinata della sentenza di primo grado e di quella di appello, che richiama la prima, emerge:

-che la telefonata con la quale si è compiuto l’ordine è partita dall’utenza intestata alla madre dell’imputato;

-che autore della telefonata non era l’intestataria perchè il Tribunale riconosce che l’ordinante era un uomo;

-che tale persona si identificava proprio con l’ E. poichè dagli accertamenti di PG – richiamati dal tribunale- era emerso che solo l’imputato abitava a quell’indirizzo, oltre la madre;

-che tale circostanza era ulteriormente avvalorata dal fatto che l’oggetto era stato consegnato ad un uomo e proprio in quel recapito;

-che l’individuo, nel ritirare l’apparecchio, aveva rilasciato un assegno a nome di R.A., corrispondente al nominativo utilizzato dall’autore della telefonata.

Si tratta di una motivazione del tutto congrua, perchè aderente ai fatti di causa e perchè immune da illogicità evidenti;

per converso, le deduzioni difensive si risolvono in valutazioni alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre.

Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007. n. 12255.

Il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle prove che risultano vagliate dalla Corte di appello, con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

Parimenti infondati appaiono i motivi relativi al trattamento sanzionatorio, atteso che la sentenza impugnata ha ben motivato sulle ragioni ostative al riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 648 c.p., comma 11 ed ha fatto buon uso dei criteri di cui all’art. 133 c.p., ritenuti sufficienti dalla Giurisprudenza di legittimità, per la congrua motivazione in termini di giudizio di comparazione delle attenuanti generiche;

invero, riguardo all’attenuante del fatto di lieve entità si è congruamente sottolineato che il valore economico dell’assegno era tale da escludere il fatto di particolare tenuità, motivazione pienamente conforme ai principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità, che ha stabilito come per tale attenuante occorre che il fatto, valutato nel suo insieme e quindi anche con riferimento al valore del bene, presenti quelle connotazioni di modestia che consentono di qualificare il reato come ipotesi di particolare tenuità (Cassazione penale sez. 2 15 gennaio 2008. n. 5992). e, riguardo alle attenuanti generiche se ne è esclusa la prevalenza sulla recidiva attesa la personalità dell’imputato, proclive al delitto, per come emergeva dal certificato penale.

Va ricordato che, ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio ovvero il giudizio di prevalenza sulle aggravanti contestate, e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato e alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Ciò vale, "a fortiori", anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante, non è tenuto a un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.

(Cassazione penale, sez. 4. 04 luglio 2006. n. 32290.

Consegue il rigetto del ricorso.

Ai sensi degli art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. il rigetto o la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla parte privata comportano la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese del procedimento. Cassazione penale, sez. 6, 03 giugno 1994.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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