Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-02-2011) 03-05-2011, n. 17088 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente:

A.C. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 14.05.2010 dalla Corte di appello di Torino che aveva riformato la sentenza di condanna emessa in data 20.05.09 dal Tribunale di Aosta nei confronti del ricorrente, imputato di concorso con D.A.L. (giudicato separatamente) per;

-A) il reato di usura continuata, ex artt. 81 cpv. e 644 c.p., in danno di D.M.P.;

-B) del reato di violenza privata, ex art. 610 c.p., in danno della predetta D.M.P.;

In (OMISSIS);

Il Tribunale aveva ritenuto la penale responsabilità dell’imputato per i reati suddetti e lo aveva condannato alla pena di anni 1 mesi 6 di reclusione ed Euro 4.500 di multa per il reato al capo A) ed alla pena di anni 1 mesi 6 di reclusione per il reato al capo B) e così alla pena complessiva di anni 3 di reclusione ed Euro 4.500 di multa;

La Corte di appello di Torino, investita del gravame, in riforma della sentenza di primo grado, riqualificava entrambi i fatti ascritti ai capi A) e B) come tentativo di estorsione ai danni della predetta parte offesa, ex artt. 56-629 cp. e, per l’effetto, rideterminava la pena in quella di anni 2, mesi 6 di reclusione ed Euro 600 di multa;

Nel presente ricorso si deduce:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e).

1) – il ricorrente censura la decisione impugnata per violazione degli artt. 597, 604, 521 e 522 c.p.p.;

-la sentenza impugnata avrebbe ritenuto che le minacce contestate all’imputato al capo B) come violenza privata fossero finalizzate al recupero delle somme oggetto delle pattuizioni usurarie contestate nel capo A), così da integrare l’ipotesi del tentativo di estorsione;

tale rivalutazione dei fatti era operò erronea ed illogica, sia perchè il collegamento finalistico tra il primo ed il secondo capo dell’originaria imputazione era un elemento del tutto nuovo e, sia perchè i fatti di cui ai capi A) e B) riguardavano periodi non compatibili tra loro; ne derivava che i fatti, così come ricostruiti dalla Corte di appello integravano un fatto diverso da quello originariamente contestato e ritenuto nella sentenza di primo grado;

2) – ciò era tanto vero che la Corte di appello aveva, per un verso, escluso il concorso del ricorrente A. nelle pattuizioni usurarie contestate al capo A) mentre, per altro verso, aveva illogicamente ritenuto che le minacce contestate al capo B) fossero finalizzate al recupero delle somme oggetto di pattuizioni usurarie;

– la motivazione impugnata era pertanto da censurare, avendo ricomposti i fatti in maniera arbitraria, effettuando commistioni tra le varie condotte che, invece, erano autonome;

-al riguardo, il ricorrente riporta nel ricorso i passaggi dei verbali dibattimentali da cui emergerebbe la mancanza di collegamento tra le due diverse condotte; inoltre, la ricostruzione operata nella sentenza impugnata era da censurare:

-perchè adottata in riforma della sentenza di primo grado, senza un’adeguata motivazione e:

-perchè non avrebbe considerato la carenza degli elementi costitutivi del reato di estorsione, atteso che nessuna somma era stata recuperata dall’ A. e che nei fatti difettava il requisito della violenza e della minaccia;

3)-le fonti di prova su cui poggiava la sentenza, e precisamente le dichiarazioni della parte offesa D.M., erano inattendibili perchè contraddette dal teste G.;

-al riguardo il ricorrente riporta i vari passi dei verbali dibattimentali da cui emergerebbe l’inattendibilità della parte lesa;

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

La censura formulata riguardo all’immutazione del fatto è del tutto priva di fondamento;

invero dalla lettura della motivazione impugnata emerge in maniera chiara che la Corte di appello non ha introdotto nella vicenda dei fatti nuovi o diversi, ma ha fondato il suo convincimento sulle prove raccolte nel giudizio ed esaminate nel contraddittorio del dibattimento come: – alcuni brani dei verbali dibattimentali relativi alla deposizione della D.M., e: – una serie di conversazioni telefoniche (del 27.02.2006 – del 14.03.06); si tratta dunque di elementi probatori sui quali l’imputato ha avuto modo di difendersi sicchè non ricorre il vizio di immutamento del fatto o di mancata correlazione tra l’accusa e la decisione.

Le norme che disciplinano le nuove contestazioni, le modificazioni dell’imputazione e la necessaria correlazione tra essa e la sentenza ( art. 516 e 522 c.p.p.) hanno lo scopo di assicurare il contraddittorio dell’accusa e, quindi, il pieno esercizio del diritto di difesa dell’imputato. Pertanto, devono essere interpretate con riferimento a detto scopo e non possono ritenersi violate da qualsiasi modificazione rispetto all’accusa originaria, ma soltanto nel caso in cui il mutamento pregiudichi la possibilità di difesa dell’imputato, essendo il sistema di garanzia ispirato all’esigenza di evitare che l’imputato sia condannato per un "fatto", inteso come episodio della vita umana, rispetto al quale non abbia potuto difendersi. (Cassazione penale, sez. 4, 16 settembre 2008, n. 38819).

Ugualmente infondati sono i motivi dedotti nel merito, per i quali il ricorrente propone interpretazioni alternative delle prove già analizzate in maniera conforme dai giudici di primo e di secondo grado, richiamando una diversa valutazione delle dichiarazioni dei testi che risultano vagliate dalla Corte di appello con una sequenza motivazionale ampia, analitica e coerente con i principi della logica, sicchè non risulta possibile in questa sede procedere ad una rivalutazione di tali elementi probatori senza scadere nel terzo grado di giudizio di merito.

La sentenza impugnata risulta provvista di analitica e congrua motivazione, avendo osservato:

-che le pattuizioni intercorse tra D.A.L. e la parte offesa D.M.P. erano certamente usurarie atteso che prevedevano interessi annui del 30% e del 37% (pag. 4).

-che non vi era la prova che l’imputato avesse partecipato sin dall’inizio all’accordo usurario (pag. 8).

-che, però, a circa un anno dalle stesse, l’ A. aveva cominciato ad effettuare pressioni sulla D.M. perchè restituisse la somma ricevuta in mutuo; (pag. 9.).

-che tali pressioni si erano concretizzate in un comportamento "oggettivamente intimidatorio" che si era spinto sino a prospettare pericoli:

-per la sorella della parte offesa;

-per l’incolumità fisica dei genitori, ed anche del figlio della D. M., tanto che costei, per come confermato anche dal suo datore di lavoro – G.C. – era così spaventata da essere costretta a dimettersi dal posto di lavoro, (pag. 9).

Si tratta di una motivazione in linea con la Giurisprudenza che ha stabilito il principio per il quale, a seguito delle modifiche introdotte dalla L. 7 marzo 1996, n. 108, si deve ritenere che il reato di usura sia annoverabile tra i delitti a "condotta frazionata" o a "consumazione prolungata", sicchè concorre nel reato previsto dall’art. 644 c.p. solo colui il quale, ricevuto l’incarico di recuperare il credito usurario, sia riuscito a ottenerne il pagamento; negli altri casi, l’incaricato risponde del reato di favoreggiamento personale o, nell’ipotesi di violenza o minaccia nei confronti del debitore, di estorsione, posto che il momento consumativo del reato di usura rimane quello originario della pattuizione. (Cassazione penale, sez. 2, 13/10/2005, n. 41045).

La sentenza impugnata risulta pertanto del tutto incensurabile sia sotto il profilo squisitamente giuridico che sotto quello del merito, essendo conforme alla giurisprudenza di legittimità nonchè aderente ai fatti di causa ed immune da illogicità evidenti; per converso, le deduzioni difensive si risolvono in valutazioni alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Cassazione penale, sez. 4, 29 gennaio 2007, n. 12255 Consegue il rigetto del ricorso.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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