Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 10-08-2011, n. 17160 Integrazione salariale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza impugnata la Corte d’appello di Napoli confermava la statuizione di primo grado con cui l’Inps era stato condannato a pagare a G.F. (recte F.) la somma di Euro 126,32 a titolo di differenza per il sussidio per lavori socialmente utili per l’anno 2000, che doveva essere liquidato nella somma di L. 881.092 mensili e non già nella minor somma di L. 870.710 mensili conteggiata dall’Inps. Affermava la Corte territoriale il ricorrente aveva ottenuto decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per detta prestazione riferita all’anno 1999 la somma di L. 870.128, onde la rivalutazione annuale all’80% degli indici Istat per l’anno 2000, doveva essere applicata non già sull’importo di 850.000 mensili, come calcolato dall’Inps, ma sull’importo dell’anno precedente, ossia su L. 870.710, così essendo previsto dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 8. Avverso detta sentenza l’Inps ricorre con un motivo illustrato da memoria e il G. resiste con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo l’Istituto ricorrente denuncia violazione di legge ( art. 2909 c.c., con riferimento al D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8 e L. n. 144 del 1999, art. 45), assumendo che l’accertamento ormai passato in giudicato per l’anno 1999 non poteva essere ritenuto vincolante anche per l’anno 2000, posto che il giudicato formatosi su una prima domanda non può essere invocato in una causa successiva in presenza del mutamento degli elementi del diritto fatto valere; nel caso specifico, infatti, vi era una sostanziale diversità non solo del petitum, ma anche della causa petendi, avendo ad oggetto le domande il pagamento del sussidio relativamente ad annualità diverse.

2. La questione sollevata nel presente giudizio è già stata affrontata, in controversia sostanzialmente analoga, dalla giurisprudenza di questa Corte, che l’ha risolta affermando il principio secondo cui il provvedimento giurisdizionale di merito, anche quando sia passato in giudicato, non è vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i principi di diritto che ne costituiscono il fondamento, cosicchè, quando il giudicato si sia formato per effetto di mancata opposizione a decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma – in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio – non gli è inibito contestarlo per le periodicità successive (cfr, Cass., n. 23918/2010).

E’ stato infatti osservato, con riferimento alla problematica dell’estensione del giudicato esterno, che, come peraltro già chiarito da un precedente arresto della giurisprudenza di legittimità (cfr, Cass., n. 18041/2009), l’efficacia del giudicato esterno non può giungere fino al punto di far ritenere vincolante, nel giudizio avente ad oggetto le medesime questioni di fatto e di diritto, la sentenza definitiva di merito priva di una specifica ratio decidendi, che, cioè, accolga o rigetti la domanda senza spiegare in alcun modo le ragioni della scelta, poichè, pur non essendo formalmente inesistente e nemmeno nulla (coprendo il passaggio in giudicato, quanto alle nullità, il dedotto e il deducibile), essa manca di un supporto argomentativo che possa spiegare effetti oltre i confini della specifica fattispecie;

l’attribuzione di efficacia di giudicato esterno ad una siffatta decisione comporterebbe infatti, in riferimento al giudizio di legittimità, una rinuncia della Corte di cassazione alla propria funzione nomofilattica, dovendo essa subire l’imposizione da parte del giudice di merito di un principio di diritto che non risulta neppure formulato in maniera espressa. Pertanto, qualora, come nel caso di specie, il giudicato sia frutto della mancata opposizione ad un decreto ingiuntivo – la cui motivazione, per la stessa natura sommaria del provvedimento, emesso senza nessun contraddittorio e soggetto all’opposizione dell’ingiunto, è necessariamente succinta – manca un supporto argomentativo che possa spiegare effetti oltre i confini della singola fattispecie, e, di regola, la formulazione espressa di un principio di diritto.

Conseguentemente il giudicato derivato dai decreti non opposti può concernere soltanto l’obbligo dell’Istituto assicuratore di corrispondere per l’anno 1999 quella determinata differenza indicata nei decreti stessi, comprensiva sia della maggiorazione mensile (da L. 800.000 a L. 850.000) introdotta dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 9, sia della rivalutazione Istat prevista dalla L. n. 468 del 1997, art. 8, comma 8, ma, in mancanza di una esplicita motivazione, il giudicato non può estendersi all’esistenza di un diritto degli interessati a percepire (non solo occasionalmente per l’anno 1999, ma sistematicamente, anche per gli anni successivi) tutte e due le voci sopra indicate, quali aggiunte stabili all’assegno per lavori socialmente utili.

Il Collegio condivide le suesposte argomentazioni, ritenendo quindi di dover dare continuità al surricordato orientamento ermeneutico;

il motivo all’esame deve quindi essere accolto e, con esso, il ricorso che sul medesimo di fonda, con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

3. Questa Corte ha già avuto modo di affermare il condiviso principio secondo cui l’assegno mensile base per i lavori socialmente utili, fissato dal D.Lgs. n. 468 del 1997, art. 8, comma 3, in L. 800.000 (attuali Euro 413,17) e rivalutato dal successivo comma 8, con decorrenza dal primo gennaio 1999, nella misura dell’ottanta per cento della variazione annuale ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati, è stato successivamente determinato, dalla L. n. 144 del 1999, art. 45, comma 9, in L. 850.000 mensili, dal primo gennaio 1999, non suscettibili di rivalutazione, D.Lgs. n. 468 del 1997, ex art. 8, comma 8, atteso il palese contrasto di quest’ultima norma con il tenore del richiamato art. 45, comma 9, che fissa in maniera chiara, diretta ed esauriente la misura mensile, per il 1999, dell’assegno in questione; nè, in senso contrario, sono invocabili considerazioni logiche, non essendovi alcuna ragione di rivalutare, per l’anno 1999, un assegno la cui misura, per il medesimo anno, è stata direttamente fissata dal legislatore (cfr, ex plurimis, Cass., n. 10397/2009).

Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la controversia può quindi essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., con il rigetto della domande svolte con i ricorsi introduttivi.

Non è luogo a provvedere sulle spese dell’intero processo, trovando applicazione ratione temporis, stante l’anteriorità dell’introduzione dei giudizi all’entrata in vigore del D.L. n. 269 del 2003, convertito in L. n. 326 del 2003, il disposto dell’art. 152 disp. att. c.p.c. vigente anteriormente a tale novella.
P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta le domande; nulla per le spese dell’intero giudizio.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *