Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-02-2011) 03-05-2011, n. 17086 Falsità materiale in atti pubblici

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

I ricorrenti: M.N. A.F. N.A. venivano giudicati dal Tribunale di Milano e condannati con sentenza del 26.11.2004 perchè ritenuti responsabili, unitamente a: P. C., B.A., F.P. ed altri quattro soggetti, di una serie considerevole di imputazioni per ricettazione di autovetture di provenienza furtiva , ex art. 648 c.p., art. 61 c.p., n. 7 nonchè per una corrispondente serie di reati di falso nelle dichiarazioni di conformità delle medesime autovetture, ex art. 478 c.p. in relazione agli artt. 47 e 48 c.p.; fatti commessi sino all'(OMISSIS);

La Corte di appello di Milano, investita del gravame, con sentenza del 12.02.2010, in parziale riforma, dichiarava non doversi procedere, quanto a Mi.Sa. per morte dell’imputato;

-quanto ai reati di falso perchè estinti per tutti gli imputati per intervenuta prescrizione; – quanto a P.C. per intervenuta prescrizione del reato di ricettazione non aggravata a lui contestato;

riteneva, in sintesi, la responsabilità dei soli N., M., G. ed A. per i residui reati di ricettazione aggravata ex art. 61 c.p., n. 7 e, tenuto conto delle prescrizioni intervenute, rideterminava le pene loro inflitte, come indicato in sentenza.

I predetti M., A. e N., propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado, deducendo:

M.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c).

1) – il ricorrente censura la decisione impugnata per avere ritenuto la responsabilità in ordine al reato di ricettazione omettendo una idonea motivazione sull’elemento soggettivo del reato, non essendo sufficiente valorizzare la circostanza del vincolo di amicizia con il N.;

-la motivazione era da censurare anche per avere dato risalto ad elementi di sospetto quali: – il mero possesso dell’autovettura ovvero: – il rapporto di amicizia con il N., trascurando illogicamente di considerare che mancava ogni prova del coinvolgimento del M. in ordine alla ricettazione, atteso che egli non aveva fornito il certificato di residenza, non era intestatario dell’autovettura e non aveva preso contatti con agenzie;

2) – la sentenza era anche da censurare per avere ritenuto l’aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità sena adeguata motivazione e, soprattutto, senza considerare gli specifici motivi di gravame sollevati nell’appello;

-in particolare, la motivazione non aveva indicato gli elementi da cui desumere il valore rilevante dell’autovettura, ignorando la documentazione offerta dalla difesa, allegava all’uopo copia dello stato giuridico dell’autovettura;

3) – la sentenza era infine da censurare per omessa motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche ; risultava illogico il riferimento ai precedenti penali dell’imputato, atteso la loro risalenza nel tempo;

N.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c).

1) – il ricorrente censura la sentenza impugnata per omessa motivazione riguardo al motivo di appello con il quale era stata dedotta la nullità per difetto di notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare;

al riguardo si lamenta che la notifica non sarebbe avvenuta nel domicilio eletto dall’imputato presso il suo difensore ma sarebbe stata effettuata nella sua abitazione in Bollate, trovata chiusa;

2) – il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere illogicamente quanto superficialmente motivato sui motivi di appello relativi alla identificazione dell’imputato, effettuata in maniera inattendibile dalla teste Ca. su un supporto non adeguato come l’immagine di una fototessera;

la Corte aveva ignorato l’elemento di equivocità costituito dalla somiglianza del N.A. con il fratello V. e dal fatto che l’odierno ricorrente era stato identificato come " E.";

– gli indizi raccolti a carico dell’imputato non erano perciò univoci nè gravi nè precisi;

A.:

MOTIVI ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) c) e).

1) – il ricorrente censura la sentenza impugnata per violazione dell’art. 192 c.p.p. avendo ricavato la responsabilità dell’imputato, per il reato di ricettazione, dalla circostanza del possesso di una Lancia Thema di provenienza furtiva;

-tale circostanza però, di per sè, non era sufficiente per la dimostrazione del reato perchè l’autovettura non era stata oggetto di denuncia di furto e non era stata mai ritrovata ; non era perciò sufficiente il rinvenimento di una sua falsa immatricolazione, nè la circostanza che l’ A. era stato trovato a bordo della predetta auto in occasione di un controllo di polizia;

-la motivazione aveva illogicamente ignorato la circostanza che i militari operanti avevano accertato che quella vettura era in possesso anche di altre persone, quali i fratelli Vi. ed i fratelli Ci.;

-erroneamente la sentenza si era fondata sulle dichiarazioni dei fratelli Vi., da ritenersi inutilizzabili, – sia perchè recepite in un’annotazione di servizio e non in un verbale e – sia perchè i predetti Vi. avrebbero dovuto essere sentiti come indiziati di reato, in ossequio al disposto dell’art. 63 c.p.p., comma 2;

2) – la sentenza era illogica nella parte in cui aveva ritenuto l’aggravante ex art. 61 c.p., n. 7 che invece, era esclusa dalla circostanza che la mancata presentazione della denuncia di furto rendeva manifesto lo scarso valore della vettura;

CON MOTIVI NUOVI veniva eccepita l’estinzione dei reati per intervenuta prescrizione alla luce della normativa più favorevole ex L. n. 251 del 2005;

in subordine al motivo che precede si solleva eccezione di legittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 per contrasto con l’art. 117 Cost., questione che trae spunto dalle sentenze della Corte Costituzionale nn. 348 e 349 del 22-24 ottobre 2007. Con la sentenza n. 393/05 (recte 06) la Corte Costituzionale aveva già affrontato incidenter la forza giuridica che deve essere riconosciuta all’art. 15 del Patto sui diritti civili e politici di New York del 16.12.1966, ratificato e reso esecutivo con L. 25 ottobre 1077, n. 881, patto di natura convenzionale che non rappresenta fonte del diritto internazionale generalmente riconosciuto (diritto internazionale consuetudinario), al quale (solo) deve invece essere attribuita una dignità pari alle norme costituzionali, ai sensi dell’art. 10 Cost.. La citata sentenza n. 393/05 (recte 06) ha richiamato anche l’art. 6, comma 2 del Trattato dell’Unione Europea (sottoscritto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997 e ratificato con L. 18 giugno 1998, n. 209) e sentenze della Corte di Giustizia delle Comunità europee nonchè la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000. Ma la questione viene ora posta con riferimento all’art. 117 Cost. che nel testo vigente dispone che "la potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonchè dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali". Poichè la stessa Corte Costituzionale ha stabilito l’equiparazione della pena più mite con quella della prescrizione più favorevole dalle richiamate norme pattizie di carattere internazionale risulta evidente il contrasto tra la L. n. 251 del 2005, art 10, comma 3 con l’art. 117 Cost., comma 1 in quanto in violazione dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali sopra richiamati.
Motivi della decisione

I ricorrente A.F., a mezzo del Difensore di fiducia, ha sollevato eccezione di legittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 per contrasto con l’art. 117 Cost.. richiamando l’ordinanza di questa sezione 2 n. 22357 emessa in data 27.05.2010 depositata l’11.06.2010 Reg. Ordinanze n. 344 del 2010;

Questo Collegio condivide pienamente l’ordinanza in oggetto che qui espressamente richiama, osservando:

"-1- Con la sentenza n. 393 del 2006 la Corte Costituzionale ha premesso che l’art. 2 c.p., comma 4 deve essere interpretato, ed è stato costantemente interpretato dalla giurisprudenza sia del giudice delle leggi che di quello di legittimità, nel senso che la locuzione "disposizioni più favorevole al reato" si riferisce a tutte quelle norme che apportino modifiche in melius alla disciplina di una fattispecie criminosa, ivi comprese quelle che incidono sulla prescrizione del reato, in coerenza con la sua natura sostanziale e con l’effetto che produce, perchè "il decorso del tempo non si limita ad estinguere l’azione penale, ma elimina la punibilità in sè e per sè, in quanto costituisce una causa di rinuncia totale dello Stato alla potestà punitiva" (Cass. Sez. 1, 8 maggio 1998 n. 7442). Ha quindi precisato che "il regime giuridico riservato alla lex mitior, e segnatamente la sua retroattività, non riceve nell’ordinamento la tutela privilegiata di cui all’art. 25 Cost., comma 2, in quanto la garanzia costituzionale, prevista dalla citata disposizione, concerne soltanto il divieto di applicazione retroattiva della norma incriminatrice, nonchè quella altrimenti più sfavorevole per il reo." Ne ha tratto la conclusione che "eventuali deroghe al principio di retroattività della lex mitior, ai sensi dell’art. 3 Cost., possono essere disposte dalla legge ordinaria quando ricorra una sufficiente ragione giustificativa" ed in questa ottica ha rammentato che il principio di retroattività della lex mitior è stato sancito sia a livello internazionale sia a livello comunitario. In primo luogo l’art. 15, comma 1, del Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici adottato a New York il 16 dicembre 1966, ratificato e reso esecutivo con L 25 ottobre 1977, n. 881, il quale stabilisce che "se, posteriormente alla commissione di un reato, la legge prevede l’applicazione di una pena più lieve, il colpevole deve beneficiarne", "disposizione alla quale si collega la riserva dell’Italia nel senso dell’applicazione limitata ai procedimenti in corso, e non anche a quelli nei quali sia intervenuta una decisione definitiva". Il ricorrente ha correttamente osservato che già questa norma di carattere internazionale, se parametrata non all’art. 3 Cost. ma all’art. 117 Cost., comma 1, rende non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della disciplina transitoria in esame, perchè priva l’imputato, il cui processo sia già pendente in appello o in Cassazione, dell’ottemperanza alla regola cogente, imposta dalla norma pattizia ("deve beneficiarne") per la quale la lex mitior deve essere di immediata applicazione, senza che le deroghe disposte dalla legge ordinaria possano essere giustificate per effetto del bilanciamento con interessi di analogo rilievo. Tale bilanciamento è stato operato dalla sentenza n. 393/2006 sol perchè come parametro è stato assunto quello dell’art. 3 Cost..

Osserva il Collegio che successive pronunce della Corte Costituzionale, da ultimo la sentenza n. 93 dell’8-12 marzo 2010, hanno affermato in maniera costante che "le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) -integrano, quali "norme interposte", il parametro costituzionale espresso dall’art. 117 Cost., comma 1, nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli "obblighi internazionali" (sentenze n. 317 e n. 311 del 2009, n. 39 del 2008)". Ne consegue che "nel caso in cui si profili un eventuale contrasto tra una norma interna e una norma CEDU, il giudice nazionale comune, deve, quindi, preventivamente verificare la praticabilità di una interpretazione della prima conforme alla norma convenzionale, ricorrendo a tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica (sentenza n. 239 del 2009), e, ove tale soluzione risulti impercorribile (non potendo egli disapplicare la norma interna contrastante), deve denunciare la rilevata incompatibilità proponendo questione di legittimità costituzionale in riferimento al parametro dianzi indicato". La Grande Camera della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in seguito al ricorso n. 10249/2003 presentato da S.F., con sentenza del 17 settembre 2009 ha imposto alla Stato italiano di porre fine alla violazione degli artt. 6 e 7 della Convenzione e di assicurare che la pena dell’ergastolo inflitta al ricorrente venisse sostituita con pena non superiore a quella della reclusione di anni trenta.

La CEDU è pervenuta alla citata decisione avendo affermato che l’art. 7 della Convenzione, che stabilisce il principio del divieto di applicazione retroattiva della legge penale, incorpora anche il corollario del diritto dell’accusato al trattamento più lieve. In particolare, per quel che rileva nel presente procedimento, dopo aver rammentato le proprie precedenti pronunce sull’interpretazione dell’art. 7 della Convenzione (par 103), la Corte europea ha stabilito che la sopravvenienza di norme di carattere internazionale e di pronunce applicative e interpretative di esse imponeva un "approccio dinamico ed evolutivo nell’interpretazione dell’art. 7".

Allo scopo richiamava (par. 104) l’art 491 della Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea (cd. Carta di Nizza), la sentenza 3 maggio 2005 della Corte di giustizia delle Comunità europee (sentenza Berlusconi) e lo stesso art. 2 c.p. italiano. Affermava in conseguenza il principio (par. 109) secondo il quale "… l’art. 71 della Convenzione non sancisce solo il principio della irretroattività della legge penale più severa, ma anche, implicitamente, il principio della retroattività della legge penale meno severa" per cui "… se la legge penale in vigore al momento della perpetrazione del reato e le leggi penali posteriori adottate prima della pronuncia di una sentenza definitiva sono diverse, il giudice deve applicare quella le cui disposizioni sono più favorevoli all’imputato".

Risulta evidente il "nuovo" significato attribuito all’art. 7 della Convenzione, integrante "norma interposta", in relazione al parametro costituzionale di cui all’art. 117 Cost..

Il Giudice delle leggi con la citata sentenza n. 93 del 2010, richiamando le sue precedenti sentenze n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007, ha spiegato che la Corte Costituzionale, nel procedere allo scrutinio di sua competenza, "resta legittimata a verificare se la norma della Convenzione … norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione: ipotesi eccezionale nella quale dovrà essere esclusa la idoneità della norma convenzionale a integrare il parametro considerato". Lo scrutinio relativo è sottratto al giudice ordinario.

Nè esso risulta effettuato con la già citata sentenza n. 393 del 2006, laddove il Giudice delle leggi ha osservato che "Il livello di rilevanza dell’interesse preservato dal principio di retroattività della lex mitior – impone di ritenere che il valore da esso tutelato può essere sacrificato da una legge ordinaria solo in favore di interessi di analogo rilievo (quali – a titolo esemplificativo – quelli dell’efficienza del processo, della salvaguardia dei diritti dei soggetti che, in vario modo, sono destinatari della funzione giurisdizionale, e quelli che coinvolgono interessi o esigenze dell’intera collettività nazionale connessi a valore di primario rilievo; cfr. sentenze n. 24 del 2004; n. 10 del 1997, n. 353 e n. 171 del 1996; n. 218 e n. 54 del 1993)". Ciò non tanto perchè il parametro di riferimento è stato l’art. 3 Cost., quanto piuttosto perchè gli elementi assunti come tertium comparationis sono costituiti da "interessi di analogo valore", senza indicazione specifica di "conflitto" con altre norme della Costituzione (ipotesi che la Corte Costituzionale nelle ricordate sentenze definisce "eccezionale" e riserva alla sua competenza, di guisa che non sembra corretta una valutazione interpretativa, da parte del giudice ordinario, di motivazione non esplicita di altra sentenza della Corte Costituzionale)".

-2- La questione, oltre che non manifestamente infondata, è rilevante, perchè il reato per cui si procede ( art 648 c.p. aggravato ex art. 61 c.p., lett. b, n. 7) è punito nel massimo con la pena detentiva di anni 10 mesi 8 di reclusione (pena base art. 648 c.p.: anni 8, aumentata di 1/3 ex art. 61 c.p., n. 7: anni 10 mesi 8), sicchè, mentre secondo la "vecchia" disciplina dell’art. 157 c.p. il termine massimo di prescrizione era di anni 22 ed andava a scadere al 21.08.2012 risalendo la consumazione del reato alla data del 21.08.1990, per converso, con la regola dettata dal "nuovo" art. 157 c.p., la prescrizione massima, con l’aumento di un quarto per il novellato art. 160 c.p., comma 3, è di anni 10, già decorsi.

Esaminando gli altri motivi proposti:

-3- N.:

Il primo motivo sulla nullità conseguente all’irregolare notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare è del tutto generico e pertanto inammissibile;

E’ inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendo gli stessi considerarsi non specifici:

la mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a norma dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c, all’inammissibilità. (Cassazione penale. sez. 3, 19 ottobre 2006, n. 41287). il ricorrente deduce che l’avviso sarebbe stato notificato presso la sua abitazione in (OMISSIS) anzichè presso il domicilio eletto presso il difensore, ma omette di specificare quando e come sia stato eletto tale domicilio; va comunque considerato che, essendosi proceduto alla notifica ex art. 157 c.p.p., si verte in tema di nullità a regime intermedio che andava eccepita alla stessa udienza preliminare;

il ricorrente non ha fornito alcuna indicazione al riguardo e neppure ha precisato se era presente all’udienza, sanando così l’eventuale nullità.

E’ noto il principio per il quale mentre l’omissione della citazione determina una nullità assoluta ed insanabile, rilevabile e deducibile in ogni stato e grado del procedimento, la violazione delle norme di legge stabilite per le notificazioni configura, invece, una nullità a regime intermedio ai sensi dell’art. 180 c.p.p., non più deducibile o rilevabile per la prima volta dopo la conclusione del giudizio di primo grado. (Cassazione penale, sez. 4 01 aprile 2004, n. 36724) Il secondo motivo attiene al merito e, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, la Corte di appello ha adeguatamente motivato riguardo all’identificazione del N. ed alla sua responsabilità osservando:

-che il N. si era recato più volte presso l’Agenzia Trieste di (OMISSIS), producendo false dichiarazioni conformità nonchè falsi atti di vendita al fine di precostituirsi gli elementi per la nuova immatricolazione di ben 13 autovetture, di accertata provenienza furtiva;

-che tale circostanza emergeva dalla testimonianza di Ca.

A. che aveva riconosciuto l’imputato su una fotografia sequestrata al coimputato G.;

-che tale riconoscimento eliminava ogni dubbio sulla sicura identificazione dell’imputato, nonostante la somiglianza con il fratello V. e nonostante che il medesimo si faceva chiamare " E.";

-che l’attendibilità della Ca. era riscontrata dalla circostanza che N.A. era stato anche individuato a bordo di un’autovettura Fiat Uno come già indicato dalla medesima teste.

Si tratta di una motivazione del tutto congrua, perchè aderente ai fatti di causa e perchè immune da illogicità evidenti;

per converso, le deduzioni difensive si risolvono in valutazioni alternative delle prove, inammissibili in questa sede, ove in tema di sindacato del vizio della motivazione, il giudice di legittimità non è chiamato a sovrapporre la propria valutazione a quella compiuta dai giudici di merito in ordine alla affidabilità delle fonti di prova, essendo piuttosto suo compito stabilire – nell’ambito di un controllo da condurre direttamente sul testo del provvedimento impugnato – se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, se ne abbiano fornito una corretta interpretazione, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, in modo da fornire la giustificazione razionale della scelta di determinate conclusioni a preferenza di altre. Cassazione penale, sei. 4, 29 gennaio 2007. n. 12255.

-4- M.:

I motivi sono del tutto infondati.

Quanto al primo motivo si deduce la mancanza di motivazione sulla prova dell’elemento soggettivo del reato, senza considerare che, al contrario, la sentenza impugnata motiva in maniera congrua, sottolineando che, a parte il ruolo preminente del N., il ruolo degli altri imputati era consistito:

-nel fornire il proprio certificato di residenza;

-nel farsi intestare l’autovettura da riciclare;

-nel possesso del veicolo di provenienza illecita;

-in specie, quanto al M., la sentenza ricorda che egli, amico del N., aveva l’uso ed il possesso dell’autovettura di cui al capo di imputazione al capo 5-A) e che la prova della consapevolezza dell’origine delittuosa emergeva dalle circostanze che il veicolo aveva: Ha targa falsa – un telaio alterato – era fittiziamente intestata a D.T.;

-a questo ultimo riguardo la sentenza evidenzia che il pieno coinvolgimento del M. nell’operazione di riciclaggio (reato all’epoca non sussistente – il che giustifica l’imputazione di ricettazione) emergeva altresì dalla circostanza che il D. T. aveva rilasciato procura a vendere al M. che, a sua volta, per affermazione del fratellastro P., l’aveva prestata a quest’ultimo;

si tratta di motivazione congrua ed immune da illogicità perchè la Giurisprudenza ha affermato i principio per il quale la prova dell’elemento soggettivo del reato può essere ricavata da qualunque elemento di fatto giuridicamente apprezzabile che, in base alle regole della comune esperienza, costituisca il segno di una precedente sottrazione illecita del bene. Cassazione penale sez. 2, 13 marzo 2008. n. 13502.

Quanto ai motivi sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, al contrario di quanto sostenuto nel ricorso, la sentenza motiva adeguatamente, richiamando – ai sensi dell’art. 133 c.p. la gravità della condotta ed i precedenti penali riportati.

Quanto all’aggravante ex art. 61 c.p., n. 7, il motivo di omessa motivazione è infondato atteso che la corte, stante la ripetitività delle imputazioni di ricettazione delle autovetture, sottolinea – in relazione alle condotte ascritte al N. – ma con evidente riferimento a tutte le ipotesi di ricettazione aggravata contestate anche agli altri coimputati- che il danno patrimoniale di rilevante gravità derivava dal dato oggettivo che le vetture avevano valore elevato quantificato in "svariate decine di milioni di Lire degli anni 90";

si tratta di una motivazione congrua , per un verso, perchè dai capi di imputazione emergeva che si trattava sempre di auto di grossa cilindrata e, per altro verso, perchè dagli stessi capi di imputazione emergeva che il N. era coinvolto, a titolo di concorso, in tutti gli episodi di ricettazione, sicchè la motivazione a lui relativa era chiaramente estensibile anche agli altri coimputati nelle rispettive con testazioni, rendendo inutile la ripetizione sulla valutazione del valore delle auto.

Anche in questo caso la motivazione è congrua, atteso che ai fini della sussistenza della circostanza aggravante del danno patrimoniale di rilevante gravità ( art. 61 c.p., n. 7), preliminare e decisivo è l’esame dell’oggettiva rilevanza economica del danno, desunta essenzialmente dal livello economico medio della comunità sociale nel momento storico in cui il reato viene commesso, indipendentemente dalla consistenza patrimoniale del danneggiato: principio che vale "a fortiori" in presenza di un valore economico di evidente oggettiva rilevanza. (Affermazione resa in una fattispecie di tentata truffa avente a oggetto la compravendita di un’ autovettura dietro corresponsione di un assegno privo di copertura di importo superiore a 23 mila Euro: la Corte ha ritenuto correttamente ravvisata l’aggravante in ragione dell’importo dell’operazione economica, tra l’altro riferentesi all’anno 2002, di oggettiva rilevanza).

(Cassazione penale, sez. fer., 13/08/2009, n. 33408).

-5- A.:

Al contrario di quanto sostenuto nel motivo di ricorso, la Corte di appello ha chiaramente indicato il percorso logico-motivazionale con il quale è giunta all’affermazione di responsabilità dell’imputato A., evidenziando:

-che l’imputato era stato trovato in possesso dell’autovettura Lancia Thema (capo 1-a) durante un controllo di polizia;

-che tale possesso era stato confermato:

-dalle dichiarazioni rese dai fratelli Vi.;

-dalle notizie trasmesse dai carabinieri del luogo di origine dell’ A.;

-dalla circostanza che lo stesso A. era stato visto in possesso di quell’auto in occasione del matrimonio della sorella del coimputato N.;

-che il N. aveva chiesto una nuova immatricolazione proprio per quella autovettura;

-che l’apparente intestatario, il coimputato R.F., aveva dichiarato di non averla mai acquistata, anche se egli stesso aveva fornito il certificato di residenza servito per la fittizia intestazione;

si tratta di una motivazione congrua e del tutto idonea alla dimostrazione sia dell’elemento oggettivo della materiale disponibilità dell’autovettura vettura ricettata e sia della reale esistenza della medesima, ancorchè non ritrovata in seguito;

le deduzioni difensive relative alla mancata dimostrazione della provenienza delittuosa della vettura trascurano completamente le emergenze del capo di imputazione (capo 1-a) ove viene posto in evidenza che l’origine furtiva della medesima auto rinveniva da dall’avere sia la targa che il numero di telaio falsificati;

Ai fini della configurabilità del reato di riciclaggio non si richiede l’accertamento giudiziale del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè dell’esatta tipologia di esso, essendo sufficiente che sia raggiunta la prova logica della provenienza illecita delle utilità oggetto delle operazioni compiute e ciò "a fortori" nell’ambito del procedimento cautelare in cui è sufficiente la "probatio minor" scaturente dalla valutazione di gravità degli indizi acquisiti. Cassazione penale, sez. 5, 21 maggio 2008 n. 36940.

Nè possono trovare ingresso le censure relative all’inutilizzabilità delle dichiarazioni dei fratelli Vi., dovendosi ricordare che la sanzione di inutilizzabilità "erga omnes" delle dichiarazioni assunte senza garanzie difensive da un soggetto che avrebbe dovuto fin dall’inizio essere sentito in qualità di imputato o persona soggetta alle indagini, postula che a carico dell’interessato siano già acquisiti, prima dell’escussione, indizi non equivoci di reità, come tali conosciuti dall’autorità procedente, non rilevando a tale proposito eventuali sospetti od intuizioni personali dell’interrogante. Cassazione penale sez. un., 23 aprile 2009, n. 23868.

-6- I motivi di ricorso articolati collidono con il precetto dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in quanto trascurano di prendere in considerazione aspetti sostanziali e decisivi della motivazione del provvedimento impugnato, proponendo soluzioni e valutazioni alternative, sicchè sarebbero da ritenersi inammissibili. Tale soluzione è però preclusa dalla rilevata non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale della L. n. 251 del 2005, art. 10 che si pone come pregiudiziale essendo evidente che, ove dovesse dichiararsi l’estinzione per prescrizione dei reati ascritti , la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi verrebbe impedita e superata dalla regola dettata dall’art. 129 c.p.p..

Per l’effetto va dichiarata rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L n. 251 del 2005, art. 10, comma 3 nella parte in cui esclude l’applicazione dei nuovi termini di prescrizione, se più brevi, per "i processi già pendenti in grado di appello o aventi alla Corte di Cassazione", in relazione all’art. 117 Cost. e all’art. 7 della CEDU come interpretato dalla Commissione Europea dei diritti dell’uomo.
P.Q.M.

Dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della L. 5 dicembre 2005, n. 251, art. 10 in relazione all’art. 117 Cost. e sospende il giudizio in corso; ordina che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei ministri e che sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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