Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 17-02-2011) 03-05-2011, n. 17085 Appello

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il ricorrente: B.G. propone ricorso per cassazione avverso la sentenza emessa in data 12.03.2009 dalla Corte di appello di Lecce, sez. distaccata di Tarante, che aveva confermato la sentenza emessa a suo carico dal Tribunale di Tarante in data 09.09.2006, che lo aveva condannato perchè ritenuto responsabile, in concorso con R.A., del reato di estorsione aggravata ai danni di D.V.F. che, attraverso la minaccia della perdita definitiva degli oggetti a lui rubati in precedenza, era stato costretto a versare loro la somma di Euro 200;

Fatti commessi sino al (OMISSIS);

Nel presente ricorso il B. deduce:

MOTIVI: ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) e).

1) – il ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 429 c.p.p., comma 1, lett. f) nonchè dell’art. 601 c.p.p. e lamenta di essere stato impedito a presenziare al giudizio di appello e di esercitare il proprio diritto di difesa, perchè il decreto di citazione a giudizio indicava la data di udienza del 26.09.2009 mentre il processo è iniziato all’udienza del 26.02.09 e si è concluso con la sentenza del 12.03.09;

2) – il ricorrente censura inoltre la sentenza per omessa ed illogica motivazione avendo mancato di indicare il percorso logico giuridico attraverso il quale è giunta all’affermazione della sua responsabilità, essendosi limitata ad una motivazione apparente.

CHIEDE l’annullamento della sentenza impugnata.
Motivi della decisione

Il primo motivo è infondato.

Dall’esame del decreto di citazione al giudizio di appello (allegato al ricorso) emerge che, effettivamente, la data comunicata all’imputato per il giudizio è stata quella del 26.09.2009, successiva a quella di svolgimento del processo, conclusosi con sentenza del 12.03.2009 .

Tanto premesso va osservato tuttavia che non è causa di nullità assoluta del decreto che dispone il giudizio l’errore intervenuto nell’indicazione della data di udienza, allorchè lo stesso sia, per la sua evidenza e macroscopicità, agevolmente riconoscibile e inidoneo a ingenerare equivoco sull’identificazione della data effettivamente fissata per la comparizione. (Cassazione penale, sez. 2, 06/12/2005, n. 47169).

Nella specie soccorrono tali principi atteso che dall’esame dello stesso decreto di citazione emerge che nella parte alta del modulo era indicata la data esatta dell’udienza (26.02.09) ed, inoltre, nella relata di notifica effettuata ai sensi dell’art. 161 c.p.p. al difensore di fiducia, Avv. Enzo Sapia, si precisava ancora una volta che la data dell’udienza era quella esatta del 26.02.09;

ne consegue che l’errore era pienamente riconoscibile perchè la data esatta era comunque indicata in altra parte del modulo di citazione e perchè la data esatta era stata chiaramente indicata nella notifica al difensore, sicchè si deve ritenere che il diritto di difesa è stato ampiamente ed effettivamente garantito, essendovi l’obbligo dell’imputato di conservare i contatti con il difensore di fiducia e viceversa.

Si è ritenuto, infatti, che in tema di restituzione nel termine per impugnare la sentenza contumaciale, ai sensi del disposto di cui all’art. 175 c.p.p., comma 2 come novellato dalla L. n. 60 del 2005 (situazione pienamente assimilabile alla presente), la notificazione presso il difensore di fiducia è del tutto equiparabile, ai fini della conoscenza effettiva dell’atto, alla notifica all’imputato personalmente. Tale equiparazione vale anche per il periodo anteriore alla novella legislativa, poichè anche prima della modifica sussisteva l’obbligo per il difensore di fiducia di fare pervenire al proprio assistito gli atti a lui diretti personalmente, specie nel caso di elezione di domicilio presso il suo studio. (Cassazione penale, sez. 1, 12/12/2007, n. 2432).

In ogni caso, corre l’obbligo di osservare che, al più, si verterebbe nell’ipotesi della nullità di ordine generale a regime intermedio che deve ritenersi sanata quando risulti provato che non ha impedito all’imputato di conoscere l’esistenza dell’atto e di esercitare il diritto di difesa, ed è, comunque, priva di effetti se non dedotta tempestivamente, essendo soggetta alla sanatoria speciale di cui all’art. 184, comma 1, alle sanatorie generali di cui all’ari.

183, alle regole di deducibilità di cui all’art. 182, oltre che ai termini di rilevabilità di cui all’art. 180 c.p.p., (Cassazione penale, Sez. Un., 27/03/2008, n. 19602) sanatorie che, ove necessario, sono comunque intervenute nella specie atteso che la questione non è stata affatto sollevata nel corso del giudizio di appello, nonostante la rituale notifica al difensore. li secondo motivo è inammissibile perchè del tutto generico, in quanto il ricorrente lamenta che la motivazione sarebbe apparente e del tutto inidonea ma si limita all’enunciazione di tale deduzione senza indicare nemmeno uno degli aspetti di apparenza della motivazione che, al contrario, risulta congrua ed analitica, fondata su circostanze di fatto ben precise quali, ad es. il rinvenimento del denaro in casa B. in uno alla medaglia pure sottratta al D. V..

Va ricordato che è inammissibile, per genericità, il motivo di impugnazione con il quale non si esaminano specificamente – per confutarle – le considerazioni svolte da provvedimento impugnato: per l’effetto, deve ritenersi inammissibile, per mancanza della specificità del motivo prescritta dall’art. 581 c.p.p., lett. c), il ricorso per cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza appunto cadere nel vizio di aspecificità che conduce, ex art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità del ricorso. (Cassazione penale sez. 2, 13 ottobre 2009. n. 44038).

La circostanza che il primo motivo di ricorso non sia risultato manifestamente infondato, almeno in astratto, comporta il rigetto del ricorso e l’inammissibilità dello stesso.

Ai sensi dell’art. 592 c.p.p., comma 1, e art. 616 c.p.p. il rigetto o la declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione proposta dalla parte privata comportano la condanna di quest’ultima al pagamento delle spese del procedimento. Cassazione penale, sez. 6, 03 giugno 1994.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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