Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 15-02-2011) 03-05-2011, n. 17064 Accertamento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. – Il G.i.p. del Tribunale di Latina, con provvedimento del 18 ottobre 2010, disponeva il sequestro preventivo, in funzione della confisca per equivalente ex art. 640 quater c.p., delle quote di C.A. e C. nella società A & C di Augusta e Carlo Ciummo s.n.c. e dei beni di proprietà di tale società fino alla concorrenza di Euro 14.430.536,12, somma corrispondente al profitto del reato di cui all’art. 640 c.p. contestati ad C.A. ed ad altri indagati; inoltre, con lo stesso provvedimento venivano sequestrate, ai sensi dell’art. 321 c.p.p., comma 1, per evitare il protrarsi delle conseguenze dannose del reato, le quote della società EGO ECO s.r.l..

Con l’ordinanza del 18 novembre 2010 il Tribunale di Latina ha rigetto le istanze di riesame proposte da C.A. e C., confermando il provvedimento impugnato. In motivazione i giudici hanno precisato che il sequestro nei confronti di C.C. è giustificato perchè lo stesso, pur non essendo indagato, tuttavia è l’intestatario fittizio delle quote, che in realtà sono da riferire direttamente al padre, C.V., questi sì indagato.

2. – A. e C.C. hanno proposto distinti ricorsi per cassazione.

2.1. – Nell’interesse di C.A. il suo difensore ha dedotto, con il primo motivo, la nullità dell’ordinanza per mancanza assoluta di motivazione in ordine alla quantificazione del profitto oggetto di sequestro, avendo il Tribunale confermato il provvedimento cautelare relativo all’intero ammontare delle somme erogate per l’appalto dal Comune di Minturao, senza prendere in considerazione il corrispettivo rappresentato dal servizio comunque espletato per la raccolta dei rifiuti solidi urbani.

Inoltre, viene denunciata l’erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p., in quanto il sequestro preventivo per equivalente sarebbe stato disposto senza il preventivo accertamento, nella sfera giuridico – patrimoniale dell’interessata, dell’esistenza del profitto di reato, omettendo al riguardo ogni motivazione.

2.2. – Nell’interesse di C.C. il suo difensore ha dedotto la nullità dell’ordinanza per mancanza assoluta di motivazione e per erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p., e art. 322 ter c.p., avendo il Tribunale disposto il sequestro nei confronti di un terzo estraneo al reato, peraltro assumendo la fittizia intestazione delle quote societarie sulla base di una ricostruzione che non trova alcuna traccia nel provvedimento genetico.

Inoltre viene denunciata la violazione delle norme sul sequestro preventivo in ordine alla determinazione dell’ammontare del valore dei beni, effettuata sulla base di un errata considerazione della nozione di profitto, che è stato stabilito in relazione all’intero prezzo dell’appalto, senza operare le necessarie detrazioni della parte corrispondente al valore della prestazione lecita eseguita in favore del Comune.

Anche in questo caso, viene dedotta l’erronea applicazione dell’art. 321 c.p.p., in quanto il sequestro preventivo per equivalente sarebbe stato disposto senza il preventivo accertamento, nella sfera giuridico – patrimoniale dell’interessato, dell’esistenza del profitto di reato, omettendo al riguardo ogni motivazione.
Motivi della decisione

3. – E’ fondato il motivo con cui i ricorsi censurano l’ordinanza impugnata in ordine alla quantificazione del profitto.

3.1. – Il Tribunale ha confermato il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente del profitto derivante dal reato di truffa, sottoponendo a provvedimento cautelare reale "il totale delle somme erogate dal Comune di Minturno" per l’appalto relativo al servizio della raccolta dei rifiuti solidi urbani, ritenendo che la mancata risoluzione del contratto a seguito delle gravi inadempienze nell’esecuzione del servizio avrebbe comportato "l’indebita percezione del totale delle somme corrisposte alle quali devono aggiungersi le somme relative alla probabile non corretta applicazione delle sanzioni".

Invero, lo stesso Tribunale ha riconosciuto che la quantificazione effettuata del profitto di diretta derivazione dal reato appare "ancora generica", in quanto difetta "una concreta analisi del contratto di appalto", tuttavia ha ritenuto che "nel prosieguo dell’indagine sarà possibile precisare con esattezza "l’ammontare del sequestro e della successiva confisca". 3.2. – In queste affermazioni risiede il limite del provvedimento impugnato, sotto il duplice profilo della ritenuta possibilità di evitare in sede di riesame la quantificazione del profitto e della stessa valutazione in ordine al profitto da sottoporre a sequestro per equivalente.

In ordine al primo aspetto, si deve rilevare che se la questione in ordine alla quantificazione del profitto da sottoporre a sequestro è oggetto specifico dell’istanza di riesame, il giudice è tenuto ad affrontare la questione posta e a dare in quella sede una risposta adeguata sull’ammontare del sequestro, senza rimettere la decisione ad un successivo ed eventuale accertamento che potrà essere svolto nel corso del processo di merito.

Con riferimento al secondo profilo, si osserva che le Sezioni unite di questa Corte hanno stabilito che il profitto del reato oggetto di confisca si identifica con il vantaggio economico di diretta e immediata derivazione causale dal reato, specificando che, nel caso in cui questo venga consumato nell’ambito di un rapporto sinallagmatico, non può essere considerato tale anche l’utilità eventualmente conseguita dal danneggiato in ragione dell’esecuzione da parte dell’autore del reato delle prestazioni che il contratto gli impone (Sez. un., 27 marzo 2008, n. 26654, Fisia Italimpianti s.p.a.). In particolare, la decisione ha precisato che nella ricostruzione della nozione di profitto oggetto di confisca non può farsi ricorso a parametri valutativi di tipo aziendalistico, ma che in ogni caso tale nozione non può essere dilatata fino a determinare un’irragionevole e sostanziale duplicazione della sanzione nelle ipotesi in cui vi sia stato un adempimento, anche solo parziale, del contratto, che abbia consentito la realizzazione di un’attività i cui risultati economici non possono essere posti in collegamento diretto ed immediato con il reato.

3.2. – Si tratta di principi che sono stati posti con riferimento alla speciale ipotesi di confisca prevista a carico delle persone giuridiche dal D.Lgs. 231 del 2001, art. 19, ma che devono ritenersi applicabili anche ai casi di confisca (e di sequestri a questa funzionali) che riguardino persone fisiche. Nel caso di specie, il Tribunale avrebbe dovuto verificare se oltre all’esistenza di un vantaggio economico derivante direttamente dal reato e che poteva essere oggetto di confisca, non fosse individuabile anche una porzione di incremento economico determinato da una prestazione lecita eseguita in favore del Comune di Minturno nel corso del rapporto contrattuale relativo alla gestione del servizio di rifiuti urbani, che avrebbe rappresentato il profitto non confiscabile, nella misura in cui fosse estraneo all’attività criminosa posta in essere.

Infatti, "il corrispettivo di una prestazione regolarmente eseguita dall’obbligato ed accettata dalla controparte, che ne trae comunque una concreta utilitas, non può costituire una componente del profitto da reato, perchè trova titolo legittimo nella fisiologica dinamica contrattuale e non può ritenersi sine causa o sine iure". 4. – L’avere omesso questo tipo di accertamento, essenziale per la corretta individuazione del profitto confiscabile, determina l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di Latina per una nuova deliberazione che terrà conto di quanto sopra indicato.
P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuova deliberazione al Tribunale di Latina.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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