Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-02-2011) 03-05-2011, n. 17079

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 16 aprile 2010 la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza emessa in data 4 novembre 2008 dal Tribunale di Agrigento con la quale C.P. era stato dichiarato colpevole del reato di ricettazione di 2.272 prodotti industriali (capi di abbigliamento e accessori) di provenienza furtiva, reato accertato in (OMISSIS), ed era stato condannato alla pena di anni due, mesi sei di reclusione ed Euro 800,00 di multa.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, personalmente, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce:

1) l’inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione all’art. 420 ter c.p.p., commi 1 e 5, artt. 178 e 179 c.p.p., art. 548 c.p.p., lett. c) nonchè all’art. 24 Cost., comma 2 e art. 96 c.p.p. avendo la Corte di appello erroneamente disatteso l’eccezione difensiva, formulata con l’atto di appello, relativa al mancato avviso della data del rinvio disposto all’udienza del 14 maggio 2008, per la successiva udienza del 28 maggio 2008, al difensore di fiducia, impedito per legittimo impedimento (malattia), e all’imputato;

2) la violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c) "in relazione all’art. 640 c.p." per inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, in relazione agli artt. 178 e 179 c.p.p., art. 548 c.p.p., n. 3, in conseguenza della mancata comunicazione al difensore dell’estratto contumaciale della sentenza di primo grado ai sensi dell’art. 548 c.p.p.;

3) la violazione della legge penale sostanziale, con riferimento all’art. 648 c.p., in mancanza dell’elemento oggettivo, anche con riferimento al reato presupposto, e dell’elemento soggettivo del delitto di ricettazione;

4) la mancanza di motivazione in punto di responsabilità;

5) l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 530 c.p.p., comma 2, non essendo stata emessa sentenza assolutoria in mancanza di prova quanto meno dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione;

6) l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, in relazione al mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata prevista dall’art. 648 c.p., comma 2;

7) l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli artt. 133 e 163 c.p., per non essere stata la pena determinata nel minimo edittale con conseguente applicazione del beneficio della sospensione condizionale;

8) la violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione dell’indulto ai sensi della L. n. 241 del 2006.

Il ricorso va rigettato.

Il primo motivo è infondato.

Questa Corte ha più volte affermato il principio che al difensore che abbia ottenuto la sospensione o il rinvio della udienza per legittimo impedimento a comparire è dovuto l’avviso della nuova udienza solo quando non ne sia stata già stabilita la data nell’ ordinanza di rinvio poichè, nel caso contrario, l’avviso è validamente recepito, nella forma orale, dal difensore previamente designato in sostituzione, ai sensi dell’art. 97 c.p.p., comma 4, il quale esercita i diritti ed assume i doveri del difensore sostituito, mentre l’imputato dichiarato contumace (come nel caso di specie) non ha diritto ad ulteriori avvisi perchè, essendo validamente rappresentato dal difensore designato in sostituzione, deve considerarsi presente (Cass. Sez. Un. 28 febbraio 2006 n. 8285, Grassia; sez. 5 4 giugno 2008 n. 36643, Sorrentino; sez. 5 11 maggio 2010 n. 26168, Terlizzi). Correttamente, pertanto, nella sentenza impugnata si è affermato che il difensore non può dolersi del mancato adempimento di un avviso non dovuto.

Anche il secondo motivo è infondato.

La motivazione della sentenza di primo grado è stata redatta immediatamente in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 544 c.p.p., comma 1, dal giudice che ne ha dato lettura in udienza dopo il dispositivo, come previsto dall’art. 545 c.p.p., comma 2. Tale forma di pubblicazione equivale, ai sensi dell’art. 545 c.p.p., comma 3 a notificazione della sentenza per le parti che sono o devono considerarsi presenti all’udienza. Nel caso di specie era presente il difensore nominato ex art. 97 c.p.p., comma 4 in sostituzione del difensore di fiducia assente, al quale pertanto non era dovuto alcun avviso. Peraltro l’appello risulta essere stato presentato tempestivamente con atto sottoscritto dall’imputato e depositato dal difensore di fiducia ed anche l’eventuale nullità derivante dal mancato avviso di deposito della sentenza, insussistente nel caso in esame per quanto sopra detto, sarebbe sanata per il raggiungimento dello scopo a norma dell’art. 183 c.p.p. (Cass. sez. 6 19 giugno 1992 n. 10364, Giampaolo; sez. 1 18 ottobre 2007 n. 43665, Dattilo; sez. 1 24 febbraio 2010 n. 10410. Italiano).

Il terzo, il quarto e il quinto motivo sono del tutto generici e, comunque, manifestamente infondati.

Il giudice di merito ha evidenziato che la merce esposta sulla bancarella dell’imputato il (OMISSIS) proveniva dal furto denunciato dal corriere della ditta OVIESSE il (OMISSIS) e che l’imputato non era stato in grado di fornire indicazioni sul suo fornitore nè di esibire documentazione relativa all’acquisto. La Corte territoriale si è pertanto adeguata al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale, ai fini della configurabilità del delitto di ricettazione, è necessaria la consapevolezza della provenienza illecita del bene ricevuto, senza che sia peraltro indispensabile che tale consapevolezza si estenda alla precisa e completa conoscenza delle circostanze di tempo, di modo e di luogo del reato presupposto, potendo anche essere desunta da prove indirette, allorchè siano tali da generare in qualsiasi persona di media levatura intellettuale, e secondo la comune esperienza, la certezza della provenienza illecita di quanto ricevuto. Questa Corte ha più volte, del resto, affermato che la conoscenza della provenienza delittuosa della cosa può desumersi da qualsiasi elemento, anche indiretto, e quindi anche dal comportamento dell’imputato che dimostri la consapevolezza della provenienza illecita della cosa ricettata, ovvero dalla mancata – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Cass. sez. 2 11 giugno 2008 n. 25756, Nardino; sez. 2 27 febbraio 1997 n. 2436, Savie). Nella sentenza impugnata l’assenza di plausibili spiegazioni in ordine alla legittima acquisizione della merce si pone, pertanto, come coerente e necessaria conseguenza di un acquisto illecito.

Il sesto motivo è anch’esso generico e, comunque, manifestamente infondato.

La doglianza è priva di qualunque sviluppo argomentativo e, del resto, il mancato riconoscimento dell’ipotesi attenuata prevista dall’art. 648 c.p., comma 2, espressamente condiviso dal giudice di appello (f. 5 della motivazione della sentenza di appello), non costituiva nemmeno oggetto dell’appello.

Il settimo motivo è manifestamente infondato.

Il giudice di appello ha ritenuto adeguata la pena determinata dal giudice di primo grado valutando i criteri direttivi previsti dall’art. 133 c.p., in particolare la capacità a delinquere dell’imputato desunta dal precedente penale specifico. La particolare rilevanza attribuita a tale elemento negativo non rendeva necessario l’esame dettagliato degli ulteriori elementi indicati dall’art. 133 c.p., rappresentati peraltro solo genericamente nel ricorso. Del resto, allorchè la pena, come nel caso in esame, non si discosti eccessivamente dai minimi edittali, l’obbligo motivazionale previsto dall’art. 125 c.p.p., comma 3 deve ritenersi assolto anche attraverso espressioni che manifestino sinteticamente il giudizio di congruità della pena o richiamino sommariamente i criteri oggettivi e soggettivi enunciati dall’art. 133 c.p. (Cass. sez. 6 12 giugno 2008 n. 35346, Bonarrigo; sez. 3 29 maggio 2007 n. 33773, Ruggieri). Il beneficio della sospensione condizionale è stato correttamente negato, non sussistendone i presupposti di legge.

L’ottavo motivo è infondato.

Quanto alla richiesta di applicazione dell’indulto, è consolidato l’orientamento di questa Corte secondo il quale il problema dell’applicazione dell’indulto può essere sollevato nel giudizio di legittimità soltanto nel caso in cui il giudice di merito lo abbia preso in esame e lo abbia risolto negativamente, escludendo che l’imputato abbia diritto al beneficio, e non, invece, quando abbia omesso di pronunciarsi, riservandone – come nel caso in esame – l’applicazione al giudice dell’esecuzione (Cass. Sez. Un. 3 febbraio 1995 n. 2333, Aversa; sez. 5 13 dicembre 2006 n. 536, Dell’Aquila;

sez. 3 15 novembre 2007 n. 179, Di Donato; sez. 4 14 novembre 2008 n. 15262, Ugolini).

Al rigetto del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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