T.A.R. Lazio Roma Sez. II, Sent., 03-05-2011, n. 3766 Amministrazione Pubblica

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

l verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il Comune di Roma ha bandito una procedura ad evidenza pubblica per la realizzazione di soggiorni estivi per anziani autosufficienti e parzialmente autosufficienti residenti nel proprio territorio per l’anno 2010, da realizzarsi nel periodo 28 giugno – 4 settembre 2010.

La odierna ricorrente si è collocata al secondo posto con il punteggio di 78/100, preceduta dalla N.T. s.r.l.con punti 80/100, proclamata quindi aggiudicataria del servizio.

La ricorrente ha quindi diffidato il Comune di Roma dal procedere all’affidamento del servizio all’aggiudicataria poiché priva del requisito previsto a pena di esclusione delle "precedenti esperienze positive nell’organizzazione dei viaggi e vacanze per gruppi di almeno 4 anni"; invitando l’amministrazione ad aggiudicare la gara alla seconda graduata.

Rimanevano, tuttavia, prive di qualsivoglia riscontro sia il citato atto di diffida che l’informativa ex art. 243 del Codice degli appalti ricevuta dall’amministrazione in data 7 luglio 2010.

Affermata dunque la illegittimità della condotta della stazione appaltante e tenuto conto della già intervenuta esecuzione del servizio, la seconda graduata ha quindi proposto il presente ricorso volto all’accertamento del suo diritto al risarcimento del danno nella misura di euro 18.214,00 a titolo di mancato utile economico; il 50% dell’importo ora indicato a titolo di danno curriculare; il 30 % del medesimo importo innanzi indicato a titolo di mancato incremento di fatturato ovvero per dano esistenziale; l’importo per i costi e le spese sostenute per la gara da valutarsi in via equitativa e l’ulteriore somma a titolo di interessi e rivalutazione sulle voci indicate.

Si sono costituiti in giudizio il Comune di Roma e la società aggiudicataria della gara contestando la tesi di parte ricorrente in ordine alla asserita illegittimità degli atti di gara e concludendo perché il proposto ricorso venga respinto.

Alla pubblica udienza del 9 marzo 2001 il ricorso viene ritenuto per la decisione in esito alla discussione orale.

Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto nei limiti e con le precisazioni di seguito indicate.

E’ opportuno premettere come l’esame dell’odierna fattispecie vada condotto alla luce della nuova normativa di cui agli articoli 30 e 34 del decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (recante, all’allegato 1, il "Codice del processo amministrativo", in vigore dal 16 settembre 2010 ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. cit.), che, in quanto norme processuali, sono immediatamente applicabili (cfr., in tal senso, Consiglio di Stato, sez. V, 06 dicembre 2010, n. 8550).

E, comunque, coma ha osservato l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato 23 marzo 2011 n. 3, i principi affermati dal d.lgs. n. 104 del 2010 (segnatamente, "quello dell’assenza di una stretta pregiudiziale processuale e quello dell’operatività di una connessione sostanziale di tipo causale tra rimedio impugnatorio e azione risarcitoria", di cui meglio in seguito) sono ricavabili anche dal quadro normativo vigente prima dell’entrata in vigore del codice.

Va preliminarmente osservato, infatti, essendosi in presenza di azione volta esclusivamente all’accertamento del diritto al risarcimento del danno cagionato dall’azione asseritamente illegittima dell’amministrazione, senza dunque che sia stato tempestivamente chiesto anche l’annullamento dell’atto produttivo di danno, che l’art. 30 del codice del processo amministrativo ha previsto, ai fini che qui rilevano, che l’azione di condanna al risarcimento del danno può essere proposta in via autonoma (comma 1) entro il termine di decadenza di centoventi giorni decorrente dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo (comma 3, primo periodo).

Come ha osservato la citata Adunanza Plenaria, la norma citata, da leggere in combinazione con il disposto del comma 4 dell’art. 7 – il cui inciso finale prevede la possibilità che le domande risarcitorie aventi ad oggetto il danno da lesione di interessi legittimi e di altri diritti patrimoniali consequenziali siano introdotte in via autonoma – sancisce, dunque, l’autonomia, sul versante processuale, della domanda di risarcimento rispetto al rimedio impugnatorio. Detta autonomia è confermata, per un verso, dall’art. 34, comma 2, secondo periodo, che considera il giudizio risarcitorio quale eccezione al generale divieto, per il giudice amministrativo, di conoscere della legittimità di atti che il ricorrente avrebbe dovuto impugnare con l’azione di annullamento; e, per altro verso, dal comma 3 dello stesso art. 34, che consente l’accertamento dell’illegittimità a fini meramente risarcitori allorquando la pronuncia costitutiva di annullamento non risulti più utile per il ricorrente (osserva inoltre la Plenaria che "Questo reticolo di norme consacra, in termini netti, la reciproca autonomia processuale tra i diversi sistemi di tutela, con l’affrancazione del modello risarcitorio dalla logica della necessaria "ancillarità" e "sussidiarietà" rispetto al paradigma caducatorio").

Seguendo il condivisibile avviso interpretativo della citata Plenaria, deve quindi essere osservato che il codice, pur negando la sussistenza di una pregiudizialità di rito, "ha mostrato di apprezzare, sul versante sostanziale, la rilevanza eziologica dell’omessa impugnazione come fatto valutabile al fine di escludere la risarcibilità dei danni che, secondo un giudizio causale di tipo ipotetico, sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di tempestiva reazione processuale nei confronti del provvedimento potenzialmente dannoso".

Ed infatti, il terzo comma dell’art. 30 del codice dispone, al secondo periodo, che, nel determinare il risarcimento, "il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti".

E’ stato quindi osservato che la citata disposizione, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti "costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. E tanto in una logica che vede l’omessa impugnazione non più come preclusione di rito ma come fatto da considerare in sede di merito ai fini del giudizio sulla sussistenza e consistenza del pregiudizio risarcibile" (Ad. Plen.n. 3/2011 cit.).

In altri termini, emerge dal codice del processo amministrativo la regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che, ai sensi dell’art. 1223 c.c., deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili (di qui innanzitutto, secondo l’insegnamento dell’Adunanza Plenaria citata, la rilevanza sostanziale, sul versante prettamente causale, dell’omessa o tardiva impugnazione come fatto che preclude la risarcibilità di danni che sarebbero stati presumibilmente evitati in caso di rituale utilizzazione dello strumento di tutela specifica predisposto dall’ordinamento a protezione delle posizioni di interesse legittimo onde evitare la consolidazione di effetti dannosi). Va pure osservato che la stessa citata sentenza n. 3 del 2001 opportunamente e condivisibilmente rileva che "la latitudine del generale riferimento ai mezzi di tutela e al comportamento complessivo consente di soppesare l’ipotetica incidenza eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento dannoso ma anche dell’omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei ad evitare il danno, quali la via dei ricorsi amministrativi e l’assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell’autotutela amministrativa (cd. invito all’autotutela)". Emerge con chiarezza il dato della rilevanza sostanziale delle condotte negligenti, eziologicamente pregnanti. Rilevanza sostanziale invero confermata anche dall’art. 124 del codice del processo amministrativo e dell’art. 243 bis del codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163.

La prima disposizione sancisce, al comma 2, questa volta recando un riferimento esplicito alla normativa civilistica, che "la condotta processuale della parte che, senza giustificato motivo, non ha proposto la domanda di cui al comma 1" (ossia la domanda di conseguire l’aggiudicazione e il contratto) "o non si è resa disponibile a subentrare nel contratto è valutata dal Giudice ai sensi dell’art. 1227 del codice civile".

Inoltre, l’art. 243 bis del codice dei contratti pubblici, aggiunto dall’art. 6 del decreto legislativo 20 marzo 2010, n. 53, come modificato dall’art. 3 dell’allegato 4 allo stesso decreto legislativo n. 104/2010, nel disciplinare l’istituto dell’informativa in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale, stabilisce, al comma 5, che l’omissione della comunicazione di cui al comma 1, finalizzata alla stimolazione dell’autotutela, costituisce comportamento valutabile ai sensi dell’art. 1227 del codice civile.

Con più specifico riferimento al citato art. 1227 del codice civile, l’Adunanza Plenaria citata ha pure osservato che "l’obbligo di cooperazione di cui al comma 2 dell’art. 1227 ha fondamento proprio nel canone di buona fede ex art. 1175 c.c. e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà" per cui "si deve concludere che anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica…., che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno". Di qui la preferenza espressa, rispetto al tradizionale indirizzo che esclude, per definizione, la sincadabilità delle condotte processuali ai sensi del capoverso dell’art. 1227 c.c., per "un più duttile criterio interpretativo che, in coerenza con le clausole generali in materia di correttezza, buona fede e solidarietà di cui la norma in esame è espressione, consenta la valutazione della condotta complessiva, anche processuale, del creditore, con riguardo alle specificità del caso concreto", con la conseguenza che "applicando detto criterio interpretativo, si deve allora ritenere che la mancata impugnazione di un provvedimento amministrativo possa essere ritenuto un comportamento contrario a buona fede nell’ipotesi in cui si appuri che una tempestiva reazione avrebbe evitato o mitigato il danno".

Ancora la citata Plenaria esclude ogni violazione del canone della buona fede "laddove la decisione di non fare leva sullo strumento impugnatorio sia frutto di un’opzione discrezionale ragionevole e non sindacabile in quanto l’interesse all’annullamento oggettivamente non esista, sia venuto meno e, in generale, non sia adeguatamente suscettibile di soddisfazione. Si consideri, a titolo esemplificativo, l’ipotesi in cui il provvedimento sia stato immediatamente eseguito producendo una modificazione di fatto irreversibile; o quella in cui i tempi tecnici del processo non consentano, ragionevolmente, di praticare, in modo efficiente, il rimedio della tutela ripristinatoria; o, ancora, le situazioni in cui, per effetto di specifica previsione di legge (cfr. l’art. 246, comma 4, del codice dei contratti pubblici, da ultimo confluito nell’art. 125, comma 3, del codice del processo amministrativo), il mezzo dell’annullamento non possa soddisfare, in termini reali, l’aspirazione al conseguimento del bene della vita desiderato. Dette evenienze, ostative al soddisfacimento in natura della posizione azionata, possono maturare nel corso del giudizio in guisa da produrre la concentrazione in itinere della domanda sul solo profilo del risarcimento sulla base della regola giurisprudenziale prima ricordata, oggi canonizzata dall’art. 34, comma 3, del codice del processo amministrativo".

Se queste sono dunque la coordinate interpretative al cui interno occorre muoversi, rileva innanzitutto il Collegio, con esame ovviamente in via incidentale non essendo stato nei prescritti termini di decadenza chiesto l’annullamento degli atti di gara, la illegittimità della disposta aggiudicazione della gara di che trattasi alla aggiudicataria N.T. s.r.l. per difetto di un requisito prescritto, a pena di esclusione, dalla lex specialis.

Il bado prevedeva, infatti, al punto 6, quale requisito, di "avere precedenti esperienze positive nell’organizzazione dei viaggi e vacanze per gruppi di almeno 4 anni", laddove dalla visura della Camera di commercio, relativa alla società aggiudicataria del servizio, in atti del presente giudizio, risulta inequivocamente che l’inizio dell’attività di impresa risale al 10 aprile 2007. In altri termini, sono sussistono dubbi in ordine al mancato possesso, da parte dell’aggiudicataria, di un requisito il cui possesso era espressamente richiesto a pena di esclusione. Non sussistono dubbi, cioè, sulla illegittimità della procedura di gara che avrebbe quindi dovuto vedere la odierna ricorrente, seconda graduata, legittimamente aggiudicataria della gara medesima. Ma, com’è noto, il risarcimento del danno derivante da lesione di interesse legittimo, a carico della P.A., non costituisce un semplice effetto automatico dell’accertamento giurisdizionale della illegittimità del provvedimento adottato, richiedendo esso la verifica positiva di specifici requisiti, quali l’accertamento dell’imputabilità dell’evento dannoso alla responsabilità dell’Amministrazione, l’esistenza di un danno patrimoniale ingiusto, il nesso causale tra l’illecito compiuto e il danno subito, e una condotta dell’Amministrazione caratterizzata dalla colpa (cfr. T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 02 febbraio 2011, n. 974). Elementi questi la cui ricorrenza nel caso di specie è agevole riscontrare per essere agevole il riscontro del vizio che ha segnato l’attività amministrativa, il che rende certamente colposa la condotta della stazione appaltante. Così come il danno di cui si chiede il risarcimento è, con ogni evidenza, diretta conseguenza della condotta accertata per come illegittima.

Né, nel caso di specie, può ritenersi che la condotta di parte ricorrente, con specifico riferimento alla omessa tempestiva impugnazione degli atti di gara, possa essere valutata, giusta quanto innanzi considerato, ai fini della esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza.

Deve, infatti, innazitutto essere rilevato che la ricorrente ha sia diffidato – con nota del 10 giugno 2010 – la stazione appaltante dal procedere all’affidamento del servizio all’aggiudicataria che notificato alla stessa informativa in data 2 luglio 2010, ex art. 243 del Codice degli appalti, in entrambi i casi rappresentando all’amministrazione le ragioni della ritenuta illegittimità della sua condotta. Così come deve pure rilevarsi che il servizio di che trattasi andava realizzato nel periodo 28 giugno – 4 settembre 2010, per cui se tempestiva era la diffida inoltrata dalla ricorrente, verosimilmente la proposizione di tempestiva impugnativa intesa all’annullamento degli atti di gara rischiava di non essere di alcuna utilità sul piano del conseguimento di un risarcimento in forma specifica. In definitiva, l’omessa impugnativa degli atti di gara non rileva, nel caso di specie, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno, che deve dunque essere risarcito.

Ammontare del danno che il Collegio reputa, in via equitativa, di fissare – avuto riguardo ai valori monetari in gioco – in euro 20.000,00, in detto importo ricomprendendo sia il danno per il mancato utile economico che il danno cd. curriculare. Sulla detta somma, spettante a titolo di risarcimento danni (da mancata aggiudicazione della gara) spetta la rivalutazione monetaria secondo gli indici ISTAT, trattandosi di debito di valore, fino al deposito della sentenza; sulla somma così rivalutata si computeranno gli interessi legali calcolati esclusivamente dalla data di deposito della sentenza fino all’effettivo soddisfo (cfr. T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 14 settembre 2010, n. 3458).

Conclusivamente, ribadite le svolte considerazioni, il Collegio accoglie il proposto ricorso e per l’effetto condanna il Comune di Roma al pagamento in favore della odierna ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, degli importi innanzi indicati.

Sussistono tuttavia giuste ragioni per compensare integralmente fra le parti le spese del presente giudizio.
P.Q.M.

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo accoglie ai sensi e nei limiti di cui in motivazione e, per l’effetto, condanna il Comune di Roma al pagamento in favore della società ricorrente, dell’importo di euro 20.000,00 a titolo di risarcimento del danno più accessori, come da motivazione.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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