Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 08-02-2011) 03-05-2011, n. 17077 Reato continuato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 1 aprile 2010 la Corte di appello di Torino confermava la sentenza emessa in data 30 gennaio 2007 dal Tribunale di Biella con la quale B.M. era stato dichiarato colpevole di tre distinti reati di ricettazione – accertati il (OMISSIS) – ed era stato condannato, ritenuta la continuazione, ravvisata l’ipotesi attenuata prevista dall’art. 648 c.p., comma 2, con le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, alla pena di anni uno, mesi due di reclusione ed Euro 300,00 di multa.

Avverso la predetta sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.

Con il ricorso si deduce l’inosservanza dell’art. 81 cpv. c.p. e la mancanza e illogicità della motivazione con riferimento al diniego di applicazione della continuazione con l’analogo reato (relativo ad assegni tratti sul medesimo conto corrente bancario e provenienti dallo stesso furto), giudicato in un separato procedimento con sentenza del Tribunale di Biella del 24 gennaio 2007, irrevocabile il 20 marzo 2007, avendo la Corte di appello demandato la questione alla fase esecutiva senza specificare le ragioni per le quali non le era consentito di decidere.

Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.

La Corte rileva infatti che l’applicazione della continuazione con il reato di ricettazione oggetto della sentenza irrevocabile pronunciata nei confronti dell’imputato dal Tribunale di Biella non costituiva oggetto del gravame e che solo nelle conclusioni formulate dalla difesa nell’ambito del giudizio di appello era stata formulata la relativa richiesta. Il giudice dell’impugnazione non aveva quindi l’obbligo di pronunciarsi, stante la correlazione che per effetto del principio devolutivo deve esistere tra motivi d’impugnazione e la cognizione del giudice del gravame (Cass. Sez. Un. 19 gennaio 2000 n. 1, Tuzzolino). Del resto la decisione del giudice di appello di non provvedere, in mancanza di uno specifico motivo d’impugnazione, sull’applicazione della disciplina del reato continuato, demandando la relativa valutazione alla fase esecutiva in cui il B. avrebbe potuto presentare richiesta ai sensi dell’art. 671 c.p.p., non è preclusiva per il ricorrente dell’accoglimento della richiesta. Può quindi ritenersi che, nel caso in esame, l’imputato per la mancata pronuncia sul punto da parte del giudice della cognizione non abbia nemmeno l’interesse al ricorso per cassazione (come si desume da Cass. sez. 6 30 settembre 2010 n. 36648, Cosentino; sez. 4 28 settembre 2006 n. 1023, D’Andrea).

Alla inammissibilità del ricorso consegue ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in Euro 1.000,00.
P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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