Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 01-02-2011) 03-05-2011, n. 17039

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza emessa il 31 Gennaio 2003 il Tribunale di Venezia dichiarava M.D. colpevole del delitto di rapina continuata, per essersi impossessata di un portafoglio, di un anello di smeraldo, di oggetti preziosi e assegni bancari detenuti dalle signore M.A. e F.E., dopo aver somministrato loro sostanze alcoliche o psicotrope che ne avevano annullato la capacità di intendere di volere; nonchè del reato di lesioni personali per aver cagionato, con la predetta condotta, uno stato comatoso. Per l’effetto, ritenuta la continuazione e concesse le attenuanti generiche, equivalenti alle contestate aggravanti, la condannava alla pena di anni tre, mesi otto di reclusione e di Euro 1000,00 di multa, con interdizione per anni cinque dai pubblici uffici. Il successivo gravame era rigettato dalla Corte d’appello di Venezia con sentenza 4-19 Maggio 2004.

Proponeva ricorso per Cassazione la M., deducendo la carenza o manifesta illogicità della motivazione in ordine alla prova della penale responsabilità, desunta da elementi di nessuna valenza indiziaria; nonchè l’omessa pronuncia in merito alla richiesta subordinata di riduzione della pena inflitta. Con sentenza del 6 giugno 2006 questa Corte annullava con rinvio la sentenza d’appello, rilevando l’insufficienza e illogicità della motivazione, siccome basata, da un lato, su circostanze descriventi il mero contesto oggettivo dei fatti (sottrazione dei beni durante uno stato comatoso dovuto alla probabile ingestione di sostanze psicotrope;

frequentazione assidua da parte dell’imputata dello stesso circolo di ricreazione ove le persone offese, di età avanzata, erano solite incontrarsi) e, dall’altro, e in relazione comunque alla sola rapina in danno della M., su dati inidonei a ricondurre il reato all’imputata (offerta, rifiutata, di un cognac alla signora M.;

percezione, da parte di quest’ultima, in un luogo diverso da quello della contestata rapina, di un profumo intenso e di essere toccata ai due lati del collo della pelliccia).

Giudicando in sede di rinvio, la Corte d’appello di Venezia, con sentenza del 30 ottobre 2008, confermava la responsabilità della prevenuta, rideterminando la pena (a seguito di declaratoria di estinzione del connesso reato di lesioni) in anni tre e mesi sei di reclusione ed Euro 900,00 di multa.

Propone ricorso la Metope a mezzo del difensore, deducendo la violazione dell’art. 627 c.p.p., comma 3, per la ripetuta valorizzazione di circostanze già ritenute irrilevanti nella sentenza di annullamento, e vizio di motivazione, per avere la Corte di rinvio fatto riferimento a circostanze non risultanti in atti (presenza di una bomboletta in mano all’imputata) o travisate (esito della perquisizione domiciliare, risultato in realtà negativo) e attribuito la sparizione degli oggetti delle persone offese alla prevenuta senza una logica spiegazione.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato.

Per quanto concerne, invero, l’obiezione circa la ripetuta valorizzazione della circostanza, già ritenuta irrilevante nella sentenza di annullamento, inerente alla frequentazione del circolo da parte della prevenuta, deve osservarsi che la valutazione di neutralità della detta circostanza, espressa nella sentenza rescindente in un determinato contesto di giustificazione probatoria ritenuta del tutto inadeguata, e quindi in maniera ad esso eminentemente relativa, non comporta certamente una preclusione assoluta per il giudice di rinvio, munito degli stessi potere dell’omologo giudice precedente, di riprendere in considerazione la circostanza stessa, quale elemento significativo in un diverso e approfondito quadro ricostruttivo-probatorio della vicenda.

In ordine alla questione della bomboletta, che, nell’episodio afferente la M., l’imputata avrebbe, secondo l’impugnata sentenza, tenuto in mano, si osserva che la Corte di rinvio ha riportato al riguardo quanto a suo tempo affermato dal primo giudice circa le originarie dichiarazioni della M., che aveva riferito appunto quella circostanza. Tale punto, a fronte delle dichiarazioni dibattimentali della predetta, fu oggetto di contestazione da parte del P.M., ma non venne confermato in dibattimento. Ora, a parte il rilievo che la circostanza in parola fu in dibattimento riferita, "de relato" dalla madre, anche dalla figlia della M., l’indebito riferimento diretto alle dichiarazioni predibattimentali rese al riguardo da quest’ultima, operato dalla Corte di rinvio, non può in ogni caso inficiare il discorso di fondo da essa Corte svolto circa la compiutezza e congruità, ai fini del giudizio di responsabilità, del percorso ricostruttivo-valutativo già rassegnato dal primo giudice, alla stregua delle complessive risultanze processuali.

A tale ultimo riguardo, e in riferimento alle specifiche censure formulate nel ricorso, va rilevato che:

– non integra alcun travisamento il richiamo fatto nell’impugnata sentenza all’esito della perquisizione domiciliare, posto che, come riportato nella sentenza di primo grado, dalla perquisizione risultò la circostanza, indubbiamente utile per delineare un certo scenario comportamentale dell’imputata, del suo possesso di numerosi gioielli di provenienza non chiarita, depositati sul Banco dei Pegni;

– l’obiezione circa l’attribuibilità anche ad altri soggetti della sparizione dell’anello con smeraldi sottratto alla M. ha un (improponibile) carattere generico, valutativo e ipotetico, che prescinde del tutto dalla precisa e logica ricostruzione dell’episodio compiuta dal Tribunale, secondo la quale l’imputata fu l’unica a restare sola per un certo tempo con l’anziana signora e le amiche di famiglia che sopraggiunsero si preoccuparono proprio di segnalare subito alla figlia la mancanza dell’anello;

– anche la contestazione dell’attribuzione ad essa imputata della sparizione del portafoglio sottratto alla F. ha un carattere generico e sostanzialmente valutativo, che prescinde dalle circostanze logicamente valorizzate dal Tribunale nei confronti dell’imputata (sulla base delle deposizioni della C. e dello Z. e della versione della M. discordante su punti significativi da quanto riferito dalla Centasso) e si appunta poi sul rilievo della singolarità della sottrazione di uno solo dei due portafogli posseduti dalla F., ignorando che quello sparito, per come riferito dal figlio Z., conteneva il grosso dei risparmi.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *