Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 11-01-2011) 03-05-2011, n. 17182

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 6 giugno 2008 la Corte d’Appello di Napoli, in ciò confermando la decisione (invece riformata in altra parte) assunta dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sezione distaccata di Caserta, ha riconosciuto D.G. responsabile dei delitti di tentato furto pluriaggravato di un’autovettura e di resistenza a pubblico ufficiale.

Secondo la ricostruzione dei fatti recepita dal giudice di merito, il D. si era introdotto nella vettura Fiat Panda di proprietà di P.M. e aveva avviato il motore al fine di asportarla, vedendo interrotta la propria azione furtiva dall’intervento di due agenti di polizia, uno dei quali era lo stesso P.; bloccato da costoro, si era divincolato per darsi alla fuga; ripreso poco dopo, nel tentativo di nuovamente svincolarsi era caduto a terra così causando anche la caduta degli agenti.

Ha proposto personalmente ricorso per cassazione l’imputato, affidandolo a un solo motivo articolato in più censure. Con esso denuncia carenza di motivazione, per essersi la Corte d’Appello limitata a suo avviso a confermare la sentenza di primo grado senza avere esaminato tutti gli elementi a sua disposizione e senza aver dato risposta ai motivi di appello. Sotto altro profilo contesta che nell’azione consistita nel divincolarsi sia configurabile il delitto di resistenza; lamenta omessa disamina della richiesta di revisione del giudizio di comparazione fra attenuanti e aggravanti, di applicazione dell’attenuante ex art. 62 c.p., n. 4 e di moderazione della pena.

Il ricorso è privo di fondamento e va disatteso.

La censura con cui si apre l’unico motivo dedotto si colloca, anzi, in area di inammissibilità là dove il ricorrente, omettendo di soddisfare il requisito di specificità, lamenta la mancata risposta alle deduzioni svolte nei motivi di appello in ordine alla portata di "decisive risultanze probatorie", di cui tuttavia non precisa l’oggetto, nè la natura. Del pari generica è la doglianza di carenza motivazionale della sentenza di secondo grado nel suo complesso, a sostegno della quale non sono indicati nel ricorso gli argomenti che, nell’ottica del gravame, la Corte d’Appello avrebbe dovuto trattare a completamento del proprio iter argomentativo.

Quanto alla sussumibilità nell’ipotesi criminosa della resistenza a pubblico ufficiale della condotta consistita nel divincolarsi, correttamente il giudice di merito si è attenuto al principio, ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "ai fini della configurabilità del delitto di cui all’art. 337 cod. pen., l’atto di divincolarsi posto in essere da un soggetto fermato dalla polizia giudiziaria integra il requisito della violenza e non una condotta di mera resistenza passiva, quando non costituisce una reazione spontanea ed istintiva al compimento dell’atto del pubblico ufficiale, ma un vero e proprio impiego di forza diretto a neutralizzarne l’azione ed a sottrarsi alla presa, guadagnando la fuga" (così, da ultimo, Cass. 11 febbraio 2010 n. 8997; v. anche Cass. 26 giugno 2003 n. 35125); e che tale sia stato l’atteggiamento tenuto in concreto dal D., al momento del suo arresto, è stato accertato in sede di merito in esito alla valutazione – insindacabile in questa sede – dei dati probatori donde era emerso che l’imputato, nel tentativo di sottrarsi alla cattura, ebbe ad esercitare una forza tale da provocare, insieme alla propria, anche la caduta degli agenti che l’avevano afferrato.

Da disattendere è, altresì, la doglianza volta a sostenere l’applicabilità alla fattispecie dell’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4. Appropriatamente la Corte di merito si è attenuta alla regula iuris secondo cui "in tema di tentato furto, l’applicazione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone che il giudice, avuto riguardo alle concrete modalità dell’azione e a tutte le circostanze di fatto desumibili dalle risultanze processuali, accerti che il reato, qualora fosse stato consumato, avrebbe cagionato alla vittima un danno di speciale tenuità" (Cass. 4 giugno 2010 n. 35827; Cass. 22 maggio 2009 n. 39837; Cass. 30 settembre 2008 n. 44153); e al riguardo va ricordato, ancora alla stregua della giurisprudenza in materia, che nel caso di furto di un’autovettura, qualunque sia il suo stato di vetustà, non può ravvisarsi quella speciale tenuità del danno cui la legge ricollega l’attenuazione della pena (Cass. 14 dicembre 1988 n. 876/89).

Inammissibile, infine, in quanto esulante dal novero dei motivi consentiti dall’art. 606 c.p.p., è la duplice censura riguardante, per un verso, il giudizio di comparazione fra le attenuanti generiche e le contestate aggravanti della violenza sulle cose e dell’esposizione alla pubblica fede, e per altro verso la concreta determinazione della pena.

In proposito va rimarcato che tanto la modulazione della pena quanto il bilanciamento fra circostanze sono statuizioni che l’ordinamento rimette alla discrezionalità del giudice di merito, per cui non vi è margine per il sindacato di legittimità quando la decisione sia motivata in modo conforme alla legge e ai canoni della logica. Nel caso di specie la Corte d’Appello non ha mancato di motivare la propria decisione sui punti in questione: sia con l’evidenziare il peso delle due aggravanti e delle complessive modalità del fatto;

sia col valorizzare la specifica e allarmante professionalità del D. nei furti d’auto, desunta dall’utilizzo di chiavi cosiddette universali. Siffatta linea argomentativa non presta il fianco a censura, rendendo adeguatamente conto delle ragioni della decisione adottata; d’altra parte non è necessario, a soddisfare l’obbligo della motivazione, che il giudice prenda singolarmente in osservazione tutti gli elementi di cui all’art. 133 c.p., essendo invece sufficiente l’indicazione di quegli elementi che, nel discrezionale giudizio complessivo, assumono eminente rilievo.

Il rigetto del ricorso, che inevitabilmente consegue a quanto fin qui esposto, comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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