Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 07-01-2011) 03-05-2011, n. 17139 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ordinanza del 3.6.2010, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari dispose la custodia cautelare in carcere di 42 persone, alcune delle quali gravemente indiziate anche del reato associativo, oltre che di ipotesi di spaccio continuato in concorso di sostanze stupefacenti, tra i quali I.A., indagata per il reato p.p. dal D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74.

Avverso tale provvedimento l’indagato propose istanza di riesame, e il Tribunale di Bari, con ordinanza del 1.7.2010, dichiarava la nullità dell’ordinanza impugnata, rilevando che il Gip si era limitato ad una pedissequa riproduzione della richiesta di misura cautelare avanzata dalla Procura della Repubblica di Bari, la quale a sua volta, si era limitata a riprodurre l’informativa di polizia giudiziaria.

Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Bari, Direzione Distrettuale Antimafia, deducendo l’erronea rilevazione di ufficio della insussistente nullità prevista dall’art. 292 c.p.p., comma 2, e l’omesso esercizio del potere dovere di integrazione attribuito al Tribunale del riesame dall’art. 309 c.p.p., comma 9. Rileva, al riguardo, il ricorrente che il Tribunale di Bari ha annullato il provvedimento in quanto il giudice per le indagini preliminari avrebbe svolto il processo motivazionale previsto dall’art. 292 c.p.p., lett. c) e c bis), limitandosi a far propri i contenuti dell’informativa della polizia giudiziaria a sua volta riprodotta nella richiesta cautelare del pubblico ministero, ed ha quindi ritenuto inesistente la necessaria motivazione del titolo cautelare, anche sotto il profilo delle esigenze cautelari, valutate in modo generico e cumulativo, e senza alcuna considerazione del tempo trascorso dalla commissione dei fatti, peraltro ricompresi nell’ambito dell’operatività dell’indulto. Il Tribunale ha omesso però di considerare che: 1) la richiesta cautelare del pubblico ministero riporta in calce ad ogni singola imputazione provvisoria le pagine in cui viene trattata quella singola imputazione; 2) la richiesta cautelare in questione non si è affatto limitata a riprodurre l’informativa della polizia giudiziaria, come dimostra il fatto che non è stata accolta la richiesta di misura nei confronti di alcuni indagati, e le misure richieste sono state calibrate considerando le posizioni di ogni singola persona; 3) sono state redatte dalla polizia giudiziaria, con l’annotazione di indagine n. 484/268-1 del 4.10.2007, le schede personali relative ad ogni singola persona interessata dalla richiesta cautelare, e le schede in parola, aggiornate al settembre 2007, costituiscono acquisizioni investigative rilevanti in relazione alla valutazione delle esigenze cautelari relative ad ogni singola persona sottoposta alle indagini. Il giudice per le indagini preliminari, dopo aver richiamato, a pagina 27 dell’ordinanza i gravi indizi relativi alle provvisorie imputazioni, così riportando nel provvedimento cautelare una serie di dati in puro fatto, già scrutinati e valorizzati dal pubblico ministero, ha poi testualmente affermato che "quanto sopra ritrova la totale condivisione di questo GIP che, quindi, si richiama alla richiesta medesima ad ogni effetto di legge. Anche riguardo alle richieste cautelari si condividono pienamente le considerazioni svolte dai p.m. richiedenti"; le affermazioni in questione, pur nella loro stringatezza, non consentono in alcun modo di ritenere insussistente il vaglio critico e di sostenere che il giudice della cautela abbia acriticamente riportato nel provvedimento custodiale genetico documenti di polizia giudiziaria affastellati dal pubblico ministero. D’altra parte, attesa la dimostrata certa presenza, ancorchè in nuce, nel provvedimento del g.i.p. di un apparato argomentativo fondante lo scrutinio e l’accoglimento delle tesi accusatorie del pubblico ministero, il Tribunale del riesame avrebbe potuto e dovuto integrare il provvedimento genetico, nelle parti ritenute insufficientemente motivate.

Chiede pertanto l’annullamento con rinvio dell’ordinanza impugnata.
Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, e va pertanto rigettato.

Ben è vero che – secondo un consolidato indirizzo giurisprudenziale citato dal ricorrente e condiviso dal Collegio – il coordinamento dell’art. 292 c.p.p., comma 2, lett. c) e c) bis (in base al quale a pena di nullità, rilevabile anche d’ufficio, il giudice nell’ordinanza cautelare deve esporre le specifiche esigenze cautelari e la necessità della custodia in carcere, esponendo i motivi per i quali non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa) e quello dell’art. 309 c.p.p., comma 9 (in base al quale il tribunale può anche confermare il provvedimento cautelare per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione dei provvedimento stesso) va stabilito nel senso che al tribunale del riesame deve essere riconosciuto il ruolo di giudice collegiale e di merito sulla vicenda "de libertate", e pertanto allo stesso non è demandata tanto la valutazione della legittimità dell’atto, quanto la cognizione della vicenda sottostante e, quindi, primariamente, la soluzione del contrasto sostanziale tra la libertà del singolo e la necessità coercitiva. Ne consegue che la dichiarazione di nullità dell’ordinanza impositiva è certamente l’ultima "ratio" delle determinazioni adottabili. Tale nullità, invero, può essere dichiarata solo ove il provvedimento custodiale sia mancante di motivazione in senso "grafico", ovvero ove, pur esistendo una motivazione in tal senso, essa si risolva in clausole di stile, onde non sia possibile, interpretando e rivalutando l’intero contesto, individuare le esigenze cautelari il cui soddisfacimento si persegue (cfr., tra le tante, Cass. Sez. 2, sent. n. 39383/2008 Rv. 241868).

Inoltre, quando un provvedimento non si limita a richiamare altro atto, ma ne recepisca graficamente il contenuto, non può certo dirsi che "manchi" di motivazione, dovendo, piuttosto, equipararsi la situazione al caso di motivazione "per relationem", e cioè del provvedimento che richiami il contenuto di diverso atto, facendone propria la motivazione, E sulla motivazione "per relationem" da parte del G.I.P. alla richiesta del P.M si sono espresse le SS.UU. di questa Corte, con la sentenza n. 17 del 21 giugno 2000, ritenendola legittima, semprechè l’atto di riferimento sia conosciuto o conoscibile dall’interessato, la motivazione, contenuta nell’atto di riferimento, risulti congrua rispetto all’esigenza di giustificazione propria al provvedimento di destinazione e sia chiaro che il decidente abbia preso cognizione del contenuto delle ragioni del provvedimento di riferimento ritenendole coerenti alla sua decisione.

Orbene – tanto premesso – rileva il Collegio che, nella specie, l’atto richiamato dal Giudice per le indagine preliminari, integralmente riprodotto, è costituito dall’informativa di polizia giudiziaria, già recepita nella richiesta di misura avanzata dalla Procura, e che espone, secondo un mero ordine cronologico, l’esito delle intercettazioni telefoniche e delle altre attività di polizia giudiziaria.

In assenza di una qualsivoglia, seppur sintetica, analisi effettuata dal Giudice del riesame, per ogni singolo indagato, a fronte degli elementi indicanti l’attività di spaccio e, dove ravvisato, del suo collocamento all’interno dell’associazione per delinquere, nonchè delle esigenze cautelari in riferimento al tempo dei commessi reati in riferimento agli episodi di spaccio (reati collocati, peraltro, in un arco temporale non recente, e che va dal (OMISSIS)) e alle condotte degli indagati in epoca successiva al deposito dell’informativa di polizia giudiziaria nel giugno 2007, correttamente il Tribunale del Riesame ha ritenuto di non poter integrare la motivazione dell’impugnato titolo custodiale. Nè l’avrebbe potuto, e dovuto fare, sulla scorta delle "schede personali" di cui al ricorso, relative ad ogni singola persona e redatte dalla polizia giudiziaria nel settembre 2007 (e quindi quasi tre anni prima dell’ordinanza custodiale del 3.6.2010), dal momento che le stesse, pur costituendo acquisizioni investigative certamente rilevanti ai fini sia della richiesta della misura che del provvedimento custodiale, non possono però sostituire la valutazione degli indizi e delle esigenze cautelari, che è propria dell’ufficio requirente prima e del giudice delle indagini preliminari dopo, e che ben può esprimersi, per evidenti esigenze di economia processuale, anche "per relationem", ma che deve comunque essere attuale e contenere quel minimo di enucleazione degli elementi essenziali e individualizzati atti a consentire, da un lato, un’adeguata difesa all’indagato in riferimento alla fattispecie di reato contestata e, dall’altro, la verifica della sufficienza argomentativa ai Giudici del riesame.

Nè d’altra parte dallo stesso tenore delle deduzioni del ricorrente emerge in alcun modo che il giudice delle indagini preliminari abbia preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento, in ordine ad ogni singolo indagato, e le abbia quindi meditate e ritenute coerenti con la sua decisione, risultando a tal fine del tutto irrilevante il breve inciso riportato in ricorso (e riferito senza distinzione alcuna a tutti gli indagati, e ciò a prescindere dal fatto che fosse contestata l’ipotesi di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73 e/o quella di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 74, con le relative conseguenze sul piano dell’automatismo cautelare), e definito dallo stesso ricorrente apparato argomentativo "in nuce".
P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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