Cass. civ. Sez. I, Sent., 11-08-2011, n. 17190 Divorzio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza non definitiva del 20 maggio 2002, il Tribunale di Roma dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra Bi.Gi. e B.M..

Con sentenza definitiva 18/3-10/5/2005, il predetto Tribunale rigettava la domanda della B. di assegnazione della casa coniugale e determinava in Euro 258.00 mensili l’assegno per quest’ultima fino al rilascio dell’immobile, ancora da essa occupato, ed in Euro 750,00 mensili, dopo tale rilascio.

Proponeva la B. appello avverso tale sentenza, chiedendo l’assegnazione della casa e l’aumento dell’assegno a suo favore.

Costituitosi il contraddittorio, il Bi. chiedeva rigettarsi l’appello.

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza 19/4-6/6/2007, rigettava l’appello. Ricorre per cassazione, sulla base di cinque motivi, la B..

Resiste, con controricorso, il Bi..
Motivi della decisione

I primi tre motivi del ricorso attengono all’assegnazione della casa coniugale. Con il primo, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 1350, 2697, 2700, 2733 c.c. e art. 115 c.p.c., in quanto la casa coniugale non apparterrebbe più in proprietà al Bi.. Con il secondo, essa lamenta vizio di motivazione, in relazione alle circostanze di cui al primo motivo. Con il terzo, lamenta violazione dell’art. 155 quater c.c. e art. 6 L. Divorzio, nonchè vizio di motivazione, sostenendo che, in mancanza della proprietà della casa coniugale in capo ad alcuno dei coniugi, ed essendo essi quindi soltanto compossessori, potrebbe la casa stessa essere assegnata al coniuge economicamente più debole.

Per giurisprudenza di questa Corte, ampiamente consolidata (tra le altre, Cass. n. 23591 del 2010), la casa coniugale, in sede di separazione e divorzio, può assegnarsi nell’interesse esclusivo dei figli minori ovvero maggiorenni, ma non autosufficienti economicamente, al coniuge non proprietario (essendo proprietario l’altro coniuge) o comproprietario (se la casa appartiene ad entrambi), in quanto rispettivamente collocatari od affidatari dei minori, ovvero conviventi con i maggiorenni.

Se la casa è di proprietà di terzi, l’assegnazione potrà effettuarsi a favore di un coniuge, ma solo in quanto sussista un rapporto giuridicamente rilevante (locazione, comodato ecc..) che assicuri il godimento dell’immobile, tra il terzo proprietario ed uno dei coniugi (con eventuale successione nel rapporto, se questo originariamente si sia costituito tra il proprietario e l’altro coniuge) (al riguardo, tra le altre, quanto alla locazione, v. Cass. n. 10104 del 2009; quanto al comodato, Cass. n. 16559 del 2008).

La B., affermando che la casa coniugale più non appartiene in proprietà al Bi., non indica la sussistenza di rapporto alcuno con il terzo proprietario. Dunque la casa stessa non potrebbe comunque essere assegnata. In tal senso, i primi due motivi appaiono inammissibili, per carenza di interesse della ricorrente.

Infondato è il terzo motivo: come si diceva, non può assegnarsi al coniuge la casa appartenente ad un terzo proprietario, sempre e comunque, ma soltanto in presenza di un rapporto giuridicamente rilevante tra il terzo ed uno dei coniugi.

Il quarto e quinto motivo attengono all’assegno divorzile.

Con il quarto, la ricorrente lamenta violazione degli artt. 324, 329, 343, 346 c.p.c. e art. 4, comma 15, L. divorzio, eccependo la preclusione di un giudicato interno, in quanto il tribunale aveva affermato le "immutate condizioni economiche delle parti" rispetto al tempo della separazione: sul punto non era stato proposto appello, mentre inopinatamente la Corte di merito aveva giustificato la riforma dell’importo dell’assegno, notevolmente inferiore a quello di separazione, proprio con riferimento alle peggiorate condizioni del Bi.. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta violazione dell’art. 5 comma 6 L. divorzio e vizio di motivazione, sulla quantificazione dell’assegno.

E’ appena il caso di precisare che non sussiste preclusione alcuna da giudicato: la B., proponendo appello sull’importo dell’assegno, come determinato dal primo Giudice, ha implicitamente (e necessariamente) chiesto di riconsiderare la situazione economica di entrambe le parti. Con motivazione adeguata e non illogica, il giudice a quo ha esaminato appunto le loro condizioni economiche (che, per giurisprudenza consolidata, possono venire in considerazione al fine di ricostruire presuntivamente il tenore di vita della famiglia, durante la convivenza matrimoniale, alla conservazione del quale deve tendere l’assegno divorzile, nella sua quantificazione: per tutte, Cass. n. 2156 del 2010), richiamandone le dichiarazioni dei redditi da un lato, la B. non gode di altro reddito rispetto a quello derivante dell’assegno di mantenimento, dall’altro risulta un reddito netto del Bi. per il 2005 di Euro 15.000,00 annui, inferiore agli anni precedenti, anche in relazione al fallimento di un impresa di vendita di prodotti agricoli, da lui esercitata.

Ha ritenuto il Giudice a quo, sulla base dei predetti elementi, di riformare l’importo dell’assegno già determinato dal primo giudice.

Ogni altro profilo sollevato dalla B. esprime valutazioni di fatto, insuscettibili di controllo in questa sede.

I motivi quarto e quinto vanno quindi rigettati, siccome infondati.

Conclusivamente, il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800,00 comprensivi di Euro 200.00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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