Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., 12-08-2011, n. 17252 contratto a termine

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 328/2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Enna respingeva la domanda proposta da G.G. nei confronti della s.p.a. Poste Italiane, diretta ad ottenere la declaratoria di nullità del termine apposto al contratto di lavoro concluso per il periodo 4-6-2001/30-9-2001, ai sensi dell’art. 25 ccnl 11-1-2001, con conseguente conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato e con condanna della società al risarcimento del danno commisurato alle retribuzioni.

La G. proponeva appello avverso la detta sentenza chiedendone la riforma, con l’accoglimento della domanda.

La società si costituiva resistendo al gravame e proponendo appello incidentale rilevando che il primo giudice, in violazione del principio di corrispondenza fra chiesto e pronunciato, aveva argomentato su questioni non introdotte dalle richieste delle parti.

La Corte d’Appello di Caltanissetta, con sentenza depositata il 21-7- 2006, rigettava l’appello e quello incidentale e compensava le spese.

Per la cassazione di tale sentenza la G. ha proposto ricorso con un unico complesso motivo, sotto due profili.

La società ha resistito con controricorso ed ha avanzato ricorso incidentale condizionato con due motivi.

La G., a sua volta, ha resistito al ricorso incidentale di controparte con controricorso (che erroneamente è stato iscritto con un terzo numero di R.G.).

Infine la società ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c.
Motivi della decisione

Preliminarmente vanno riuniti i ricorsi avverso la stessa sentenza ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

Con l’unico complesso motivo del ricorso principale la G., denunciando violazione dell’art. 112 c.p.c. e vizio di motivazione, deduce che la Corte d’Appello ha replicato, aggravandoli, gli stessi errori commessi dal primo giudice, in sostanza ritenendo che l’apposizione del termine sarebbe stata giustificata mediante il richiamo all’ipotesi delle "esigenze eccezionali" di cui all’accordo 25-9-97 (integrativo dell’art. 8 del ccnl 1994) e successivi accordi attuativi, laddove invece risultava pacifico che il contratto era stato stipulato con riferimento a due delle ipotesi previste dall’art. 25 del ccnl del 11-1-2001 ("esigenze di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione…." e "necessità di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie"), peraltro in contrasto tra loro e senza che la società avesse provato la sussistenza in concreto, con riferimento alla assunzione de qua, delle specifiche esigenze dedotte in contratto, il tutto come lamentato nei motivi di appello.

La ricorrente formula quindi il seguente quesito di diritto: "il Giudice ha l’obbligo di pronunciarsi sull’intera domanda (e sulla relativa eccezione) proposta dalle parti?".

Osserva preliminarmente il Collegio che nella fattispecie va applicato l’art. 366 bis c.p.c., ratione temporis, trattandosi di ricorso avverso sentenza depositata in data successiva all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006 ed anteriore all’entrata in vigore della L. n. 69 del 2009 (cfr. fra le altre Cass. 24-3-2010 n. 7119, Cass. 16-12-2009 n. 26364).

Orbene l’art. 366 bis c.p.c., "nel prescrivere le modalità di formulazione dei motivi di ricorso in cassazione, comporta, ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso medesimo, una diversa valutazione da parte del giudice di legittimità a seconda che si sia in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, ovvero del motivo previsto dal numero 5 della stessa disposizione. Nel primo caso ciascuna censura deve, all’esito della sua illustrazione, tradursi in un quesito di diritto, la cui enunciazione (e formalità espressiva) va funzionalizzata, come attestato dall’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di diritto ovvero a "dicta" giurisprudenziali su questioni di diritto dì particolare importanza, mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5 (il cui oggetto riguarda il solo "iter" argomentativo della decisione impugnata), è richiesta una illustrazione che pur libera da rigidità formali, si deve concretizzare in una esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione" (v. Cass. 25-2-2009 n. 4556).

In particolare il quesito di diritto, in sostanza, deve integrare (in base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4- 2009 n. 8463) e "deve comprendere l’indicazione sia della "regola iuris" adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile" (v.

Cass. 30-9-2008 n. 24339).

Peraltro è inammissibile non solo il motivo nel quale il suddetto quesito manchi, ma anche quello nel quale sia formulato in modo inconferente in relazione alla illustrazione del motivo stesso, o rispetto al decisum (v. Cass. S.U. 29-10-2007 n. 22640), "ovvero sia formulato in modo implicito, sì da dovere essere ricavato per via di interpretazione dal giudice; od ancora sia formulato in modo tale da richiedere alla Corte un inammissibile accertamento di fatto; od, infine, sia formulato in modo del tutto generico" (v. Cass. S.U. 28-9- 2007 n. 20360 cfr. Cass. S.U. 5-2-2008 n. 2658).

Nell’ipotesi, poi, prevista dall’art. 360 c.p.c., n. 5, come pure è stato precisato e va qui nuovamente enunciato, "l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione" e "la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo al quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità" (v. Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20603, Cass. 20-2-2008 4309). Tale sintesi deve essere "evidente ed autonoma" – v. Cass. 30- 12-2009 n. 27680, Cass. 7-4-2008 n. 8897, Cass. S.U. 1-10-2007 n. 20603, Cass. 18-7-2007 n. 16002 – e non può essere ricavata implicitamente dall’esposizione complessiva del motivo stesso.

Orbene nel caso in esame il quesito di diritto risulta del tutto astratto e generico, privo di riferimenti al decisum della sentenza impugnata ed assolutamente inidoneo a circoscrivere la decisione delle questioni specifiche sollevate con il complesso motivo.

Del pari, con riguardo alla censura di omessa motivazione, nel caso in esame, manca una chiara autonoma sintesi dei fatti in relazione ai quali la motivazione si assume carente con la indicazione delle relative ragioni.

Il ricorso principale va pertanto dichiarato inammissibile, con la conseguenza che il ricorso incidentale (tardivo) va dichiarato inefficace ai sensi dell’art. 334 c.p.c..

Infine, in considerazione della novità delle questioni e dell’esito dei ricorsi, le spese vanno compensate tra le parti.
P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibile il ricorso principale e inefficace quello incidentale, compensa le spese.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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