Cass. civ. Sez. II, Sent., 17-08-2011, n. 17338 associazione

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Svolgimento del processo

Con atto notificato il 25 giugno 1999 F.G. conveniva P.G. avanti al Tribunale di Ferrara ed esponeva: a) che con rogito del 15 dicembre 1980 aveva venduto un terreno di sua proprietà alla s.n.c. Pavanelli Gilberto & C. per il prezzo dichiarato nell’atto di L. 50 milioni, ma in realtà di L. 79.215.000; b) che con scrittura privata in data 22 dicembre 1980 aveva convenuto con la società acquirente che avrebbe partecipato alla costruzione dei fabbricati da realizzare sul terreno, contribuendo per un terzo e percependo in pari misura gli utili.

Prendendo le mosse da tali accordi, F.G. chiedeva la condanna del convenuto al pagamento della complessiva somma di L. 170.327.246, di cui L. 79.215.000 quale prezzo della vendita del terreno di sua proprietà e L. 91.112.246 per la quota di utili cui aveva diritto.

Il convenuto, costituitosi, contestava il fondamento della domanda, che veniva rigettata dal tribunale adito con sentenza in data 9 agosto 2002.

F.G. proponeva appello, che veniva parzialmente accolto dalla Corte di appello di Bologna, con sentenza in data 28 ottobre 2008.

I giudici di secondo grado premettevano che infondatamente P. G. sosteneva che F.G. non avrebbe potuto pretendere l’adempimento degli obblighi nascenti dal contratto del 22 dicembre 1980 senza avere prima fornito la prova di avere a sua volta adempiuto quelli a suo carico. Il contraente il quale chieda l’adempimento del contratto non è tenuto a provare il suo adempimento, essendo onerato soltanto della prova dell’esistenza del titolo, salvo che l’obbligato opponga l’eccezione inadimplenti non est adimplendum, nel qual caso sorge a carico dell’altra parte l’onere di neutralizzarla, provando il suo adempimento. Nella specie P.G. non aveva proposto alcuna eccezione in tal senso.

Nel merito, i giudici di secondo grado ritenevano che nella specie tra le parti era stato stipulato un contratto di associazione in partecipazione, in cui F.G. aveva assunto la veste di associato e la soc. Pavanelli Gilberto & C, la qualità di associante, per cui quest’ultima doveva corrispondere al primo la quota di utili allo stesso spettanti.

L’utile complessivo era stato di L. 160.620.262, di cui un terzo spettava a F.G.. A tali utili doveva essere aggiunto l’importo di L. 79.215.000, pari al valore dell’area edificabile posta a disposizione da F.G. per l’esecuzione dell’affare. Il credito totale dell’associcito ammontava, pertanto, a L. 132.755.245, pari ad Euro 68.562,36.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione R. G., con tre motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso F.G..
Motivi della decisione

Con il primo motivo il ricorrente deduce che il contraddittorio avrebbe dovuto essere integrato nei confronti di Loretta Duo, comproprietaria con F.G. dei terreni trasferiti alla la soc. Pavanelli & C..

Il motivo è infondato.

Oggetto dell’attuale giudizio è l’inadempimento della convenzione in data 22 ottobre 1980, stipulata da F.G., il quale ha dichiarato di agire anche in nome, conto ed interesse della moglie, D.L..

Poichè non risulta che quest’ultima avesse conferito potere rappresentativo al marito o che abbia ratificato l’opera dello stesso, è rimasta estranea alla convenzione stessa e quindi non può assumere la veste di litisconsorte necessario in ordine alla controversie nascenti da essa.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce che, contrariamente a quanto affermato dalla sentenza impugnata, aveva tempestivamente proposto (con la comparsa di costituzione in primo grado);

l’eccezione di inadempimento.

Anche tale motivo è infondato.

A prescindere dalla questione se dalle espressioni contenute nella comparsa di costituzione e riposta (trascritte nel motivo di ricorso) sia desumibile la proposizione di una vera eccezione di inadempimento, P.G., vittorioso in primo grado, non deduce neppure di avere riproposto l’eccezione in questione nel giudizio di appello ai sensi dell’art. 346 c.p.c..

Con il terzo motivo il ricorrente propone due censure.

Con la prima deduce che la Corte di appello non si sarebbe pronunciata sulla richiesta di compensazione del credito vantato da F.G. con il debito dello stesso, pari ad Euro 32.322,76, in relazione agli obblighi assunti per la realizzazione dell’affare.

La doglianza è fondata.

La richiesta di compensazione risulta proposta con le conclusioni dell’attuale ricorrente, ma la sentenza impugnata tace sul punto.

Con la seconda doglianza P.G. lamenta che la Corte di appello non abbia portato in compensazione con il credito riconosciuto a F.G. l’importo, pari a L. 40.000.000 dallo stesso percepito dall’altro socio Z.I..

La doglianza è infondata, in quanto nelle conclusioni dell’attuale ricorrente si fa riferimento esclusivo alla compensazione di Euro 32.322,75, di cui sopra.

Con il quarto motivo il ricorrente deduce che al C.T.U. era stato dato incarico di accertare i prezzi di mercato degli immobili venduti dalla società assodante tenendo conto della documentazione in atti e di quella reperibile presso pubblici uffici.

Il C.T.U., invece, aveva fatto riferimento alle "informazioni assunte da seri e disinteressati operatori del settore".

La doglianza è infondata, in quanto, anche volendo prescindere dal fatto che non viene dedotto che la stessa era stata sollevata nel giudizio di merito, il C.T.U. era stato autorizzato anche a valersi dell’ausilio di esperti.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida nella complessiva somma di Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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