Rapporto tra dolo e tentativo: “L’idoneità e la direzione non equivoca degli atti a realizzare il delitto voluto sono incompatibili con una direttiva psicologica che rivesta il contenuto del dolo eventuale”. Cassazione Penale,Sez. I sentenza 4/3/09 n.9814

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con la decisione in epigrafe la Corte d’appello di … confermava la sentenza … del Giudice delle indagini preliminari del Tribunale della medesima città nella parte in cui aveva dichiarato P.L. responsabile dei reati di tentato omicidio nei confronti di D.S.F. e resistenza a Pubblico Ufficiale, fatti commessi il giorno **** nonchè dei reati di detenzione illecita a fini di spaccio di stupefacente (eroina, cocaina e hashish) e spaccio di eroina (8 episodi), commessi nei giorni ****; e, ferma la ritenuta recidiva specifica, reiterata e infraquinquennale contestata, la unificazione dei fatti ex art. 81 cpv. c.p. e la riduzione per il rito abbreviato nonchè il risarcimento dei danni nei confronti della parte civile D.S.F., rideterminava la pena in … anni e … mesi di reclusione.
L’addebito di tentato omicidio (unico oggetto di ricorso) aveva riguardo alla condotta posta in essere nei confronti del Carabiniere D.S.F., intervenuto per identificare il P. nel corso di un’operazione avente oggetto i reati di spaccio. Secondo l’imputazione il P., alla guida della sua auto, aveva investito e trascinato per circa una quindicina di metri il D.S. "mentre si trovava con parte del corpo proiettato all’interno del veicolo guidato dal P. incastrato tra l’abitacolo e la portiera lato guida nel tentativo di rimuovere la chiave d’accensione e spegnere il motore dell’auto", così provocandogli lesioni e ponendo in essere atti idonei diretti in modo non equivoco a cagionarne la morte: evitata grazie all’intervento del Tenente D.G., che "balzato anche lui all’interno del veicolo riusciva, dopo una colluttazione, a strappare le chiavi dal blocchetto d’accensione così fermando il mezzo".
A ragione della conferma della condanna per tentato omicidio la Corte d’appello osservava che la vicenda era stata così ricostruita: "i militari avevano deciso di controllare l’autovettura del P. ferma nell’area di parcheggio di un esercizio commerciale; … da tale autovettura, lato passeggero, era scesa una persona che si era allontanata; … il carabiniere D.S. si era diretto verso il lato conducente e, dopo essersi qualificato, aveva introdotto le braccia all’interno della vettura per spegnere il motore e togliere le chiavi; … l’imputato aveva però avviato la vettura in retromarcia; … il tenente D.G. aveva aperto la portiera di destra e cercato di salire a bordo per bloccare il conducente; …
D.S., a seguito dalla manovra di retromarcia, era rimasto incastrato fra l’abitacolo e la portiera e trascinato con violenza indietro; … P., dopo avere percorso circa 5 metri ad arco in retromarcia, aveva innestato la marcia avanti ed era partito procedendo per diversi metri a velocità crescente; … ad un certo punto D.S. era stato sbalzato fuori, cadendo a terra, sbattendo la spalla sinistra sull’asfalto e rotolando più volte su se stesso; … D.G., dopo essersi insediato a bordo con grosse difficoltà, era riuscito a spegnere il motore; … l’imputato, sempre cercando di strattonare il D.G., aveva gettato fuori dal finestrino il contenuto di un sacchetto che era stato poi recuperato …".
Ed assumeva che poteva convenirsi che la condotta del P. era idonea a provocare la morte del D.S. e che aveva agito con dolo alternativo, giacchè, contrariamente a quanto si sosteneva coi motivi d’appello, l’idoneità della condotta dipendeva non tanto dalla velocità dell’auto, quanto dalla sua accelerazione "tale cioè da dover provocare il "distacco"del D.S.", che era poi avvenuto, con le conseguenze lesive refertate.
2. Ricorre l’imputato personalmente e chiede l’annullamento della sentenza impugnata svolgendo motivi solo con riferimento alla imputazione di tentato omicidio. Denunzia violazione degli artt. 43, 56 e 575 c.p. nonchè manifesta illogicità della motivazione e osserva che, contrariamente all’assunto, tendente alla affermazione del dolo alternativo, la ricostruzione effettuata dai giudici di merito si risolve nella dimostrazione di una forma di dolo d’omicidio al più eventuale. L’affermazione che la decisione dell’imputato "di agire rispetto ad una condotta che doveva evitare" comporta la "accettazione di tutte le possibili dirette conseguenze" avrebbe riguardo infatti al dolo eventuale, mentre la proposizione "l’imputato ha posto in essere una condotta di per sè violenta e lesiva e deve quindi rispondere delle conseguenze a titolo di dolo" parrebbe addirittura riferirsi ad una sorta di responsabilità oggettiva. E la conclusione che, data la ricostruzione dei fatti, l’imputato non poteva avere "la sicurezza … e quindi la volontà" di non provocare il decesso della persona offesa eludeva, invertendo i termini del problema, la positiva dimostrazione che l’imputato volesse alternativamente provocare la morte e si risolveva anch’essa nella presupposizione di un dolo eventuale. Insomma, nella impossibilità di dimostrare il dolo diretto, era da escludere la qualificazione del fatto alla stregua di omicidio tentato.

MOTIVI

Osserva il Collegio che il ricorso attiene alla sola imputazione di tentato omicidio e appare, nei termini che si diranno, fondato.
È pacifico, in giurisprudenza, che l’ipotesi del tentativo richiede il dolo diretto, nella forma, al più, di dolo alternativo. Non è configurabile, invece, ove ricorra il solo dolo eventuale.
Secondo principi consolidati tale forma più tenue della volontà dolosa, oltre la quale si colloca la colpa (cosciente), è costituita (cfr. S.U. n. 748 del 12/10/1993, …, che richiama S.U. n. 3428 del 06/12/1991, e alla quale si rifanno S.U. n. 3571 del 14/02/1996, … e S.U. n. 3286 del 27.11.2008, …) da un realtà psicologica in cui si ha consapevolezza che l’evento, non direttamente voluto, ha la probabilità di verificarsi in conseguenza della propria azione nonchè dall’accettazione volontaristica di tale rischio. A siffatto livello, nel caso di azione posta in essere cioè con accettazione del rischio dell’evento, si richiederà poi di fatto all’autore una adesione di volontà, maggiore o minore, a seconda che egli consideri maggiore o minore la probabilità di verificazione dell’evento.
Nel caso in cui, invece, l’agente ritiene "altamente probabile o certo" l’evento, egli non si limita ad accettarne il rischio, ma necessariamente accetta l’evento stesso, cioè alternativamente lo vuole "con un’intensità evidentemente maggiore di quelle precedenti". Se l’evento, oltre che accettato, è perseguito, la volontà si colloca in un ulteriore livello di gravità, e potrà, altresì, distinguersi fra un evento voluto, come mezzo necessario per raggiungere uno scopo finale, e un evento perseguito come scopo finale.
La qualificazione di dolo eventuale è attribuita dunque all’accettazione del rischio; quella di dolo alternativo all’accettazione, che non può che essere positiva, dell’evento.
Nel caso in esame la Corte d’appello non mostra d’avere chiari tali principi e, soprattutto, non mostra d’averli applicati.
Premessa una ricostruzione del fatto che si discosta dalla contestazione (secondo la quale la condotta diretta a cagionare la morte della persona offesa anche mediante il tentativo di suo investimento e il trascinamento del corpo per "una quindicina di metri" non era stata portata a compimento in particolare per l’intervento del Tenente D.G.), la Corte d’appello afferma che evidentemente il P. intendeva "provocare il distacco" del Carabiniere D.S. dalla portiera dell’auto e che in effetti l’accelerazione dell’auto aveva prodotto "lo scopo prefissato". Si sofferma quindi sulla "estrema" pericolosità della situazione senza chiarire al pericolo di cosa intendesse riferirsi (di lesioni o anche di morte), osservando che la idoneità della condotta a provocare la morte discendeva dalla "estrema" accelerazione e dalla possibilità di un violento impatto "della testa o di altre parti vitali contro il suolo, veicoli, pali o altri ostacoli", senza tuttavia fornire basi fattuali di tali indicazioni e senza dunque ricondurre la idoneità in astratto alla idoneità in concreto. Prosegue addentrandosi in considerazioni sulla nozione di dolo eventuale e alternativo, affiancando affermazioni corrette ad altre, trattate come se fossero la stessa cosa, confuse e palesemente errate (o sconfinanti verso il versante, incongruo rispetto al tema trattato, della responsabilità preterintenzionale, come quando dice che avendo posto in essere condotte di per sè violente e lesive l’agente deve comunque rispondere di tutti gli eventi dannosi che ne conseguono "come espressione di una propria volontà (diretta rispetto agli eventi voluti, indiretta rispetto agli eventi non voluti, ma comunque realizzatisi per il concatenarsi degli eventi e l’intervento di concause), avendo, …, deciso di agire rispetto ad una condotta che doveva evitare, con conseguente accettazione di tutte le possibili dirette conseguenze").
Soprattutto, però, giunge alla non riparabile conclusione che sussisteva il dolo alternativo avendo il P. posto in essere una condotta di per sè violenta e lesiva, costituendo "dato di comune esperienza che nessuno può provocare il distacco di una persona aggrappata alla portiera della propria auto, imprimendo una velocità tale alla vettura da determinare un simile evento, con la sicurezza, sulla base dei dati di normale esperienza, e quindi la volontà, di non provocarne il decesso".
Non solo la regola inferenziale assunta (da cosiddetta massima di esperienza) è incongrua perchè, come detto, manca una esaustiva indicazione dei dati fattuali che giustificano la premessa maggiore (grado dell’accelerazione e possibilità che la caduta portasse a morte a causa della situazione dei luoghi); ma è formalmente contraddittoria e giuridicamente errata la conseguenza trattane, giacchè quello che si richiede per il dolo alternativo non è la esclusione della sicurezza e quindi della volontà di non provocare l’evento, ma l’affermazione, in positivo, della rappresentazione e della accettazione di un evento altamente probabile: cosa che la Corte non ha dimostrato.
Con riferimento al reato di tentato omicidio la sentenza impugnata deve di conseguenza essere annullata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione della Corte d’appello di… .
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al tentato omicidio e rinvia per nuovo giudizio sul capo ad altra sezione della Corte d’appello di… .
Così deciso in Roma, il 10 febbraio 2009.
Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2009.

Testo non ufficiale. La sola stampa del dispositivo ufficiale ha carattere legale.

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