Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-03-2011) 04-05-2011, n. 17272 Giudizio abbreviato

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 2.3.10 la Corte d’Appello di Napoli confermava la condanna emessa all’esito di rito abbreviato il 25.5.09 dal Tribunale della medesima sede nei confronti di L.M. per il delitto di concorso in rapina pluriaggravata ai danni di F.F. e A.L., porto ingiustificato di coltelli e lesioni personali aggravate ai danni del solo F..

Tramite il proprio difensore il L. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:

a) nullità della sentenza d’appello per omessa e irrituale citazione dell’imputato, avvenuta senza il rispetto del termine a comparire di almeno 20 giorni di cui all’art. 601 c.p.p., comma 3;

b) violazione dell’art. 438 c.p.p. per non aver ammesso il Tribunale – con decisione sul punto confermata dalla Corte territoriale – la deposizione della teste B.L. nè ammesso le domande che la difesa avrebbe voluto porre ai testimoni in fase di ricognizione personale;

c) lo stesso motivo veniva fatto valere sotto forma di violazione dell’art. 603 c.p.p. per omessa rinnovazione del dibattimento per assumere detti mezzi di prova;

d) vizio di motivazione e violazione di legge nella parte in cui l’impugnata sentenza non aveva risposto alle doglianze sollevate nei motivi d’appello e non aveva assolto il L. per non aver commesso il fatto: in proposito il ricorso deduceva che l’illegittimo riconoscimento eseguito nell’immediatezza del fatto in Commissariato dalle persone offese e da altri testi aveva inquinato la ricognizione poi effettuata in sede di giudizio abbreviato condizionato (per altro, il ricorrente era stato riconosciuto non per le sembianze fisiche, ma per l’abbigliamento indossato, simile a quello di uno dei due rapinatori e, inoltre, nelle sale illuminate del Commissariato erano state riconosciute le sembianze di persone che i testi, in realtà, avevano visto solo nell’oscurità della notte e nei momenti concitati della rapina); tale riconoscimento era stato effettuato non davanti al PM, ma in Commissariato ed era, poi, viziato dalla mancata adozione delle forme di cui agli artt. 213 e seg. c.p.p., sicchè – al più – poteva ricondursi a un’atipica individuazione ad iniziativa della p.g. regolata ex artt. 55 e 348 c.p.p., nel caso di specie non applicabili, però, per mancanza del carattere di assoluta urgenza;

e) la gravata pronuncia aveva, sotto vari profili, erroneamente ricostruito la vicenda processuale: non vi era prova che davvero le persone offese avessero sommariamente descritto presso il Commissariato gli autori della rapina; il L. si era spontaneamente avvicinato alla polizia al solo fine di avere notizie del fermo del suo amico L.S. (ritenuto concorrente nella rapina), il che ne dimostrava la buona fede; le stesse differenti descrizioni operate dalle persone offese e dagli altri testi corroborava le perplessità difensive a riguardo;

f) inutilizzabilità ex art. 63 c.p.p., comma 2 delle dichiarazioni rese alla p.g. in assenza del difensore dal L. e dalla sua amica R.C., nonostante che per entrambi si fossero, in quel momento, già profilati indizi di reità;

g) illogico diniego delle attenuanti dell’art. 62 bis c.p. per l’asserita gravità del fatto, diniego ingiustificato vista l’incensuratezza del L. e contraddittorio rispetto all’avvenuta concessione dell’attenuante dell’art. 62 c.p., n. 4 e delle generiche al solo coimputato L.S.;

h) mancata riduzione al minimo edittale della pena irrogata, nonostante l’incerta e dubbia intensità dell’elemento psicologico, l’incensuratezza del ricorrente, il corretto comportamento processuale, la giovane età (il L. era, all’epoca, infraventunenne), la condotta di vita antecedente, il modesto contributo concorsuale e il fatto che non fosse stato lui a colpire la parte offesa F. con un coltello, di cui ignorava il possesso da parte del L.S..

1- Il motivo che precede sub a) è infondato perchè – come si desume da Cass. S.U. n. 39060 del 16.7.09, dep. 8.10.09, rv. 244187, Aprea (in quel caso si trattava di omesso avviso ad uno dei due difensori, ma la questione è analoga all’insufficienza del termine a comparire per l’imputato, versandosi pur sempre in un caso di nullità a regime intermedio, come riconosce lo stesso odierno ricorrente) – la nullità derivante da irrituale citazione od avviso deve essere eccepita al più tardi immediatamente dopo gli atti preliminari, prima delle conclusioni qualora il procedimento non importi ulteriori attività, in quanto il suo svolgersi (in udienza preliminare, riesame cautelare o giudizio ordinario) presume la rinuncia all’eccezione, senza che sia possibile farla valere successivamente.

Il principio è coerente con la prevalente anteriore giurisprudenza per cui, trattandosi di nullità a regime intermedio riferibile alla fase degli atti preliminari al dibattimento, ex art. 180 c.p.p. essa deve essere dedotta prima della deliberazione del grado (cfr. Cass. Sez. 6 n. 17267 del 16.4.10, dep. 6.5.10, rv. 247086; Cass. Sez. 5 n. 22413 del 23.4.09, dep. 28.5.2009, rv. 243510; Cass. n. 38570/08, rv.

241646; Cass. Sez. 3 n. 13824 del 12.2.2008, dep. 2.4.2008, rv.

239690; Cass. Sez. 3 n. 529 del 1.12.1997, Laezza, rv. 209221, nonchè Cass. Sez. 5 n. 29863 del 4.7.2006, Della Corte, rv.

235.152).

E’ infatti indubitabile che – come l’omesso avviso a uno dei difensori di fiducia dell’imputato – anche l’insufficienza del termine a comparire non attiene alla fase del giudizio, che è propriamente quella disciplinata dal libro 7 del codice di rito, comprendente gli atti preliminari al dibattimento, il dibattimento stesso e la deliberazione della sentenza, ma si colloca in quel segmento procedimentale che sta tra il decreto dispositivo del giudizio ( art. 429 c.p.p.) o il decreto di citazione diretta a giudizio ( art. 552 c.p.p.) e la prima udienza innanzi al giudice del dibattimento. E’ una nullità a regime intermedio che, ai sensi dell’art. 180 c.p.p., non essendosi verificata nel giudizio non può essere più rilevata o dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado.

Questa ricognizione va applicata analogicamente anche al processo d’appello, pur se in questo gli atti che precedono il giudizio, comprendenti le notifiche delle citazioni delle parti e dei difensori, sono denominati nella rubrica dell’art. 601 c.p.p. come atti preliminari al giudizio: il segmento procedimentale è analogo a quello di primo grado e la differente terminologia si spiega perchè nel secondo grado è lo stesso giudice deputato al giudizio d’appello a provvedere agli adempimenti e non, come nel primo grado, il giudice dell’udienza preliminare o il pubblico ministero. Ma i diritti processuali delle parti e il connesso regime delle nullità si configurano allo stesso modo.

Di conseguenza, la nullità de qua, verificatasi nella fase degli atti preliminari al giudizio d’appello, non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione (come invece ha fatto l’odierno ricorrente).

2- Del pari infondato è il motivo che precede sub b).

L’impugnata sentenza – sul punto non contestata dal ricorrente – da atto che la ricognizione personale anche da parte della B. (chiesta dal L. in sede di abbreviato condizionato) è stata poi revocata dal Tribunale, su istanza del PM, senza che la difesa dell’imputato eccepisse alcunchè a riguardo, rimettendosi alla decisione del Collegio sul punto.

Ne deriva che nel caso in esame trova applicazione la nota giurisprudenza di questa Corte Suprema, da cui non si ravvisa motivo di discostarsi, secondo cui, in tema di rito abbreviato condizionato ad integrazione probatoria, la decisione del giudice di revocare l’assunzione di una delle prove richieste, perchè reputata ormai superflua, da luogo ad una nullità di carattere generale, che resta però sanata ex art. 183 c.p.p. ove la difesa non abbia eccepito alcunchè (cfr. Cass. Sez. 2, n. 23605 del 12.3.10, dep. 18.6.10;

Cass. Sez. 5 n. 37551 del 25.6.08, dep. 2.10.08; Cass. Sez. 5 n. 6772 del 12.12.05, dep. 23.2.06, e altre ancora).

Nè la doglianza dell’odierno ricorrente può riciclarsi sotto forma di mancata ammissione di ulteriori richiesta istruttorie diverse da quelle oggetto dell’istanza di accesso al rito abbreviato condizionato: infatti, una volta che l’imputato abbia chiesto ex art. 438 c.p.p., comma 5 il giudizio abbreviato subordinato ad una determinata integrazione probatoria (nel caso in esame, la ricognizione ex artt. 213 e 214 c.p.p. ad opera delle persone offese F. e A. e dei testi Fe., D. e B.), non può poi estenderlo ad ulteriori incombenti istruttori ritenuti opportuni, pena lo snaturamento del rito alternativo e della logica del sistema, che prevede la possibilità – da parte del PM – di chiedere prova contraria a quella integrativa.

Ed è indubbio che una cosa è la prova tipica costituita dalla ricognizione di persona, altro è l’esame dibattimentale dell’autore della ricognizione medesima o di altri soggetti.

Inoltre, pretendere – dopo l’avvenuta ammissione del giudizio abbreviato – ulteriori iniziative istruttorie rispetto a quelle cui era stata subordinata l’istanza significherebbe aggirare il controllo giudiziale sulla compatibilità, in termini quantitativi e qualitativi, dell’integrazione probatoria rispetto alle finalità di economia processuale proprie del rito, cui – non a caso – l’art. 438 c.p.p., comma 5 subordina l’accoglimento dell’istanza.

In breve, una non prevista estensione ad libitum delle possibilità di integrazione probatoria sortirebbe l’effetto di una surrettizia trasformazione del giudizio abbreviato, che da rito a prova contratta si convertirebbe in una sorta di dibattimento svolto in camera di consiglio senza alcun ritorno in termini di economia processuale.

Pertanto, correttamente il primo giudice ha negato che l’integrazione proseguisse, dopo la ricognizione, con l’esame della teste B. L..

Nè il ricorrente può dolersi di non aver potuto porre domande ai testimoni chiamati alla ricognizione, atteso che la relativa disciplina contenuta negli artt. 213 e 214 c.p.p. non prevede che le parti possano porre domande.

3- La censura che precede sub c) è manifestamente infondata perchè trascura che, fin dal celebre arret delle Sezioni Unite n. 930 del 13.12.95, dep. 29.1.96, rv. 203427, Clarke (seguito da uniforme giurisprudenza, fra cui – ad es. – Cass. Sez. 1 n. 7246 del 5.3.99, dep. 8.6.99, rv. 213702, Brollo), questa Corte Suprema ha statuito che "Nel processo celebrato con la forma del rito abbreviato al giudice di appello è consentito, a differenza che al giudice di primo grado, disporre d’ufficio i mezzi di prova ritenuti assolutamente necessari per l’accertamento dei fatti che formano oggetto della decisione, secondo il disposto dell’art. 603 c.p.p., comma 3; in tale fase, peraltro, non può configurarsi alcun potere di iniziativa delle parti in ordine all’assunzione delle prove in quanto, prestando il consenso all’adozione del rito abbreviato, esse hanno definitivamente rinunciato al diritto alla prova".

Nè si ravvisa vizio di motivazione nel diniego, da parte dei giudici del merito, di avvalersi del potere discrezionale di parziale rinnovazione del dibattimento: invero, premesso che l’esercizio del potere officioso di cui all’art. 603 c.p.p. è meramente discrezionale e, in quanto tale, non censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato (cfr. Cass. Sez. 5 n. 26085 del 16.6.2005, dep. 14.7.2005; Cass. Sez. 1 n. 4177 del 27.10.2003, dep. 4.2.2004; Cass. Sez. 4 n. 45998 del 29.9.2003, dep. 28.11.2003; Cass. Sez. 6 n. 33105 dell’8.7.2003, dep. 5.8.2003; Cass. Sez. 6 n. 12539 del 12.10.2000, dep. 1.12.2000), nel caso di specie l’impugnata sentenza ha correttamente ritenuto sufficiente a dimostrare la penale responsabilità del L. l’avvenuto riconoscimento eseguito innanzi al Tribunale.

4- Il motivo che precede sub d) è infondato laddove lamenta sia l’illegittimità della ricognizione (rectius: individuazione) effettuata nell’immediatezza dei fatti presso l’autorità di polizia sia "l’inquinamento" che esso avrebbe provocato ai danni della genuinità del riconoscimento poi svoltosi in sede di giudizio abbreviato condizionato.

Invero, l’individuazione avvenuta nel corso delle indagini preliminari costituisce prova atipica fisiologicamente inutilizzabile in dibattimento sol perchè, appunto, realizzatasi in assenza di contraddittorio fra le parti; ma tale inutilizzabilità fisiologica è destinata – a differenza di quella patologica – ad essere superata una volta che l’imputato abbia optato per il rito a prova contratta (sulla distinzione fra inutilizzabilità patologica e inutilizzabilità fisiologica v. Cass. S.U. n. 16 del 21.6.2000, dep. 30.6.2000, Tammaro).

Quanto al preteso inquinamento che la precedente individuazione avrebbe determinato sul riconoscimento poi eseguito innanzi al Tribunale nelle forme degli artt. 213 e 214 c.p.p., a parte l’intima contraddizione (nell’ottica dell’odierno ricorrente) rispetto ad una richiesta di abbreviato subordinato proprio ad un riconoscimento che il L. già riteneva non più "genuino", resta il rilievo che non è nulla nè inutilizzabile la ricognizione personale compiuta dalla persona già chiamata, nel corso delle indagini preliminari, ad eseguire (una o più volte) l’individuazione dell’indagato, non esistendo tra individuazione e ricognizione alcun rapporto di alternatività tale che, una volta disposta la prima, non si potrebbe mai procedere alla seconda. Ove, infatti, si seguisse una simile linea interpretativa si sovrapporrebbero surrettiziamente le nozioni di atto non rinviabile e di atto non ripetibile, risultando l’individuazione, come tale, sempre ripetibile (salvo che nel frattempo non ne sia venuto meno l’oggetto) attraverso il mezzo di prova rappresentato dalla ricognizione (cfr. Cass. Sez. 2, n. 7337 del 27.1.09, dep. 19.2.09; Cass. Sez. 6 n. 6422 del 18.2.94, dep. 1.6.94).

Quanto ai dubbi sulla genuinità del ricordo ribadito in sede dibattimentale – genuinità che in ricorso si suppone viziata dalla preventiva individuazione avvenuta nel corso delle indagini preliminari – è appena il caso di notare che si tratta di mero ipotetico argomento difensivo spendibile al momento della libera valutazione del materiale probatorio, ma ormai precluso in sede di legittimità.

Da ultimo, non è esatto sostenere che nel caso di specie l’individuazione eseguita ad iniziativa della polizia giudiziaria come atto atipico di indagine ex artt. 55 e 348 c.p.p. non sarebbe applicabile per mancanza del carattere di assoluta urgenza, atteso che dette disposizioni, nel sancire il principio di atipicità degli atti di indagine della polizia giudiziaria, prevedono che essa, anche in difetto di direttive o formali deleghe del PM, possa e debba compiere di propria iniziativa tutte le indagini che ritiene necessarie ai fini dell’accertamento del reato e dell’individuazione dei colpevoli (cfr. Cass. Sez. Un. 16818 del 27.3.08, dep. 23.4.08;

Cass. Sez. 2, n. 35612 del 27.6.07, dep. 26.9.07, ed altre ancora).

5- Il motivo che precede sub e) si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p., perchè in esso sostanzialmente si svolgono mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del merito, sollecitando una terza lettura delle risultanze processuali che presupporrebbe un accesso diretto agli atti da parte di questa S.C., operazione ovviamente non consentita in sede di legittimità. 6- La doglianza che precede sub f) è irrilevante perchè la condanna del L. è stata emessa non già in forza delle dichiarazioni rese da costui e dalla sua amica R.C. alla polizia giudiziaria in assenza di difensore, bensì essenzialmente in ragione dell’avvenuto riconoscimento svoltosi davanti al Tribunale nelle forme degli artt. 213 e 214 c.p.p., prova tipica che (per consolidata giurisprudenza: cfr. Cass. Sez. 3 n. 11282 del 26.9.2000, dep. 6.11.2000; Cass. Sez. 2 n. 10141 del 4.7.95, dep. 5.10.95) ben può da sola, ove soggettivamente certa ed oggettivamente attendibile (e su ciò i giudici del merito hanno adeguatamente motivato, essendosi trattato di riconoscimenti plurimi e reiterati), bastare per un’affermazione di penale responsabilità.

Nel caso in esame, per altro, anche se le dichiarazioni predette avessero svolto un ruolo più incisivo nell’economia della motivazione dell’impugnata sentenza, ad ogni modo il rilievo che precede dimostra che la c.d. "prova di resistenza" non condurrebbe ad esiti diversi (sull’applicabilità della c.d. "prova di resistenza" anche in sede di legittimità v. Cass. Sez. 5 n. 37694 del 15.7.08, dep. 3.10.08).

7- Sono altresì da disattendersi i motivi che precedono sub g) e sub h), da trattarsi congiuntamente perchè entrambi inerenti al trattamento sanzionatorio.

E’ noto in giurisprudenza che ai fini della determinazione della pena e dell’applicabilità delle circostanze attenuanti di cui all’art. 62 bis c.p. non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo invece sufficiente che specifichi a quale di essi ha inteso fare riferimento. Ne consegue che con il rinvio alle gravi modalità dei fatti, caratterizzate da un uso gratuito di violenza fisica ai danni del F., l’impugnata sentenza ha adempiuto l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1 n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98; Cass. Sez. 1 n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).

Ogni altra considerazione svolta in ricorso per attenuare la responsabilità del L. scivola sul piano dell’apprezzamento di fatto.

Infine, non può farsi valere come contraddittorietà della motivazione l’avvenuta concessione delle attenuanti generi che all’altro coimputato (il L.S.), poichè ciò implicherebbe un confronto delle due posizioni (in termini oggettivi e soggettivi) che esula dalla presente sede.

8- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi. Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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