Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 25-03-2011) 04-05-2011, n. 17270

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza 25.5.10 la Corte d’Appello di Reggio Calabria confermava la condanna emessa il 21.10.08 dal Tribunale di Palmi nei confronti di A.C. per il delitto di cui all’art. 648 c.p., comma 2 avente ad oggetto un telefonino cellulare di provenienza furtiva.

Tramite il proprio difensore l’ A. ricorreva – con due analoghi scritti -contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per vizio di motivazione in ordine alla prova della consapevolezza della provenienza delittuosa del bene e del dolo proprio del delitto di ricettazione, dovendosi – al più – derubricare l’accusa in quella di incauto acquisto, tenuto conto, altresì, del breve lasso di tempo in cui furono effettuare le telefonate. In subordine, lamentava l’eccessività della pena vista la non particolare gravità dei fatti contestati che poteva indurre a ravvisare l’ipotesi dell’art. 648 cpv. c.p., nonchè il diniego delle attenuanti generiche, non concesse sol per i precedenti penali del ricorrente.

1- Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato, avendo i giudici del merito fatto corretta applicazione del costante orientamento di questa S.C. in base al quale, ai fini della configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche soltanto sulla base dell’omessa, o non attendibile, indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (cfr. ad es. Cass. Sez. 2, n. 16949 del 27.2.2003, dep. 10.4.2003;

Cass. Sez. 2, n. 11764 del 20.1.2003, dep. 12.3.2003; Cass. Sez. 2, n. 9861 del 18.4.2000, dep. 19.9.2000; Cass. Sez. 2 n. 2436 del 27.2.97, dep. 13.3.97; Cass. n. 2302/92; Cass. n. 6291/91).

Il quadro va, poi, completato ricordando che il fine di trarre profitto è insito nel valore (anche commerciale) del bene ricettato, di cui il ricorrente ha fatto uso nell’arco di alcuni giorni, come emerge dal tenore dell’imputazione elevata a suo carico nell’editto accusatorio.

2- Quanto al trattamento sanzionatorio, premesso che già il Tribunale aveva ravvisato l’ipotesi di cui all’art. 648 cpv. c.p., in ordine all’entità della pena e alle attenuanti dell’art. 62 bis c.p. basti rammentare che non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo invece sufficiente che specifichi a quale di essi ha inteso fare riferimento. Ne consegue che anche soltanto con il rinvio ai precedenti penali dell’imputato, indice concreto della personalità del reo, si adempie l’obbligo di motivare sul punto (cfr. ad esempio Cass. Sez. 1 n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98; Cass. Sez. 1 n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).

3- All’inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente alle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell’impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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