T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, Sent., 03-05-2011, n. 726 Commercio

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La ricorrente espone di essere titolare di un’autorizzazione di tipo A n. 9383/05 rilasciata dal Comune di Padova con provvedimento del 4 maggio 2005 per l’esercizio del commercio su aree pubbliche del settore alimentare di somministrazione di alimenti e bevande con posto fisso in via Venezia.

Per ragioni di sicurezza pubblica, legate al particolare degrado della zona e all’alta concentrazione di malavitosi, segnalato dalla Questura, di cui l’attività commerciale della ricorrente finisce per essere un punto di aggregazione, il Comune con provvedimento prot. n. 177749 del 4 luglio 2005, ha disposto lo spostamento temporaneo del posteggio per il periodo 11 luglio 2005 – 10 gennaio 2006 (poi prorogato fino alla modifica del piano del commercio su aree pubbliche da parte del consiglio comunale, e comunque non oltre la data del 15 gennaio 2007), nell’area individuata in via Vigonovese con orario dalle 20.00 alle 4.00.

La ricorrente ritenendo non idonea e non conveniente la nuova collocazione, che peraltro non è andata ad occupare rimanendo nel posteggio di via Venezia a seguito dell’accoglimento della domanda cautelare disposto nel ricorso r.g. 1040 del 2006 proposto avverso lo spostamento, con istanza presentata al Comune il 27 novembre 2006, ha chiesto la posticipazione dell’orario di chiusura dalle 02.00 alle 04.00. Il Comune, interpellata la Questura che per ragioni di sicurezza e ordine pubblico ha chiesto la riduzione alle ore 24.00 dell’orario, ha infine respinto la richiesta.

Con decreto del Questore di Padova del 13 ottobre 2008 è stata disposta la sospensione dell’esercizio della ricorrente per la durata di 15 giorni, ai sensi dell’art. 100 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773.

Il provvedimento è motivato con riferimento ad una pluralità di episodi:

– il 2 agosto 2008 in prossimità dell’esercizio commerciale della ricorrente vi è stata una violenta rissa culminata nel ferimento con armi da taglio di più persone, cui hanno partecipato anche assidui avventori dell’esercizio;

– il 4 ottobre 2008 è stato arrestato uno straniero sorpreso presso l’esercizio nell’atto di cedere dosi di stupefacente;

– l’8 ottobre 2008 è stato arrestato uno straniero in evidente stato di alterazione psicofisica dovuto all’assunzione di alcol e cocaina che ha procurato lesioni ad un agente estraendo un coltello da cucina nel tentativo di ferire il personale intervenuto in rinforzo.

Il provvedimento esplicita di non aver provveduto alla comunicazione di avvio del procedimento per ragioni di urgenza, determinate dalla pericolosità sociale insita nel processo di radicamento nella specifica area urbana di soggetti criminali e pericolosi e dell’aumento della frequenza delle azioni criminose e violente registratesi.

Con il ricorso in epigrafe tale provvedimento è impugnato per le seguenti censure:

I) violazione dell’art. 100 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, falsità di presupposti e travisamento;

II) sviamento, erronea applicazione dell’art. 100 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, carenza di presupposti, disparità di trattamento e carenza di motivazione;

III) illogicità, contraddittorietà, sviamento, violazione ed erronea applicazione dell’art. 100 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773 ed assenza di motivazione;

IV) violazione degli art. 3 e 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, carenza di motivazione ed istruttoria, illogicità, violazione del principio di proporzionalità ed ingiustizia, nonché falsità di presupposto.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione dell’Interno depositando una relazione della Questura di Padova che replica puntualmente alle censure, e allega le annotazioni e i verbali delle informazioni testimoniali, i verbali di arresto e le relazioni di servizio degli episodi citati nel provvedimento impugnato.

Alla pubblica udienza del 9 marzo 2011, nel corso della quale il difensore della parte ricorrente ha affermato che permane interesse alla definizione nel merito del ricorso, la causa è stata trattenuta in decisione.

Il ricorso è infondato e deve essere respinto.

E’ infatti insussistente la dedotta violazione dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, atteso che nel caso all’esame il provvedimento impugnato enuncia espressamente le ragioni di celerità che hanno impedito di posticipare ulteriormente l’adozione del provvedimento, in considerazione della necessità di far fronte all’aumentata frequenza degli episodi lesivi dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica. Peraltro va tenuto conto che la giurisprudenza ha affermato che la natura cautelare e di immediato presidio alle condizioni di ordine pubblico e di sicurezza, peculiare del provvedimento previsto dall’art. 100 del R.D. 18 giugno 1931, n. 773, esclude l’obbligo di preventivo avviso previsto dall’art. 7, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (cfr. Tar Campania, Napoli, Sez. III, 8 giugno 2010, n. 13047; Consiglio di Stato, Sez. VI, 19 agosto 2009, n. 4986).

La censura di cui al quarto motivo deve pertanto essere respinta.

Con il primo e secondo motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, la parte ricorrente contesta la valenza degli episodi menzionati nel provvedimento impugnato, aggiungendo la sussistenza di circostanze (quali la distanza di settanta metri del luogo dove si è svolta la rissa rispetto al furgone) che, a proprio giudizio, dovrebbero dimostrare la non diretta ed immediata correlabilità di alcuni degli episodi con la presenza dell’esercizio, o comunque la violazione del principio di proporzionalità da parte della misura adottata.

Il provvedimento impugnato, come sopra esposto, segue al riscontro di una pluralità di fatti e circostanze non contestati nel loro oggettivo accadimento, che nel loro complesso sono espressione di una complessiva offensività alle condizioni di sicurezza nel rispetto delle quali deve avvenire l’esercizio dell’attività autorizzata.

Il provvedimento adottato dal Questore costituisce l’esercizio di un’ampia sfera di valutazione discrezionale non sindacabile nel merito, che nel caso all’esame non si configura irragionevole, posto che trae fondamento in situazioni oggetto di obiettivo e non contestato riscontro, né appare sproporzionata, atteso che si è in presenza di gravi episodi avvenuti in occasione della presenza dell’esercizio, che costituisce un indubbio punto di aggregazione nelle ore notturne in cui opera nelle quali sono chiusi altri esercizi.

Le censure di cui al primo e secondo motivo devono pertanto essere respinte.

Con il terzo motivo, e in parte con il secondo motivo, la parte ricorrente lamenta che in tal modo l’Amministrazione, anche in considerazione del carattere non fisso dell’esercizio, che si svolge con un furgone, ha finito per applicare una sanzione al titolare dell’attività, che in realtà non è nelle condizioni di svolgere alcuna efficace attività di controllo o vigilanza sugli avventori o sui soggetti che stazionano, su area pubblica.

Anche questa censura deve essere respinta.

Come è stato ripetutamente affermato in giurisprudenza, il potere del Questore di sospendere la licenza quando siano avvenuti tumulti o gravi disordini, non si correla, sanzionando eventuali omissioni, alla possibilità, più o meno effettiva, per il titolare di un pubblico esercizio di conoscere la pericolosità dei clienti o i loro precedenti penali o di impedire agli stessi di soffermarsi presso il proprio esercizio, bensì alla esigenza obiettiva di tutelare l’ordine pubblico e la sicurezza dei cittadini, indipendentemente da ogni responsabilità dell’esercente.

In altre parole, ciò che rileva, nella ratio del legislatore, è l’effetto dissuasivo sui soggetti indesiderati, i quali, da un lato, sono privati, per qualche tempo, di un luogo abituale di aggregazione, dall’altro, sono resi edotti della circostanza che la loro presenza in detto luogo è oggetto di attenzione da parte delle autorità preposte (Tar Toscana, sez. I, 17 marzo 2009, n. 450; Tar Emilia Romagna, Bologna, sez. I, 24 ottobre 2008, n. 4462).

In definitiva pertanto il ricorso deve essere respinto.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale amministrativo regionale per il Veneto, terza Sezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo respinge.

Condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese di giudizio in favore dell’Amministrazione resistente, liquidandole in complessivi Euro 2.000,00 per spese, diritti ed onorari, oltre ad oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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