Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 23-03-2011) 04-05-2011, n. 17288 Sequestro preventivo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

p. 1. Con ordinanza del 12/10/2010, il Tribunale di Napoli confermava l’ordinanza con la quale il g.i.p. del Tribunale della medesima città aveva disposto in data 22/09/2010, nei confronti di V. C.C. il sequestro preventivo – L. n. 356 del 1992, ex art. 12 sexies – della autovettura Mercedes 180 tg (OMISSIS), essendo costei coniuge convivente di F.M., persona sottoposta a misure di prevenzione patrimoniale per attività di criminalità organizzata. Il Tribunale, infatti, riteneva che la ricorrente – che risultava avere percepito solo redditi ufficiali di minima entità, ai limiti della sopravvivenza – fosse una mera prestanome del marito sicchè l’auto appariva essere stata acquistata con i redditi del F.. p. 2. Avverso la suddetta ordinanza, la V.C., nella sua qualità di terzo, ha proposto ricorso per cassazione per mancanza e contraddittorietà in quanto il Tribunale non avrebbe dato esaustiva e convincente risposta alle deduzioni difensive. In particolare il Tribunale non avrebbe motivato in ordine alla pennuta dell’autovettura di proprietà della ricorrente valutata Euro 4.500,00 e sul fatto che la ricorrente, insieme ai genitori, percepiva un reddito mensile superiore ad Euro 1.400,00 sufficiente a giustificare l’acquisto dell’auto in questione.
Motivi della decisione

p. 3. La ricorrente agisce nella sua qualità di terza proprietaria del bene sequestrato.

Sul punto, è ben noto che, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini dell’operatività nei confronti dei terzi del sequestro e della successiva confisca incombe alla pubblica accusa l’onere di dimostrare l’esistenza di situazioni che avallino concretamente l’ipotesi di una discrasia tra intestazione formale e disponibilità effettiva del bene, sicchè possa affermarsi con certezza che il terzo intestatario si sia prestato alla titolarità apparente al solo fine di favorire la permanenza dell’acquisizione del bene in capo al soggetto indagato e di salvaguardarlo dal pericolo della confisca, così come spetta al giudice della cautela esplicare poi le ragioni della ritenuta interposizione fittizia, utilizzando allo scopo non solo circostanze sintomatiche di mero spessore indiziario, ma elementi fattuali, dotati dei crismi della gravità, precisione e concordanza, idonei a sostenere, anche in chiave indiretta, l’assunto accusatorio. Va anche rammentato che il ricorso per cassazione può essere proposto solo ed esclusivamente per violazioni di legge ex art. 325 c.p.p. sicchè il vizio di motivazione, secondo il pacifico l’indirizzo giurisprudenziale (SSUU 25080/2003 riv 224611 – SSUU 5876/2004 riv 226710 – SSUU 25932/2008 riv 239692 – Cass. 19598/2010 riv 247514) può essere dedotto in soli due casi:

– quando la motivazione manchi del tutto (ed mancanza grafica della motivazione);

– quando la motivazione, pur presente graficamente, sia apparente.

Con tale sintagma ("motivazione apparente"), la giurisprudenza di questa Corte intende quella motivazione priva dei requisiti minimi di coerenza e completezza, al punto da risultare inidonea a rendere comprensibile l’iter logico seguito dal giudice di merito, ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate da rendere oscure le ragioni che hanno giustificato il provvedimento.

Infatti, la manifesta illogicità della motivazione, pur corrispondendo al mancato rispetto dei canoni epistemologici e valutativi che, imposti da norme di legge (principalmente dall’art. 192, ma anche dall’art. 546 c.p.p., comma 1 lett. e), regolano il ragionamento probatorio, non è però presidiata da una diretta sanzione di nullità. L’incongruenza logica della decisione (rectius:

contraddittorietà) contrastante con detti canoni può denunciarsi, quindi, nel giudizio di legittimità, soltanto tramite lo specifico motivo di ricorso di cui all’art. 606, lett. e), che riconosce rilevanza al vizio allorchè esso risulti dal testo del provvedimento impugnato.

Quanto all’omessa valutazione di una prova decisiva, va osservato che il suddetto vizio non può mai essere qualificato come violazione di legge, bensì solo come vizio rientrante nell’ipotesi di motivazione contraddittoria o illogica. E’ ovvio, infatti, che, ove il giudice, nell’iter motivazionale, ometta di prendere in esame una prova (sebbene decisiva) o ne travisi il risultato, il suddetto vizio andrà ad incidere sulla motivazione rendendola contraddittoria o illogica proprio perchè la prova omessa o travisata, contraddicendo l’esito al quale il giudice è pervenuto, rende la motivazione contraddittoria e/o illogica, ma non omessa atteso che una motivazione (sebbene affetta dalla suddetta patologia) è stata pur sempre resa ed ha una sua logica e coerenza che rende comprensibile il ragionamento effettuato. Ora, applicando i suddetti principi alla concreta fattispecie, il ricorso dev’essere respinto posto che il Tribunale si è fatto carico di tutte le eccezioni dedotte dalla difesa disattendendole con motivazione che, di certo, non si può definire nè mancante nè apparente avendo confutato sia la questione della permuta, sia il fatto che la ricorrente, insieme ai genitori avrebbe un reddito sufficiente a sostenere la spesa per l’acquisto della suddetta autovettura.

Il Tribunale, quindi, all’esito dell’esame di tutte le svolte censure, ha concluso – sia pure implicitamente – che la risorsa economica con la quale la ricorrente aveva acquistato l’auto, in realtà proveniva dal F. il quale, pertanto, doveva ritenersi il vero ed effettivo proprietario della suddetta auto.

In altri conclusivi termini, il ricorso, nei termini in cui è stato proposto, va ritenuto infondato atteso che la ricorrente, lungi dal denunciare violazioni di legge, lamenta, a ben vedere, pretese contraddittorietà della motivazione e/o omissioni in ordine alla documentazioni prodotta, ossia vizi che non possono trovare accoglimento in questa sede.

Pertanto essendosi il Tribunale attenuto ai principi di diritto che governano la subiecta materia in tema di distribuzione dell’onere probatorio e della prova in ordine all’intestazione fittizia in capo alla ricorrente del bene sequestrato, desunta legittimamente, da presunzioni gravi, precise e concordanti, il ricorso va rigettato con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

RIGETTA il ricorso e CONDANNA la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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