Cons. Stato Sez. IV, Sent., 04-05-2011, n. 2685 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Il provvedimento preso in esame con la sentenza in epigrafe, della quale il Comune di Carasco chiede la riforma con l’appello tempestivamente notificato, ha formalmente riguardato il permesso di costruire in sanatoria n.13 del 2009, rilasciato su parere conforme della c.e.c. di cui al verbale n.4 del 2009.

In particolare, detto titolo edilizio ha autorizzato i sig.ri A. A. e M. V. F. al completamento delle opere di ristrutturazione del piano sottotetto, con recupero ai fini abitativi ai sensi della l.r. n.24 del 2001, delle opere eseguite in difformità.

Il primo giudice, valutata preliminarmente la tempestività del ricorso, ha annullato detto provvedimento, in accoglimento del ricorso proposto dai proprietari frontisti dell’immobile in questione, i quali hanno lamentato l’innalzamento del suo sottotetto (di circa un metro) sia in gronda che al colmo, in violazione dell’altezza massima consentita del fabbricato pari a m.6,50, del quale si consente il mantenimento attraverso il provvedimento di sanatoria impugnato.

Il Comune chiede la riforma della sentenza impugnata, avanzando preliminarmente profili di tardività ed inammissibilità del ricorso di primo grado.

Parte intimata si è costituita in giudizio per resistere al gravame e chiedere che al rigetto venga segua la condanna al pagamento alle spese di lite.

Alla camera di consiglio del 5 aprile la causa è stata chiamata è trattenuta in decisione dopo che i difensori delle parti sono state sentiti sul proposito del collegio di decidere il merito della controversia ex art.60 c.p.a..

Il collegio ritiene che tutte le eccezioni sollevate dal comune debbano essere respinte.

Ed invero, quanto al duplice profilo, in relazione al quale l’eccezione di tardività viene dedotta, va osservato che non può rilevare, rispetto alla notifica del ricorso di primo grado, avvenuta il 2 febbraio 2010, né l’asserita conoscenza della nota 10.10.2009, nella quale il Comune ha dato comunicazione ai ricorrenti in primo grado del rilascio del provvedimento impugnato, né l’asserita conoscenza da parte dei medesimi, di un progetto del 2008 relativo allo stesso fabbricato in argomento ed le cui caratteristiche essenziali sarebbero state analoghe a quello assentito in sanatoria.

Infatti, ciò che caratterizza e qualifica al tempo stesso la dedotta illegittimità della sanatoria impugnata, rappresentando di essa, e pacificamente, la condizione ritenuta imprescindibile per il suo rilascio, è l’atto d’obbligo dell’11.07.2009 fatto sottoscrivere dal Comune alla parte che della sanatoria ha beneficiato, qui non costituita, contenente la rinuncia alla destinazione abitativa della sottotetto del fabbricato della cui altezza i sig. A. e F. si dolgono.

E poiché è assolutamente pacifico che di tale atto d’obbligo, la cui conoscenza era invece essenziale ai fini dell’articolazione del gravame, i sig. A. e F. mai hanno potuto avere notizia sotto le predette date, non sussiste evidentemente la condizione della "piena conoscenza" della lesività del provvedimento impugnato, in presenza della quale soltanto può venire in considerazione il dies a quo del termine decadenziale di rito per proporre impugnazione dinanzi al giudice amministrativo.

Né a contrario avviso possono indurre le due d.i.a., la prima del 2004, la seconda del 2006, in forza delle quali il sottotetto oggi contestato sarebbe stato antecedentemente realizzato, sol che si osservi, a tacer d’altro in ordine all’effettiva conoscenza di tali titoli abilitativi e alla conformità ad essi dello stato attuale, che lo stesso Comune appellante, nel 2007, di tale parte del fabbricato in parola ha ordinato la demolizione (ord. n.435 del 12 giugno 2007), costringendo i proprietari del fabbricato alla presentazione di una domanda di sanatoria assentita con il provvedimento per cui è causa..

Altresì infondata è anche l’eccezione del difetto di legittimazione ad agire in capo ai ricorrenti in primo grado.

Al riguardo è sufficiente aggiungere a quanto condivisibilmente argomentato dal primo giudice che i sig.ri. A. e F. sono proprietari di un fabbricato, posto di fronte a quello in cui si trova il sottotetto per cui è causa.

L’azione da essi promossa è intesa a tutelare il bene della vita consistente nella proprietà e nel libero godimento di detto fabbricato è ciò si propongono chiedendo che vengano rispettate le norme che disciplinano le possibilità edificatorie nella zona di riferimento e che tale proprietà e godimento direttamente ed indirettamente garantiscono.

A questo punto può passarsi all’aspetto riguardante il merito della controversia.

Sotto tale profilo assume rilievo decisivo l’atto d’obbligo di cui s’è detto innanzi, descrivendone la finalità ed il contenuto.

Il Comune appellante con l’impegno fatto assumere unilateralmente dai destinatari del provvedimento di sanatoria, assume d’aver impresso in modo legittimo al contestato sottotetto la destinazione a "volume tecnico".

Ora, a prescindere dall’esame concreto delle condizioni per ritenere il medesimo sottotetto "un volume tecnico", in ordine alle quali le parti di questo giudizio divergono, quel che occorre ad avviso del collegio rilevare, condividendo la deduzione di parte resistente, è che in nessun caso, e comunque anche a tenore delle stesse norme regionali all’uopo richiamate dal Comune, una dichiarazione di parte, peraltro consistente nel mero impegno a non darvi destinazione abitativa, può considerarsi idonea a conferire ad un locale sottotetto l’effettiva natura di "volume tecnico".

Tale caratteristica, si potrebbe dire, " o è o non è", nel senso che da altro non può dipendere che dalle sue effettive condizioni dimensionali e funzionali, condizioni che il Comune ha il dovere di accertare ex ante nella sua obiettiva esistenza, onde evitare che, procedendo in altri modi, e tra questi quello consentito appare senz’altro assai discutibile, si giunga alla facile elusione di quelle norme edilizie che impongono il rispetto di precisi standards di volumetria ed altezza da osservare quando si deve erigere un fabbricato.

L’appello deve quindi essere respinto con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge e per l’effetto conferma la sentenza impugnata.

Condanna il Comune appellante al pagamento delle spese del grado che si liquidano in complessivi euro 3.000,00.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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