Cons. Stato Sez. IV, Sent., 04-05-2011, n. 2674 Contratti e convenzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

eronica Dini, Antonello Mandarano, Pier Giuseppe Torrani;
Svolgimento del processo

Con il ricorso in esame, i signori O. M. ed altri, come in epigrafe indicati, appellano la sentenza 9 maggio 2008 n. 1551, con la quale il TAR Lombardia, sede di Milano, sez. II, ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse il loro ricorso proposto avverso la delibera della Giunta Comunale di Milano 26 maggio 2006 n. 1674.

Con tale delibera, la Giunta ha disposto la "approvazione degli elementi essenziali della convenzione tra il Comune di Milano e la società L. V. s.r.l. per la regolamentazione dell’esecuzione della sentenza del Consiglio di Stato 6 maggio 2004 n. 2800 relativa all’area posta a sud di Viale della Liberazione compresa tra le vie Melchiorre Gioia e Galileo Galilei".

La sentenza appellata premette – ai fini della comprensione della annosa vicenda – che l’area in esame, già destinata a servizi ferroviari (essendovi a suo tempo localizzata la stazione delle Ferrovie Varesine), una volta dismessa tale utilizzazione, venne destinata a spazi pubblici (zona omogenea B1) con variante generale al PRG adottata dal Consiglio Comunale di Milano in data 11 dicembre 1976 ed approvata dalla Giunta Regionale della Lombardia il 26 febbraio 1980.

Annullata tale deliberazione dal giudice amministrativo (sentenza TAR Lombardia n. 407/1984, confermata dal Consiglio di Stato, con sent. n. 775/91), l’area fu oggetto di ulteriore pianificazione, con variante al PRG del 1985 (che le attribuiva destinazione edificatoria), ma anche tale deliberazione è stata successivamente annullata dal giudice amministrativo (sent. TAR Lombardia n. 172/1993, conf. da Ad. Plen. n. 7/1997).

Ceduta nel 1986 l’area dalle Ferrovie dello Stato alla società CO.DE.MI. s.p.a. (poi divenuta Violetta s.r.l.), quest’ultima proponeva ricorso al Consiglio di Stato per l’esecuzione della decisione n. 775/1991 "affinché fosse dichiarato l’obbligo del Comune di Milano di adottare i necessari provvedimenti attuativi per rendere edificabile il terreno, che aveva perso la natura demaniale".

Il Consiglio di Stato, con decisione 13 ottobre 1998 n. 1867, in accoglimento del ricorso, dichiarava l’obbligo del Comune di Milano di assumere provvedimenti attuativi per consentire l’attività edificatoria e, successivamente, nominava un commissario ad acta, che in data 11 ottobre 2000 rilasciava la concessione edilizia.

Quest’ultimo atto, su ricorso del Comune di Milano, veniva annullato dal Consiglio di Stato, quale giudice dell’ottemperanza, con decisione n. 1999/2000, e contestualmente veniva assegnato un nuovo termine per il riesercizio del potere pianificatorio.

Non essendovi stata ottemperanza, il Consiglio di Stato, con decisione 6 maggio 2004 n. 2800, ordinava al Comune di Milano di rilasciare il permesso di costruire per l’edificazione dell’area, indicando a tal fine anche taluni elementi tecnici.

Prima del rilascio del titolo edilizio, è stata quindi sottoscritta una convenzione – approvata con la delibera della Giunta comunale di Milano n. 1674/2006, oggetto di ricorso in I grado – per disciplinare l’assetto degli standard, delle opere di urbanizzazione ed altri aspetti di interesse pubblico.

I ricorrenti (attuali appellanti), residenti in una zona limitrofa all’area ex Varesine, hanno quindi impugnato la citata delibera della Giunta Comunale di Milano n. 1674/2006, ma il TAR ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per difetto di interesse.

La sentenza appellata, richiamata giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, ha ritenuto "insussistente la condizione dell’azione rappresentata dall’interesse al ricorso, per la genericità e la mancata dimostrazione di un pregiudizio effettivo o anche potenziale, ma direttamente connesso all’adozione degli atti gravati".

Rilevato come "i ricorrenti lamentano un danno derivante dagli impatti ambientali e sociali connessi all’intervento", il Tribunale ha affermato come "un intervento di edificazione, soprattutto di una vasta zona, comporti una trasformazione ambientale in senso ampio (edilizio e viabilistico), ma ciò non implica ex se una lesione ai residenti della zona, anche in considerazione della necessaria previsione e realizzazione di standard finalizzati, almeno potenzialmente, al riequilibrio della zona interessata e alla riqualificazione della stessa, in un’ottica di miglior vivibilità. Pertanto i ricorrenti avrebbero dovuto indicare puntualmente quali disagi conseguono alla realizzazione dell’intervento rispetto all’attuale assetto"

A ciò occorre aggiungere – si legge in sentenza – la considerazione sulla "natura programmatoria del provvedimento gravato, che contiene le linee della convenzione tra le parti", nonché la circostanza che "la stessa difesa di parte ricorrente afferma che il progetto relativo all’area in questione è sensibilmente mutato".

Avverso tale sentenza, riproposti i motivi del ricorso introduttivo del giudizio di I grado, vengono proposti i seguenti motivi di appello:

a) error in iudicando, stante la sussistenza del danno concreto, attuale e personale degli appellanti;

b) carenza e contraddittorietà di motivazione in ordine all’interesse ad agire dei ricorrenti;

c) difetto di motivazione in relazione all’interesse ad agire dei ricorrenti, con riferimento alle doglianze di carattere ambientale;

d) difetto di motivazione in relazione all’interesse ad agire dei ricorrenti, con riferimento alle doglianze di carattere urbanistico ed edilizio;

e) difetto di motivazione in relazione all’interesse ad agire dei ricorrenti, con riferimento al diritto di partecipazione del pubblico.

Si è costituito in giudizio il Comune di Milano, che ha concluso richiedendo il rigetto dell’appello, da ultimo con memoria del 12 gennaio 2011.

Ad analoga conclusione è pervenuta la controinteressata soc. Varesine s.r.l. (ora Hines Italia SGR s.p.a.), con memorie del 30 gennaio 2009, 14 e 21 gennaio 2011, avendo tuttavia la stessa preliminarmente eccepito l’inammissibilità dell’appello, in particolare per non essere stata "riproposta in secondo grado la questione di merito sottoposta davanti al TAR".

Anche gli appellanti hanno depositato memorie, insistendo per l’accoglimento dell’appello.

Con ordinanza n. 628/2009, assunta all’udienza del 3 febbraio 2009, questo Consiglio ha respinto la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza appellata.

All’odierna udienza, la causa è stata riservata in decisione.
Motivi della decisione

L’appello è infondato e deve essere, pertanto, respinto, potendo quindi il Collegio prescindere dall’esame delle proposte eccezioni di inammissibilità del ricorso.

Come si è detto, il Tribunale amministrativo è giunto a pronunciare l’inammissibilità del ricorso proposto in primo grado, in sostanza sulla base di un duplice ordine di considerazioni:

– in primo luogo, ravvisandosi "la genericità e la mancata dimostrazione di un pregiudizio effettivo o anche potenziale, ma direttamente connesso all’adozione degli atti gravati";

– in secondo luogo, ravvisandosi "la natura programmatoria del provvedimento gravato".

Le considerazioni svolte dal giudice di I grado risultano in pratica speculari, in quanto la natura programmatoria dell’atto porta ad escludere la sussistenza di un "pregiudizio effettivo" (ed attuale) per il ricorrente, e quindi la "genericità e la mancata dimostrazione" di tale pregiudizio è essa stessa conseguenza della natura non immediatamente lesiva dell’atto, stante appunto la sua veste meramente programmatoria. Ambedue le considerazioni, dunque, pur da approcci differenti, giungono nell’appellata sentenza a far concludere per l’inammissibilità del ricorso.

Appare, dunque, indispensabile l’esame in concreto dell’atto impugnato, onde verificare le ragioni esposte in sentenza e la loro resistenza (o meno) ai proposti motivi di appello.

E" opportuno sottolineare che l’oggetto dell’impugnazione innanzi al TAR è rappresentato dalla delibera della Giunta Comunale di Milano 26 maggio 2006 n. 1674, di approvazione degli accordi convenzionali (alla quale ha fatto seguito la convenzione stipulata il 21 dicembre 2006).

Tale precisazione appare a maggior ragione opportuna, in quanto, nello stesso atto di appello (pagg. 23), si evidenzia che:

a) "al momento della presentazione del ricorso era stato reso noto solo uno schema planovolumetrico che prevedeva la realizzazione di 82.000 mq. di superficie lorda di pavimento, a prevalente destinazione terziaria e commerciale, su circa 32.000 mq. di terreno, e dunque con una densità di edificazione territoriale enorme";

b) quanto alla progettazione degli edifici, "al momento della presentazione del ricorso non si aveva ancora alcuna indicazione certa";

c) al momento della discussione del ricorso in I grado "i contenuti del progetto relativo all’area ex Varesine erano stati definiti", poiché le "presentazioni ufficiali parlavano infatti, di un complessivo Progetto Porta Nuova… che interessava l’area, ben più ampia, di Garibaldi – Repubblica – Varesine", estesa su un’area di 290.000 mq;

d) solo successivamente al deposito della sentenza di I grado, sono state presentate "quattro distinte DIA".

Ai fini della decisione del presente appello, non rileva se le determinazioni successive del Comune di Milano (o di altre amministrazioni) abbiano (o meno) dato luogo alla instaurazione di ulteriori e distinti giudizi.

Ciò che, nella presente sede, deve essere ancora una volta sottolineato è che oggetto del presente giudizio è esclusivamente la appellata sentenza n. 1551/2008, con la quale il TAR Lombardia ha dichiarato inammissibile per difetto di interesse il ricorso avverso la delibera della Giunta Comunale di Milano n. 1674/2006.

In definitiva, con la delibera impugnata, la Giunta Comunale ha espresso la decisione dell’ente in ordine ad una regolamentazione concordata degli standard urbanistici, delle opere di urbanizzazione e di altre implicazioni di interesse pubblico dell’intervento, relativamente all’area di proprietà della soc. L. V. s.r.l..

Si tratta – come si evidenzia dall’atto – di un documento generale di intenti, che non esclude la necessità di successivo esercizio di poteri amministrativi, e che porterà alla pianificazione della zona ed al rilascio dei titoli autorizzatori all’edificazione.

Né va dimenticato – come precisato nella esposizione in fatto della presente decisione – che tale atto interviene a conclusione di una annosa vicenda giudiziaria e, in particolare, a seguito della sentenza n. 2800/2004, con la quale questo Consiglio di Stato, in sede di ottemperanza, ordinava al Comune di Milano di rilasciare il permesso di costruire per l’edificazione dell’area, indicando anche taluni elementi tecnici (tra i quali – è opportuno ricordarlo – una superficie lorda di pavimento di 82.000 mq.).

Per un verso, quindi, l’atto impugnato si inserisce nell’attività del Comune di Milano volta a prestare ottemperanza a decisioni giurisdizionali coperte da giudicato, le cui specifiche determinazioni non possono, dunque, più costituire oggetto di rinnovato contenzioso.

Per altro verso, appare evidente come l’atto impugnato abbia proprio quella natura di atto contenente previsioni generali, ma che debbono necessariamente esplicitarsi e precisarsi in successivi atti amministrativi, volti a disciplinare l’assetto urbanistico della zona (anche in un più ampio contesto) e a consentire i singoli interventi edificatori (quegli atti che, per quanto è dato dedurre dalle stesse premesse del ricorso in appello, sembrerebbero essere stati successivamente adottati).

Ne consegue, inevitabilmente, il difetto di interesse dei ricorrenti in I grado all’annullamento dell’atto, posto che quest’ultimo, in concreto e nell’attualità, non determinava alcuna lesione della loro sfera giuridica (rivelandosi, dunque, corretta la valutazione effettuata dalla sentenza appellata, laddove evidenzia la mancanza di un "pregiudizio effettivo o anche potenziale, ma direttamente connesso all’adozione degli atti gravati"). Né gli stessi possono vantare ora una posizione qualificata rispetto alle determinazioni (generali) assunte da una pubblica amministrazione, nella misura in cui tali determinazioni sono effettivamente volte a prestare ottemperanza ad un giudicato.

Per completezza di esame, occorre osservare che non si giunge a diverse conclusioni sulla base di quanto rilevano gli appellanti, al fine di sottolineare la sussistenza delle condizioni dell’azione, e cioè:

– di essere essi residenti "in abitazioni che si affacciano sull’area interessata dal progetto e si dolgono della rilevante e pregiudizievole alterazione dell’assetto urbanistico esistente, per effetto della realizzazione delle opere che il Comune di Milano ha sostanzialmente avviato" (pag. 5 appello);

– che "l’intervento previsto verrebbe ad essere calato in un contesto urbano e sociale che si è consolidato nel tempo e che presenta caratteristiche del tutto diverse" (pag. 5);

– che vi è stata "totale assenza di valutazione, da parte del Comune, degli impatti ambientali connesse alle opere che si intende realizzare", anche perché il progetto per l’area ex Varesine "è stato considerato autonomamente rispetto a quelli relativi all’area di Garibaldi – Repubblica e del quartiere Isola" (pag. 5).

Si è rilevato inoltre che l’amministrazione, "facendo uso del permesso di costruire convenzionato", ha determinato la lesione dei "loro diritti di partecipazione all’attività amministrativa" e che era necessario che il Comune "procedesse ad una pianificazione attuativa proprio al fine di ottenere un raccordo con il preesistente aggregato abitativo" (pag. 6).

Ed infatti, alla luce di quanto esposto in precedenza, appare evidente che, ai fini della decisione, non è in discussione la legittimazione dei ricorrenti (fondata sulla vicinitas all’intervento edilizio), ovvero la omogeneità (o meno) delle loro posizioni giuridiche, bensì l’esistenza di un loro concreto pregiudizio direttamente, concretamente ed attualmente derivante dall'(unico) atto impugnato, tale da rendere sussistente l’interesse ad agire.

Ne consegue che:

– per la parte in cui l’atto impugnato rappresenta un "momento" dell’ottemperanza dell’amministrazione comunale al giudicato amministrativo, non è possibile configurare la possibilità di nuovo contenzioso (in particolare riguardante la vocazione edificatoria del suolo);

– per gli aspetti relativi al concreto determinarsi delle nuove presenze edilizie della zona considerata (se ed in quanto da ciò possa derivare pregiudizio ai ricorrenti), le doglianze rappresentate anche nell’atto di appello possono (sussistendone le condizioni) essere fatte valere avverso altri atti, più direttamente lesivi e quindi tali da determinare l’interesse ad agire (e non già avverso l’atto in questa sede impugnato);

– per l’assetto complessivo della parte del territorio del Comune di Milano, comprendente l’area ex Varesine e le arre Garibaldi – Repubblica e quartiere Isola, appare evidente come eventuali doglianze di carattere urbanistico prescindono dalla singola delibera oggetto di impugnazione in I grado.

Ne consegue che non sussiste la denunciata carenza e contraddittorietà di motivazione della sentenza appellata in ordine all’interesse ad agire, e che i motivi di appello (in particolare, pagg. 1427), volti a rilevare, sotto vari aspetti, i pregiudizi derivanti agli appellanti dalla realizzazione dell’intervento, potranno, se del caso e sussistendone le condizioni, essere fatti valere avverso altri (successivi e diversi) atti amministrativi.

Per le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Stante la natura e complessità delle questioni trattate, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti spese, diritti ed onorari di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (n. 299/2009 r.g.), lo rigetta.

Compensa tra le parti spese, diritti ed onorari del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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