Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 18-03-2011) 04-05-2011, n. 17262

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 18 maggio 2010, la Corte d’ Appello di Reggio Calabria, 2^ sezione penale, in parziale riforma della sentenza del Tribunale in sede appellata da B.A., riduceva la pena al medesimo inflitta ad anni tre mesi sei di reclusione e settecento Euro di multa; confermava nel resto la sentenza impugnata con la quale questi era stato dichiarato colpevole dei delitti di estorsione continuata in danno di F.A. (capo A) e estorsione tentata in danno del medesimo (capo B) fatti commessi fino al (OMISSIS) ed era stato riconosciuto il vizio parziale di mente.

La Corte territoriale riteneva fondata la prova della responsabilità sulla scorta della testimonianza della persona offesa, perchè suffragata (per l’ultimo episodio) da quelle di M.F. e O.A. nonchè dal fatto che effettivamente l’imputato lo stava aspettando all’esterno della banca dove il F. era entrato per prelevare il danaro e dall’ulteriore circostanza che, verosimilmente allertato per il prolungarsi dell’attesa, si era improvvisamente allontanato (teste T.C.). I precedenti episodi trovavano conforto nell’accertato prelievo in banca delle somme oggetto di estorsione.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per i seguenti motivi: – a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b) ed e) in relazione all’art. 192 c.p.p., commi 1 e 2, art. 546 c.p.p., comma 1, lett. e), artt. 56, 629 133 e 62-bis c.p., perchè è la stessa sentenza a dare atto della sostanziale inaffidabilità del F. sicchè, in relazione alla contestazione di cui al capo A, si sarebbe dovuto procedere, a mezzo della disattesa richiesta di acquisizione di notizie in banca al fine di accertare da chi vennero messi all’incasso gli assegni di cui all’estratto conto, fermo che comunque non vi era prova della effettiva consegna delle somme al B..

Quanto al delitto di cui al capo B, l’allontanamento del ricorrente dalla banca è stato giustificato solo in via presuntiva ed ipotetica sicchè ricorrevano i presupposti della desistenza volontaria con tutte le conseguenze di legge. Infine sotto il profilo sanzionatorio la pena avrebbe dovuto essere irrogata nel minimo, tenuto conto anche della modestia del danno, al limite della particolare tenuità.
Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso è infondato, perchè la sentenza impugnata ha proceduto ad attenta valutazione delle circostanze fattuali emergenti dal processo al fine di pervenire al convincimento dell’attendibilità della persona offesa, nonostante i riconosciuti limiti della sua debole personalità. In quanto non manifestamente illogica, la motivazione non è censurabile in questa sede, neppure sotto il profilo del mancato accoglimento della richiesta di procedere a parziale riapertura dell’istruttoria dibattimentale al fine di acquisire informazioni dall’istituto di credito, stante l’eccezionalità di tale eventualità, riservata alle sole ipotesi in cui il giudice ne ravvisi l’assoluta necessità. 2. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato, perchè l’avere la Corte territoriale ritenuto che l’imputato si allontanò non per libera scelta ma per aver percepito che la vittima "si era ribellata al sopruso" non è frutto di travisamento della prova, ma di valutazione della stessa attraverso ragionamento che, in quanto non manifestamente illogico, sfugge a censure in sede di legittimità. La Corte reggina ha riconosciuto che al momento dell’arrivo degli agenti di polizia B. si era già allontanato, ma ha ritenuto il dato irrilevante a fronte della certezza che questi fino a poco prima stava dinanzi alla banca e che repentinamente, dopo aver proposto all’amico T. di prendere assieme un caffè, si allontanava senza plausibili spiegazioni. Di qui i giudici di merito hanno tratto il convincimento che l’allontanamento era da collegare al "desiderio di sottrarsi alle responsabilità connesse all’attività illecita posta in essere".

Va invero ribadito il canone ermeneutica per il quale "in tema di reati di danno a forma libera la desistenza può aver luogo solo nella fase del tentativo incompiuto e non è configurabile una volta che siano posti in essere gli atti da cui origina il meccanismo causale capace di produrre l’evento, rispetto ai quali può, al più, operare la diminuente per il c.d. recesso attivo, qualora il soggetto tenga una condotta attiva che valga a scongiurare l’evento. Ne consegue che, nel caso di esecuzione monosoggettiva del reato, in tanto può sussistere la desistenza, in quanto l’agente abbandoni l’azione criminosa prima che questa sia completamente realizzata" (Cass. Sez. 1, 23.9-21.10.2008 n. 39293). Nel caso in esame l’azione di costrizione era stata già compiuta, perchè la minaccia aveva sortito l’effetto di costringere la vittima a recarsi in banca; ciò che non si è realizzato è l’evento.

Eventualmente avrebbe potuto instare per il recesso attivo, ma non ne ricorrono i presupposti, per non avere l’imputato posto in essere una condotta attiva idonea a scongiurare l’evento.

3. L’ultimo motivo di ricorso è infondato. La sentenza ha spiegato le ragioni per le quali ha disatteso la richiesta di riconoscimento delle attenuanti generiche. Per questo profilo la critica è generica. L’adeguamento della pena è stato riconosciuto proprio in ragione dell’importo delle somme.

L’attenuante di cui all’art. 62 c.p., n. 4 risulta non essere stata neppure richiesta con l’appello e quindi non può essere oggetto di doglianza il suo mancato riconoscimento.

5. Il ricorso deve essere in conseguenza rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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