Cons. Stato Sez. IV, Sent., 04-05-2011, n. 2672 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1.- Con ricorso al TAR Campania le sig.re Carmela Di Perna, L. S. e L. S., esponevano di essere proprietarie di un complesso immobiliare di antica costruzione, situato in Comune di Volla, alla via Vittorio Emanuele n. 62 (al catasto foglio 6 mappali 147 e 148) e di avere appreso, a seguito di richiesta di accesso agli atti, che sul fondo retrostante la detta proprietà, e del tutto inedificato, l’amministrazione comunale aveva rilasciato a tale M. M. A. un permesso di costruire (n. 14 del 5.4.2007) due unità abitative a schiera.

Premesso che detto titolo edilizio sembrava essere stato rilasciato attraverso un artificioso collegamento a due precedenti permessi (n. 48/2004 e 48/2005), i quali ultimi avevano per oggetto demolizione e ricostruzione di ruderi su suoli differenti, le esponenti col predetto ricorso impugnavano:

a) il permesso di costruire n. 14 del 5.4.2007, conosciuto il 2.10.2007, rilasciato alla controinteressata M. M. A. per autorizzarla alla costruzione di un fabbricato su fondo inedificato alla via Vittorio Emanuele al NCT foglio 6 mappali 2287 e 2290 ricadente nel piano di recupero AZ1;

b) il permesso di costruire n. 55 del 8.7.2004 con il quale è stata autorizzata la controinteressata alla costruzione di un fabbricato su area al foglio 6 mappali 143, 144, 2516 e 2287, ove possa essere ravvisato un suo collegamento con il permesso di costruire impugnato sub a);

c) il permesso di costruire n. 48 del 26.10.2005 con il quale la M. è stata autorizzata alla costruzione di un fabbricato in ricostruzione ed ampliamento su suolo al NCT foglio 56 mappali 143, 144, 2516 e 2287, nella parte in cui lo stesso dovesse ravvisarsi in collegamento con la costruzione oggetto del permesso di costruire sub a).

A sostegno dell’impugnativa, le ricorrenti lamentavano vari vizi di legittimità, consistenti nella violazione degli artt. 20 e 26 del regolamento edilizio, nella violazione del piano di recupero della zona A1 di cui alla delibera CC n. 86/1986, e in vari profili di eccesso di potere. In particolare il ricorso argomentava quanto segue.

"Le citate disposizioni del RE comunale contemplano la zona oggetto di intervento come A- conservativa, vincolata alla conservazione del tessuto urbano esistente, e con divieto fino alla approvazione dei piani di recupero, di variare le destinazioni di uso delle fabbriche e delle aree. Il piano di recupero, approvato con delibera consiliare n. 86/1986 per la zona AZ1 (della via Vittorio Emanuele) pone come direttive la possibilità di miglioramenti delle condizioni abitative con ampliamenti sul fronte nord degli edifici; nonché la riqualificazione ambientale e di ricucitura urbana. Per tale ultima fattispecie è possibile solo intervenire su edifici già esistenti ai sensi del paragrafo 4.4. del piano stesso".

Sulla base di tali elementi, le istanti deducevano la illegittimità del rilascio di permesso di costruire su fondo inedificato, giustificato in preteso completamento della platea a schiera di via Vittorio Emanuele, lamentando in particolare eccesso di potere per sviamento, essendo il piano di recupero utilizzato in concreto per una finalità ultronea rispetto a quella propria, ossia non per migliorare le condizioni abitative dei residenti, ma per creare nuove edificazioni. Inoltre nessun collegamento potrebbe ravvisarsi tra il fabbricato oggetto del permesso di costruire del 2007 e quelli autorizzati con gli atti del 2004 e del 2005, essendo frapposte tra dette fabbriche due costruzioni di proprietà altrui.

2.- Il TAR adìto, inizialmente investito in sede cautelare, ha ritenuto di poter definire immediatamente il ricorso nel merito con sentenza in forma semplificata (attesa la sua manifesta fondatezza); pertanto, a seguito di conversione del rito (e previo avviso alle parti), il Tribunale, rigettata l’eccezione di irricevibilità del ricorso avanzata dalla controinteressata M., ha accolto il gravame, annullando per l’effetto il permesso di costruire n. 14/2007.

3.- La decisione è stata impugnata sia dalla sig.ra M. che dal Comune di Volla, con distinti ricorsi in appello, i cui motivi sono esposti nella sede della loro trattazione da parte della presente pronunzia.

4.- Si sono costituite nei due giudizi le ricorrenti in primo grado, resistendo e specificando in memoria le proprie difese, che si intendono qui richiamate. In particolare, con riferimento alla relazione tecnica esibita dall’appellante, esse ne hanno eccepito l’inammissibilità, ex art. 345 cpc.

Alla pubblica udienza dell’8 febbraio 2011, i ricorsi sono stati trattenuti in decisione.
Motivi della decisione

1.- Gli appelli proposti hanno per oggetto la medesima sentenza e debbono pertanto essere riuniti al fine di rendere sui medesimi un’unica decisione.

2.- Seguendo l’ordine temporale di proposizione, deve essere definito con priorità l’appello proposto dalla sig.ra M..

2.1.- Va preliminarmente trattata la questione della tempestività del ricorso di primo grado, su cui il TAR ha disatteso l’eccezione (sollevata dalle ricorrenti in primo grado ed odierne appellate) di tardività dell’impugnativa; ed infatti, se, diversamente da quanto ritenuto da TAR, l’eccezione dovesse risultare fondata, si determinerebbe l’annullamento della sentenza impugnata, con declaratoria di irricevibilità del ricorso di primo grado, senza accesso all’esame del merito della controversia.

Al riguardo il Collegio condivide però le argomentazioni rese dal Tribunale, il quale ha rilevato che il ricorso " è diretto avverso il permesso di costruire da ultimo rilasciato alla controinteressata nel 2007 su fondo libero, e coinvolge i permessi di costruire del 2004 e del 2005 solo ove volesse crearsi un collegamento funzionale con quanto già autorizzato a suo tempo- che non viene di per sé posto in discussione dalle ricorrenti- e quanto oggetto del permesso da ultimo rilasciato su area libera". Non ponendo in discussione gli interventi precedentemente assentiti ma solo il fabbricato oggetto del permesso di costruire n. 14/ 2007, il primo giudice ha fatto riferimento alla giurisprudenza consolidata per la quale la piena conoscenza del titolo edilizio contestato (e quindi l’inizio della decorrenza del termine di impugnazione) "va ricondotta al momento in cui la costruzione rivela in modo certo ed univoco le essenziali caratteristiche dell’opera e l’eventuale non conformità della stessa al titolo o alla disciplina urbanistica". Nel caso in esame, poichè le censure sollevate dai ricorrenti non potevano desumersi dall’inizio dei lavori ma dalla conoscenza del permesso di costruire e poiché risultavano assenti elementi contrari (il cui onere probatorio incombeva alle sulle controparti opponenti), il TAR ha correttamente concluso che parte ricorrente avesse avuto piena conoscenza di detto permesso solo a seguito della istanza di accesso agli atti indicata in ricorso, rispetto alla quale l’ impugnativa è risultata tempestiva.

2.2. -L’appello può pertanto essere esaminato.

La controversia attiene ad un permesso di costruzione rilasciato all’appellante M. (ed annullato dalla sentenza impugnata) per la realizzazione di due unità abitative a schiera su area inserita in un piano di recupero. L’appello contrasta la sentenza impugnata deducendo l’errata applicazione dell’art. 4.4. del piano di recupero, occorrendo invece fare riferimento alla norma integrativa dettata dal precedente art.4.3. Nel delineato quadro della controversia, il ricorso pone però altre questioni di natura preliminare a carico della sentenza.

2.2.1- Si argomenta anzitutto che il TAR avrebbe proceduto ad un esame del piano di recupero non limitato alla valutazione degli interventi autorizzati ma, giungendo a giudicarne portata, natura ed effetti, avrebbe in realtà fornito una interpretazione che non era stata richiesta dalle ricorrenti. Risulterebbe pertanto violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 112 cpc). La tesi è assolutamente destituita di fondamento.

Essa ignora principi processuali basilari e principalmente che:

– nell’esaminare le censure ipotizzate dal ricorso giurisdizionale, il giudice deve rapportarle alla normativa che si assume violata e tale attività comporta evidentemente, se necessaria, un" opera di interpretazione delle norme e dei principi invocati dal ricorso, potendo il giudice utilizzare anche argomentazioni differenti da quelle poste a sostegno dei motivi di ricorso;

– non può violare l’art. 112 c.p.c, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, quella attività ermeneutica che non conduca ad un pronunciamento eccedente la domanda o le domande processuali avanzate. Nel caso in esame le ricorrenti in primo grado avevano chiesto l’annullamento del permesso di costruire impugnato, sostenendo ed argomentando la sua difformità dal Piano di recupero, e ciò permetteva al Tribunale, in base al principio "iura novit curia", di apportare a sostegno della decisione argomentazioni interpretative anche diverse da quelle formulate da parte ricorrente. Ed il Tribunale si è pronunziando sul ricorso fornendo una necessaria e motivata interpretazione del Piano di recupero (che peraltro ove fosse stato del tutto chiaro non avrebbe certo causato alcuna controversia), solo in assenza della quale la pronunzia sarebbe stata affetta da evidente difetto di motivazione.

2.2.2.- A completamento delle argomentazioni del secondo ordine di motivi, si afferma che il ricorso di primo grado sostiene la difformità del permesso censurato rispetto al piano ma non contesta mai la legittimità di questo strumento. L’assunto, che sembra ipotizzare un profilo di inammissibilità dell’impugnazione per omessa censura del Piano, non ha alcun pregio. Il ricorso di primo grado tendeva a dimostrare l’illegittimità del permesso rispetto al predetto strumento (e non quella del piano), che quindi era interesse delle istanti applicare e non di contestare con specifica azione di annullamento.

2.3 -La questione centrale dedotta in giudizio è riassumibile come segue. L’appellante critica la sentenza ove, nell’accogliere la tesi delle ricorrenti, ha osservato che i lavori oggetto del permesso di costruire n.14/2007 sono stati autorizzati su area inedificata e non possono perciò integrare la pretesa finalità di ricucitura del tessuto urbano); si lamenta che il TAR ha fornito una interpretazione restrittiva del piano, in quanto limitata agli interventi previsti dal citato art. 4.4. (ricostruzione degli edifici demoliti da tempo), mentre sia in base all’art. 27 della legge n.457/1978 che al Piano di recupero (segnatamente all’art. 4.3), sarebbero consentiti interventi di ristrutturazione urbanistica mediante incremento dei volumi residenziali. In particolare tali interventi sarebbero giustificati dal riferimento, operato dalla tav.12 della zona di recupero interessata (AZ1), alla finalità di "ricucitura urbana ed alla ricostruzione tipologica della zona" e dal fatto che la particella sulla quale è stato rilasciato il contestato permesso è destinata ad "ampliamenti".

Ritiene il Collegio che l’orientamento in esame come sopra riassunto, non sia meritevole di accoglimento.

Va qui escluso dalle questioni proposte l’art. 31 della legge n. 457/1978, atteso che il contestato permesso edilizio deve essere esaminato alla stregua delle disposizioni del piano di recupero di cui risulta essere applicazione.

Sul punto, non pare al Collegio che lo strumento "de quo" possa essere interpretato nel senso di riconoscere alle particelle su cui è stato assentito il permesso (nn. 2290 e nn. 2287) una vocazione edificatoria che, pur in sede di piano di recupero, consenta sulla base dell’invocato punto 4.3. (rubricato semplicemente "ampliamenti") di realizzare un "completamento volumetrico mediante la realizzazione di un fabbricato a destinazione residenziale". Queste definizioni, che si leggono del tutto chiaramente nel contestato permesso di costruire non sono affatto riconducibili, al concetto di area soggetta ad ampliamento ed alla relativa descrizione offerta dal punto 4.3..

Al riguardo correttamente il TAR muove dall’ incontestato dato generale che l’intervento ricade in zona A – conservativa del PRG, vincolata alla conservazione del tessuto urbano esistente, e con divieto fino alla approvazione dei piani di recupero, di variare le destinazioni di uso delle fabbriche e delle aree. Afferma poi il primo giudice che:

" un chiaro elemento di distonia rispetto al quadro urbanistico di riferimento si coglie in riferimento alla estensione del concetto di completamento volumetrico ad un intervento edilizio autonomo assentito su area libera, vincolata nel piano di recupero all’ampliamento di fabbricati;

– "Né è possibile accedere ad una lettura orientata delle sopra richiamate prescrizioni urbanistiche, accreditando la tesi del (presunto) collegamento di tale costruzione con quelle già autorizzate, al fine di accreditare la funzione di completamento volumetrico di quanto autorizzato".

Prosegue e conclude il TAR che: "Rilievo dirimente assume, a tal riguardo, la considerazione che il suddetto assunto difensivo, del tutto indimostrato, non tiene conto della tipologia dell’intervento, che si pone come costruzione "ex novo" di due unità abitative, e su area che fisicamente è separata da quelle oggetto dei precedenti permessi di costruire, come risulta dalla perizia tecnica giurata prodotta da parte ricorrente, e non contrastata da specifici elementi di segno contrario da parte dell’amministrazione resistente".

In effetti la tesi rifiutata dal TAR, per le argomentazioni portate a suo supporto, sembra erroneamente e forzatamente assimilare le particelle destinate dal piano di recupero agli "ampliamenti" alle zone di completamento edilizio B2 nelle quali gli strumenti urbanistici hanno non già la finalità di recuperare edifici preesistenti ma di completare con nuove costruzioni una edificazione urbana già ampiamente espansa.

Considerato però il quadro generale dello strumento (con indubbia finalità di recupero), e oltre al tenore del punto n. 4.3., il Collegio non può che confermare l’orientamento reso dal primo giudice, che risulta fondato su una logica del tutto piana. In effetti anche la prescrizione del predetto punto, per cui "gli ampliamenti previsti consentiranno l’affaccio con finestre e con balconi non aggettanti" rivela che lo spazio libero destinato agli ampliamenti può essere utilizzato solo a beneficio dei limitrofi interventi di riedificazione del preesistente (che a rispetto dell’area libera dovranno rispettare quelle caratteristiche) ma certamente non per la realizzazione di autonome e nuove volumetrie residenziali.

Nè incrina la fondatezza di questa interpretazione il fatto che, con colorita ed efficace espressione metaforica, il piano di recupero indichi l’obbiettivo di procedere ad una "ricucitura del tessuto urbano", perché tale locuzione non muta la sostanza tipologica degli interventi di recupero assentibili, ma significa semplicemente che il tessuto urbano deve essere ricomposto ricostruendo gli edifici originariamente esistenti, finalità che dunque non può essere riconosciuta all’intervento assentito dal Comune con il contestato permesso.

– La infondatezza del motivo testè trattato rende irrilevante l’eccezione sollevata dalle appellate con riferimento all’ammissibilità della perizia esibita a sostegno della censura.

2.4.- Il terzo ed ultimo ordine di doglianze sostiene che il TAR "si avventura in una qualificazione del piano di recupero" che sarebbe illegittima anche sotto altro profilo, precisamente ove esclude che il Piano di recupero abbia valenza urbanistica; con ciò, secondo l’appellante, la sentenza si porrebbe in contrasto con l’art. 31 della legge n. 457/1978 che invece permette ai piani di recupero di contenere previsioni di ridefinizione del tessuto urbanistico.

Anche questa tesi non ha fondamento. In disparte la già rilevata inconferenza della legge invocata, si osserva che il TAR ha proceduto ad una interpretazione dello specifico piano di recupero e non della astratta possibilità che questo possa legittimamente contenere disposizioni di natura più specificamente urbanistica, e quindi preventivare non solo recuperi ma anche un’espansione edilizia del territorio oltre le aree oggetto di recupero in senso stretto. Resta quindi che quest’ultima finalità non è riconoscibile nel Piano di recupero del Comune di Volla quantomeno con riferimento alle aree interessate dal permesso di costruire censurato.

3.- Deve essere ora esaminato il gravame interposto dal Comune di Volla, e che risulta parimenti infondato.

3.1- L’unico mezzo svolto dal Comune è infatti sostanzialmente identico a quello già trattato (v. punto 2.3) a proposito del ricorso M.. Il Collegio fa quindi rinvio alle motivazioni sul punto illustrate.

4.- Conclusivamente, i ricorsi debbono essere respinti, meritando conferma la sentenza impugnata.

5.- La sufficiente complessità delle questioni sollevate e trattate permette di disporre la compensazione delle spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione IV), definitivamente pronunziando in merito ai ricorsi in epigrafe, e previa loro riunione, li respinge.

Compensa le spese del grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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