Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 17-02-2011) 04-05-2011, n. 17216 Tutela

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

GNA Giuseppe, il quale ha chiesto l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

Il Tribunale di Lecce – Sezione distaccata di Nardò, con sentenza del 21.4.2010, affermava la responsabilità penale di P.M. C. in ordine al reato di cui:

– alla L. n. 977 del 1967, art. 8, comma 1 e art. 26, comma 2, (poichè, quale titolare e gestore di un esercizio di bar, ammetteva al lavoro l’adolescente P.F., omettendo di farlo sottoporre a visita medica preventiva – acc. in (OMISSIS)) e, riconosciute circostanze attenuanti generiche, la condannava alla pena di Euro 1.400,00 di ammenda.

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la P., la quale – sotto il profilo della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione – lamenta l’incongrua valutazione delle prove, in quanto attraverso le deposizioni testimoniali acquisite risulterebbe dimostrato che il P., al momento dell’accertamento, non era ancora alle dipendenze di essa imputata, che stava soltanto "valutando l’opportunità di assumerlo".
Motivi della decisione

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perchè articolato in fatto e manifestamente infondato.

Il Tribunale ha accertato – e ne ha dato conto con motivazione adeguata e coerente – che, alle ore 13,00 circa del 1 agosto 2007, nel bar "(OMISSIS)" gestito dall’imputata, l’adolescente P. "stava sparecchiando un tavolo dai bicchieri ivi presenti e poi, entrato nel locale, si poneva dietro il bancone a lavarli".

Immediatamente dopo la intervenuta verbalizzazione il giovane veniva sottoposto alla prescritta visita medica e nei giorni successivi veniva formalizzata l’assunzione lavorativa.

Dalle modalità della condotta del giovane, caduta nella percezione diretta degli accertatori e sintomatica dello svolgimento di prestazione non occasionale, nonchè dalla conseguente immediata regolarizzazione del rapporto di lavoro, razionalmente il giudice del merito ha dedotto la sussistenza di un’attività lavorativa già in atto ed ha svalutato la tesi difensiva della prestazione spontanea e soltanto amichevole (pure sostenuta dal P. e dal consulente del lavoro dell’imputata).

Nella situazione anzidetta con il ricorso viene censurato in fatto il provvedimento impugnato, mentre le doglianze concernenti asserite carenze argomentative sui singoli passaggi della ricostruzione fattuale dell’episodio e dell’attribuzione dello stesso alla persona dell’imputato non sono proponibili nel giudizio di legittimità, quando la struttura razionale della decisione sia sorretta, come nella specie, da logico e coerente apparato argomentativo, esteso a tutti gli elementi offerti dal processo, e il ricorrente si limiti sostanzialmente a sollecitare la rilettura del quadro probatorio, alla stregua di una diversa ricostruzione del fatto, e, con essa, il riesame nel merito della sentenza impugnata.

Tenuto conto della sentenza 13.6.2000, n. 186 della Corte Costituzionale e rilevato che non sussistono elementi per ritenere che "la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", alla declaratoria della stessa segue, a norma dell’art. 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonchè del versamento di una somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di Euro 1.000,00.
P.Q.M.

la Corte Suprema di Cassazione, visti gli artt. 607,615 e 616 c.p.p., dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento della somma di Euro mille/00 in favore della Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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