Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 20-04-2011) 05-05-2011, n. 17307

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

M.R. e C.G. ricorrono, a mezzo del loro comune difensore avverso la sentenza 22 novembre 2010 della Corte di appello di Milano (che ha confermato la sentenza 9 aprile 2008 del Tribunale di Milano, di condanna di entrambi per i reati di tentata truffa e calunnia aggravati) deducendo vizi e violazioni nella motivazione nella decisione impugnata, nei termini critici che verranno ora riassunti e valutati.

1.) i capi di imputazione. Il M. e la C. sono accusati:

capo A) del reato di cui agli artt. 110, 56 e 640 c.p. e art. 61 c.p., n. 7 perchè nella loro qualità di soci della s.a.s. Studio Redazionale CM, con sede in Milano, tentavano di procurarsi l’ingiusto profitto della somma di Euro 82.601,00, in danno della Banca Popolare di Bergamo, inducendone in errore i funzionari con il seguente artificio: il 27 ottobre 2003 M. effettuava presso l’agenzia di piazzale Siena della Banca Popolare di Bergamo, a favore di conti correnti intestati allo Studio Redazionale CM, i seguenti bonifici: – 5 (cinque) Euro a favore del conto corrente n. (OMISSIS), acceso presso la Banca Intesa, filiale di (OMISSIS); – 4 (quattro) Euro a favore del conto corrente n. (OMISSIS), acceso presso la Banca Intesa, filiale (OMISSIS); – 7 (sette) Euro a favore del conto corrente n. (OMISSIS), acceso presso il Banco di Sardegna ag. (OMISSIS) di Milano; – 5 (cinque) Euro a favore del conto corrente n. (OMISSIS), acceso presso la Banca Antonveneta, ag. (OMISSIS) di Milano;

successivamente M. contraffaceva la copia dell’ordine di bonifico rimasta a sue mani, mediante ricalco da un primo foglio diverso da quello originale, apponendo le seguenti somme: – Euro 24.245 per il primo bonifico; – Euro 29.374 per il secondo bonifico;

– Euro 19.697 per il terzo bonifico; – Euro 9.285 per il quarto bonifico; poichè le banche destinatane non avevano ricevuto le maggiori somme asseritamente bonificate sui conti correnti dello Studio Redazionale CM, entrambi gli imputati presentavano denuncia contro il direttore e il personale della Banca Popolare di Bergamo, assumendo che avevano provveduto a falsificare le disposizioni di bonifico e le distinte di versamento; senza riuscire nell’intento perchè la Banca Popolare di Bergamo contestava il loro assunto;

capo B) del reato di cui agli artt. 110 e 368 c.p. e art. 61 c.p., n. 2 perchè al fine di conseguire il profitto di cui al capo che precede, il 7 luglio 2004, presentando denuncia contro il legale rappresentante e il personale della Banca Popolare di Bergamo, agenzia di (OMISSIS), incolpavano falsamente i predetti, sapendoli innocenti, di avere falsificato le disposizioni di bonifico e le distinte di versamento sopra indicate.

2.) la motivazione della sentenza impugnata.

Per la Corte di appello i punti fermi accertati sono dati nell’ordine: a) dalla inesistenza della somma di Euro 82.000,00 consegnata al Ma., rilevato che quest’ultimo, appena assunto presso la Banca popolare di Bergamo, nessun interesse avrebbe avuto a mettere a rischio il suo posto di lavoro, facendo un falso ai danni di un cliente per una cifra che certo non avrebbe potuto cambiare il corso della sua vita; b) quanto subito dalla dottoressa A. per aver fatto una corretta consulenza grafica, valutate anche le dichiarazioni del perito B., in ordine alle firme dissimili poste sui documenti oggetto delle perizie ed anche all’affermazione di quest’ultimo relative alla diversità di ritmo grafico e di velocità esecutiva delle firme stesse.

In fatto la corte distrettuale rammenta:

1) che risulta agli atti che il 23 Ottobre 2003 dallo Studio Redazionale C.M. tramite la stessa Banca popolare di Bergamo era stato fatto un bonifico per l’importo di 4 Euro a favore dell’Alitalia;

2) che il difensore del M. ha citato la circostanza per evidenziare che l’imputato non era sconosciuto alla Banca stessa, senza considerare che in quell’occasione il M. deve aver fatto una "prova generale" di quanto evidentemente aveva intenzione di architettare: in tal modo provando l’effetto che faceva alla Banca l’effettuazione di bonifici di lievissima entità; ed altresì realizzando la possibilità di prendere un certo numero di moduli per bonifici che la filiale della Banca teneva in uno scaffale esposto al pubblico per la loro successiva utilizzazione.

Da ciò l’ulteriore considerazione che, forse anche in data precedente al 27.10.2003 e con tutta calma, il M. abbia compilato quattro originali disposizioni di bonifico, evitando di lasciare tracce sulle copie a ricalco (per esempio, "aprendo" madre e figlia, senza staccarle, in modo che non restassero sovrapposte, ma comunque unite dalla sottilissima striscia di colla che usualmente le tiene insieme, oppure mettendo in mezzo un cartoncino evitando anche in tal modo di lasciare tracce sulle copie a ricalco).

Su uno di tali originali – rileva la corte distrettuale – il M. ha però dimenticato la parola versamento, su ciascuno, poi ha apposto firme diverse dalla sua solita sottoscrizione, in modo da poterle far ritenere successivamente false, quindi ha indicato quali versamenti gli irrisori importi di 5, 7, 5 e 4 Euro; poi successivamente egli ha compilato di nuovo per quattro volte un secondo originale di disposizioni di bonifico, in maniera assolutamente fedele ai primi originali, tenendo al di sotto di tali "secondi originali" le figlie dei "primi originali", in modo che il ricalco avvenisse.

Da qui la sensazione, per i giudici di merito, di un atto ricalcato, esito questo peraltro affermato dal consulente di parte B..

Ciò è stato fatto riportando le stesse parole scritte sui primi originali, con la stessa distanza l’una dall’altra e sulle stesse righe, in modo da evitare che, in apparenza, si evidenziassero differenze; infine l’autore ha "chiuso" i due fogli costituenti il primo originale e la relativa figlia (in modo da non colpire lo sguardo rapido e non particolarmente sospettoso dell’addetto allo sportello bancario Ma.) e si è presentato al cassiere Ma., consegnando i moduli.

Il Ma., a questo punto, ha segnato sugli originali delle disposizioni (c.d. madri), così come previsto da disposizioni interne, i rispettivi numeri che quindi rimanevano ricalcati sulle conferme di bonifico (c.d. figlie).

Probabilmente nell’atto stesso di apporre i numeri o anche per le precedenti manovre sui moduli fatte dal M. il modulo madre ed il modulo figlia non erano più perfettamente aderenti sì da provocare nel ricalco una leggera sfasatura, come si è sostenuto con i motivi di appello.

Prosegue ancora la Corte di appello evidenziando che il M., accortosi che sull’originale della disposizione di bonifico n. (OMISSIS), aveva dimenticato di apporre la dicitura "versamento", il cassiere Ma. l’apponeva con la sua penna e grafia;

successivamente, sulle conferme ditali disposizioni, che poi sarebbero state consegnate a M., il Ma. apponeva il timbro e dopo aver consegnato all’imputato i moduli "figlie" conservava nella documentazione della banca i moduli madri.

Una volta uscito dalla banca M. compilava per conto suo altri originali con moduli in bianco presi alla banca e riempiva le Caselline relative agli importi, facendo precedere ai numeri ivi "5", "7", "5", "4" le cifre aggiuntive "24.24", "19.69", "9.28", 29.37", ponendo sotto le c.d. "figlie" (conferme di disposizione di bonifico) in suo possesso in modo da far risultare le cifre più rilevanti di Euro rispettivamente 24.245, 19.697, 9.285, 29.374.

Accortosi che sulla conferma di disposizione di bonifico però era rimasta ricalcata la parola "versamento" apposta dal Ma. con la sua grafia – cosa che evidentemente veniva a disturbare il suo piano, rappresentando un elemento che sarebbe potuto diventare un raccordo preciso con l’originale della banca – l’imputato decideva di scrivervi sopra ed alla fine faceva uno scarabocchio, inventando poi tutta la storia dell’appunto trascritto per errore dal Ma. e ricalcatosi casualmente sul modulo a ricalco.

Aggiunge ancora il giudice d’appello che, se residuassero dubbi, va chiarito che sulle copie a ricalco, rimaste in possesso del M. e sequestrate, i numeri apposti dal Ma. sono del tutto identici a quelli apposti sul modulo rimasto in possesso della banca e non appaiono oggetto di imitazione alcuna. Inoltre i moduli relativi alla distinta di versamento, sulla autenticità dei quali gli imputati non hanno avanzato dubbi, evidenziano anche ad un occhio profano che sono stati vergati dalla stessa mano che ha riempito gli altri cioè quella del M..

Pertanto la Corte ha ritenuto la responsabilità penale degli imputati – che hanno agito in perfetta sintonia – per i reati loro contestati e di cui, entrambi, hanno fornito le medesime identiche giustificazioni ed argomentazioni fino al momento delle dichiarazioni spontanee davanti a questa Corte.

Quanto al trattamento sanzionatorio, osserva la corte territoriale, che ad entrambi sono state riconosciute le attenuanti generiche in considerazione della loro incensuratezza e probabilmente delle assai precarie condizioni economiche che debbono aver creato un tale stato di disagio da farli ricorrere al crimine, convinti ingenuamente di poterla spuntare.

Invero a fronte della gravità di entrambi i reati contestati non si ritiene che la pena applicata, tenuto conto della continuazione tra i reati, sia stata determinata in eccesso.

Al contrario, in assenza di elementi nuovi o diversi di valutazione rispetto a quelli che hanno giustificato la determinazione della pena inflitta dal giudice di primo grado la stessa è stata confermata come avvenuto anche per le statuizioni civili.
Motivi della decisione

3.) i motivi di impugnazione e le ragioni della decisione della Corte di legittimità.

Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonchè vizio di motivazione sotto il profilo della violazione del disposto dell’art. 108 c.p.p. con riferimento alla posizione difensiva della C.G..

In fatto il ricorso evidenzia quanto segue: a) l’avv. Giampaolo Di Pietto viene nominato difensore "d’ufficio" della C. dal Tribunale di Milano in data 14 maggio 2008; b) con l’atto d’appello del 24 luglio 2008, viene nominata difensore di fiducia della C. l’Avv. Alessandra Silvestri: secondo l’assunto difensivo il conferimento di tale mandato fiduciario, rende esplicita la volontà dell’imputata di volersi fare assistere da un legale "diverso" dall’Avv. Di Pietto, a nulla rilevando, sul piano giuridico, che tale diversa decisione non venga assunta dal coimputato (marito) M.S. il quale risulta difeso dal detto avv. Pietto; c) con ordinanza predibattimentale la Corte di appello non accoglie l’istanza di rinvio per legittimo impedimento avanzata dal difensore di fiducia Avv.ssa Silvestri, che comunque ritiene di non presentarsi all’udienza, forse anche in ragione della revoca del mandato difensivo ricevuto il giorno prima via fax al suo Studio, per iniziativa della C.; d) con fax del 21 novembre 2010 ore 13,01 inviato dalla C. allo Studio dell’avv.ssa Silvestri il predetto difensore viene revocato; e) tale revoca viene formalmente comunicata alla Corte d’Appello in sede di udienza del 22 novembre, sia dagli imputati presenti (la C. data presente all’udienza solo in un momento successivo della stessa, ma comunque prima dell’effettivo inizio del processo d’Appello, rappresentato dalla relazione introduttiva della causa da parte del relatore – cfr verbale d’udienza – la dove si revoca la contumacia dell’imputata), che dall’avv Di Pietto, difensore del M. e designato dalla Corte di appello come sostituto dell’avv.ssa Silvestri come risulta dal verbale dibattimentale e atti allegati allo stesso; f) la Corte, su tempestiva e puntuale richiesta di "termine a difesa" avanzata dall’imputato M. e dall’unico legale presente (Avv Di Pietto) nella sua doppia veste d difensore degli imputati, ha rigettato l’istanza richiamando sostanzialmente il dettato dell’art. 107 c.p.p., commi 3 e 4.

Per il ricorrente nella specie sarebbe pacifico che vi è stata la revoca dell’avv.ssa Silvestri, la quale, non essendo presente, non ha potuto svolgere quell’attività difensiva in prorogatio, stigmatizzata in ogni caso la nomina a sostituto processuale per la difesa della C. ancora dello stesso avv. Di Pietto, suo precedente difensore d’ufficio e l’assenza di motivazione sul punto dell’applicazione dell’art. 108.

Il motivo non è fondato, ferma la regola che il difensore, nominato come sostituto del titolare, non reperito o non comparso, non ha diritto alla concessione di un termine a difesa, che invece spetta a quello nominato a causa della cessazione definitiva dall’ufficio del precedente difensore, per rinuncia, revoca, incompatibilità o abbandono (Cass. pen. sez. 2, 26298/2007 Rv. 237152).

Ritiene la Corte che la comunicazione dell’avvenuta revoca del difensore di fiducia nominato, avv.ssa Silvestri, da parte della C., presente in udienza, abbia necessariamente imposto la nomina di un difensore a sensi dell’art. 107 c.p.p., commi 3 e 4, tenuto conto che il diritto alla concessione di un congruo termine per la difesa, nei casi di rinuncia, revoca, incompatibilità e nel caso di abbandono da parte del precedente difensore, può essere esercitato pur quando detti fatti, e la conseguente nomina del nuovo difensore, come nella specie, si siano verificati nell’immediatezza della celebrazione del giudizio (Cass. pen. sez. 2, 15413/2008 Rv.

239644).

Tanto premesso va chiarito, quanto all’applicazione del termine a difesa dell’art. 108, invocata quale diritto del "rinominato avv. Di Pietto" quale difensore della C., che è convincimento del Collegio che la norma in questione, proprio per la finalità che la giustifica (che è quella di impedire che un difensore impreparato e non a conoscenza degli atti processuali e dei fatti oggetto del procedimento, prospetti inutilmente il suo diritto a disporre di un termine congruo per l’esercizio del suo mandato professionale), vada in concreto correlata – in modo sostanziale – alla effettiva palese condizione di conoscenza dei fatti e del procedimento in capo al professionista che viene designato, anche in relazione alle esigenze di ragionevole durata del processo.

Ed è proprio siffatta correlazione che, nel caso di specie, consente di escludere che l’avv. Pietti che aveva, per i due coniugi imputati, seguito attivamente la vicenda processuale (è stato nominato difensore della C. dal Tribunale il 14 maggio 2008) avesse reale necessità di uno "spazio di rimeditazione dei dati processuali e della relativa strategia difensiva", che aveva per entrambi gli accusati posto in essere, con conseguente correttezza sostanziale dell’avvenuta negazione del termine a difesa.

In buona sostanza ed in altre parole, il diritto ad un termine a difesa, in caso di revoca del precedente difensore (nella specie avvocatessa nominata con l’atto di appello e revocata dalla parte alla prima udienza dibattimentale, dopo il rigetto con provvedimento predibattimentale di una sua istanza di rinvio per legittimo impedimento), non può considerarsi stabilito in termini di "automatica concessione" in tutti i casi in cui, come quello di specie, il difensore designato sia il medesimo professionista (avv. Pietti) che ha assistito la parte (successivamente rimasta priva, per effetto della sua scelta di revoca del difensore nominato, avv.ssa Silvestri) prima della nomina dello stesso difensore di fiducia, come già detto, revocato alla prima udienza d’appello.

Interpretazione questa in linea con l’autorevole insegnamento della Corte delle leggi che sul tema del rilievo di irregolarità e sanzioni di nullità, ha chiarito che non ogni irregolarità processuale conduce alla sanzione di nullità, specie ove si consideri che la legge di delega sul nuovo C.P.P. ha, nella sua direttiva di esordio, espressamente sancito il criterio della massima semplificazione nello svolgimento del processo con eliminazione di ogni atto o attività non-essenziale".

Inoltre, prosegue ancora la Corte costituzionale, l’insistito richiamo del legislatore delegante alla semplificazione delle forme non può dunque che rispondere ad una omologa e rigorosa limitazione della cause di nullità ai soli vizi di forma che rispondano ad altrettanti difetti di sostanza" (Corte costituzionale, ord. 8-10 maggio 2000, Pres. Mirabelli, rel. Flick).

Nella specie pertanto la negazione del termine per la difesa, proprio per la pacifica pregressa completa conoscenza dei fatti e del procedimento in capo all’avv. Pietti, designato ex art. 97 c.p.p., non ha realizzato alcuna reale compromissione del diritto di difesa, idonea ad integrare la nullità di cui all’art. 178 c.p.p., lett. c).

Il relativo motivo va quindi rigettato.

Con un secondo motivo si lamenta violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 368 c.p. e sul concorso di persone nel reato ex artt. 110 e seg. e per carenza motivazionale assoluta relativamente alla calunnia del capo B).

Rileva il ricorrente che, nonostante fosse stato ritualmente richiesto ed esposto nei motivi d’appello di entrambi i precedenti difensori (più genericamente dall’Avv Silvestri e come specifico motivo d’appello – punto 3 dall’Avv. Di Pietto) nessun cenno motivazionale si ravvisa nella sentenza impugnata per la condanna del capo B).

In particolare si lamenta, per l’imputata C., la sussistenza dell’elemento psicologico costitutivo di tale reato, e per il M., si contesta che la condotta accertata in concreto a suo carico integri gli elementi costitutivi del reato di calunnia.

In conclusione non vi sarebbe alcuna argomentazione logica e adeguata ad illustrare le ragioni che hanno determinato il convincimento della Corte di Appello in ordine alla responsabilità del sig. M. – come concorrente – nel reato di calunnia.

Con un terzo motivo si prospetta contraddittorietà e illogicità della motivazione in relazione ad una serie di errori di fatto che riguardano: la scrittura privata sottoscritta dal R. (sulla consegna dell’argenteria e delle due icone del 1500); la definita imprecisione della consulente tecnica dr.ssa A.; la lettera 19 giugno 2006; l’attribuibilità della grafia dei moduli di versamento).

Entrambi gli ultimi motivi sono per più profili inammissibili o privi di fondamento.

Va infatti preliminarmente precisato che nella verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte di secondo grado, tale decisione non può essere valutata isolatamente, ma deve essere esaminata in stretta ed essenziale correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che entrambe risultano sviluppate e condotte secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti.

In buona sostanza ed in altre parole, nella specie, ci si trova di fronte a due sentenze, di primo e secondo grado, che concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente sì da costituire un unico complessivo corpo argomentativo, privo di lacune, considerato che la sentenza impugnata, ha dato comunque congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza.

In conclusione l’esito del giudizio di responsabilità non può essere invalidato dalle prospettazioni alternative del ricorrente le quali si risolvono nel delineare una "mirata rilettura" di quegli elementi di fatto che sono stati posti a fondamento della decisione, nonchè nella autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili, oppure perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta si è in concreto esplicata.

La lettura diacronica delle due decisioni consente infatti di individuare, per ogni condotta materialmente posta in essere da uno dei coniugi, una corrispondente adesione psicologica del "partner" che ha accompagnato tutte le complesse dinamiche di realizzazione dell’illecito, nei termini illustrati in modo conforme sia dal Tribunale che dalla Corte di appello.

Sinergia operativa e funzionale tra i due imputati, desumibile appunto dalla ricostruzione dei fatti, operata dai giudici di merito, ed in cui assume una posizione di assoluta funzionalità la condotta di cui al capo B), la quale si pone come necessario "tassello di validazione" coerente con l’ideazione del crimine e con l’articolata condotta truffaldina del capo A).

Quanto ai vizi indicati nel 3^ motivo, in tema di giustificazione della decisione, anche in punto di valutazione delle prove, va rammentato che alla Corte di Cassazione è normativamente preclusa la possibilità, non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta dai giudici di merito, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia, portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno.

Le S.U. hanno ampiamente spiegato che avendo il legislatore attribuito rilievo esclusivamente al testo del provvedimento impugnato, che si presenta quale elaborato dell’intelletto, costituente un sistema logico in sè compiuto ed autonomo, il sindacato di legittimità è limitato alla verifica della coerenza strutturale della sentenza in sè e per sè considerata, necessariamente condotta alla stregua degli stessi parametri valutativi da cui essa è "geneticamente" informata, ancorchè questi siano ipoteticamente sostituibili da altri (SS.UU. n. 12/2000, Rv.

216260, imputato. Jakani 216260).

Il ricorso pertanto risulta infondato, valutata la conformità del provvedimento alle norme stabilite, nonchè apprezzata la tenuta logica e coerenza strutturale della giustificazione che è stata formulata.
P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *