Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 18-04-2011) 05-05-2011, n. 17705

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

A S.M.O. è stata applicata la misura cautelare della custodia in carcere dal GIP presso il tribunale di Caltanissetta in data 30 novembre 2010 perchè indagato, in concorso con altre persone, di quattro episodi di estorsione e tentata estorsione in danno di B.A., G.P., Z. M.A. e della Gesar srl, episodi aggravati dalla circostanza di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7 sai per il metodo mafioso utilizzato, sia per la finalità di agevolare una consorteria mafiosa e, precisamente, la famiglia di Caltanissetta di Cosa Nostra.

Il tribunale del riesame di Caltanissetta, con ordinanza emessa in data 23 dicembre 2010, annullava la ordinanza impositiva con riferimento alla tentata estorsione in danno di B.A. e confermava nel resto il provvedimento impugnato.

Gli elementi indiziari a carico del S. erano tratti essenzialmente dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia e, precisamente, di R.P., Ri.Al., F.A. C. e Ba.Ca., dichiarazioni reciprocamente riscontrantesi secondo i giudici del merito.

In particolare veniva posto in evidenza che il S., titolare di una ditta che operava nel settore della bitumazione e vicino alla organizzazione mafiosa, tanto è vero che già era stato condannato per il delitto associativo, aveva stipulato un accordo con la famiglia mafiosa di Caltanissetta, secondo il quale i membri dell’associazione si sarebbero adoperati al fine di garantire l’acquisizione da parte dell’impresa S. di lavori in sub- appalto nella provincia di Caltanissetta, in cambio di un regalo versato dal S. quale corrispettivo per i vantaggi ottenuti.

Gli episodi estorsivi in discussione, salvo quello in danno della Gesar srl, ove il S. avrebbe assunto il ruolo di intermediario tra esponenti mafiosi e l’imprenditore vantando un rapporto lavorativo con quest’ultimo, sarebbero stati esecuzione dell’accordo di cui si è detto.

La maggior parte degli episodi sono rimasti a livello di tentativo perchè R. e Ri., come anche il S., vennero colpiti da provvedimenti di custodia cautelare in carcere.

Il tribunale illustrava poi gli elementi indiziari emersi dalle dichiarazioni dei collaboranti per ogni singolo episodio contestato.

Con il ricorso per cassazione S.M.O., dopo avere riportato il contenuto di una memoria difensiva concernente i contestati episodi estorsivi depositata dinanzi al tribunale di Caltanissetta in sede di riesame, deduceva la violazione di legge ed il vizio di motivazione in relazione all’art. 125 cod. proc. pen e artt. 56 e 629 cod. pen..

In particolare il ricorrente segnalava divergenze tra le dichiarazioni rese dai collaboranti Ba.Ca. e R. P., il fatto che non fosse stata dimostrata la partecipazione del S. alle vicende estorsive, la circostanza che in tutti i casi la fornitura di bitume venne aggiudicata a ditte diverse, cosicchè un dato dichiarativo veniva smentito da elementi oggettivi.

Chiariva, inoltre, il ricorrente che la fonte di accusa risultava soltanto il collaborante R.P., avendo il Ri. riferito cose apprese dal R. stesso.

Erano, poi, state trascurate le dichiarazioni delle presunte parti offese, avendo ad esempio il Giunta riferito di avere declinato l’invito del R. perchè aveva conferito già l’incarico alla ditta Cangemi, dal che si desumeva l’assenza della idoneità ed univocità degli atti posti in essere.

Anche per il tentativo di estorsione in danno di Z. l’incarico dei lavori di bitumazione era stato conferito ad altra ditta.

Rilevava il ricorrente che non era sufficiente la qualifica di concorrente nel reato associativo per ritenere il S. responsabile anche dei reati-fine.

Quanto, infine, alla vicenda Gesar il S. avrebbe soltanto favorito un incontro tra il R. e gli Ar., senza, peraltro, partecipare allo stesso ed agli incontri successivi; non ha fornito, pertanto, nessun apprezzabile contributo causale alla consumazione del reato contestato.

I motivi posti a sostegno del ricorso proposto da S.M. O. non sono fondati, ed anzi sono ai limiti della ammissibilità perchè il ricorrente sembra volere mettere in discussione le valutazioni di merito compiute dai giudici dei primi due gradi di giurisdizione, anche se sul piano formale ha dedotto la violazione di legge.

In effetti il ricorrente ha dedotto la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza nei confronti di esso S., eccependo, in particolare, le divergenze esistenti tra le dichiarazioni rese dai collaboratori di giustizia.

Non merita censure sotto tale profilo la ordinanza impugnata perchè i giudici del merito hanno correttamente interpretato e valutato le dette dichiarazioni nel pieno rispetto dei canoni indicati dall’art 192 cod. proc. pen. e degli indirizzi giurisprudenziali in materia.

Il tribunale ha, infatti, dapprima esaminato i profili di attendibilità cd. intrinseca dei collaboranti, pervenendo ad una valutazione positiva in ragione della precisione del racconto da ciascuno di essi fornito, del fatto che in effetti i collaboranti si erano anche autoaccusati di gravi delitti, circostanza che indubbiamente rende maggiormente credibili le loro affermazioni, e del fatto che il loro racconto rappresentava un complesso contesto di penetrazione della organizzazione mafiosa in ambienti produttivi di Caltanissetta secondo un metodo già sperimentato ed attuato in altre province siciliane. Valutata positivamente la ed. attendibilità intrinseca, il tribunale ha esaminato la esistenza dei ed. riscontri esterni, stabilendo che la convergenza delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia costituiva un valido riscontro ai sensi dell’art. 192 cod. proc. pen., comma 3 come più volte chiarito anche dalla Suprema Corte.

In effetti le presunte divergenze dei racconti non appaiono affatto determinanti, dal momento che il nucleo centrale delle dichiarazioni dei collaboranti converge sul fatto che il S. si sia rivolto alla organizzazione mafiosa affinchè si adoperasse per ottenere da imprenditori edili di Caltanissetta lavori di bitumazione in subappalto per la ditta di esso S., in modo da creare un sistema in tale Città simile a quello già esistente nella città di (OMISSIS); l’organizzazione mafiosa, tramite principalmente R. e Ri., divenuti poi collaboratori di giustizia, effettivamente intervenne presso vari imprenditori, spesso non raggiungendo lo scopo per cause indipendenti dalla volontà dei soggetti operanti.

Una tale ricostruzione dei fatti non risulta affatto smentita dalla deduzioni del ricorrente, che, peraltro, sono di merito, e, quindi, inammissibili in sede di legittimità.

Il rilievo del ricorrente che il collaborante Ri. sarebbe de relato avendo riferito soltanto cose apprese da R.P. appare infondato perchè dalla motivazione del provvedimento impugnato emerge che il Ri., unitamente al R., partecipò, anche se sembra in posizione di minore rilievo, a numerose operazioni e, quindi, riferì cose apprese direttamente.

E’ vero, come rilevato dal ricorrente, che le iniziative del gruppo malavitoso non sortirono, nella maggior parte dei casi, gli effetti sperati, ma ciò non dipese dalla volontà dei soggetti operanti, nè si può sostenere che gli atti posti in essere non fossero idonei perchè gli imprenditori in alcuni casi avevano già dato in subappalto i lavori di bitumazione ad altre ditte.

Tale dato è privo di significato perchè la esperienza insegna che la forza intimidatrice delle cosche maliose è talmente forte che gli imprenditori minacciati, pur di non subire danni ai cantieri o alle persone, sostituiscono ditte alle quali sia già stato conferito un sub-appalto con altre consigliate dalle organizzazioni mafiose.

Nel caso di specie l’operazione non è andata a buon fine perchè si verificarono una serie di eventi non previsti, tra i quali l’arresto di gran parte degli appartenenti alla cosca, ivi compresi R., Ri. e S., che indussero le parti lese a non cedere ai ricatti.

Non ha pregio il rilievo del ricorrente secondo il quale il S. sarebbe stato ritenuto concorrente nelle tentate estorsioni soltanto perchè era stato ritenuto, e già condannato, concorrente esterno nel reato associativo.

In effetti dalla motivazione dei provvedimenti di merito si desume che il S. è stato ritenuto concorrente nei reati di tentata estorsione per la semplice ragione che fu proprio lui a chiedere agli appartenenti alla cosca di fare qualcosa per garantire la penetrazione della sua ditta negli affari edilizi (OMISSIS); i suoi coimputati si mossero proprio per realizzare il progetto ideato dal S.; è certamente ravvisabile in siffatta situazione il concorso nei reati contestati.

Quanto, infine, alla vicenda Gesar non può certo dirsi che il S. non fornì un apprezzabile contributo causale alla consumazione del reato, se soltanto si riflette sul fatto che il ricorrente, che era al corrente del progetto estorsivo, si adoperò per favorire l’incontro tra il titolare della ditta per la quale prestava la sua opera e gli esponenti mafiosi e che dopo un primo incontro ritenuto insoddisfacente da questi ultimi si impegnò, riuscendovi, per programmare ed organizzare un ulteriore incontro;

anche in siffatta situazione il contributo causale alla consumazione del reato è del tutto evidente, non essendo rilevante la mancata partecipazione del S. agli incontri suddetti, dal momento che il suo ruolo in tale vicenda era quello di tramite tra gli esponenti della cosca e gli imprenditori.

Appare utile da ultimo rilevare che il ricorrente si è soffermato esclusivamente sulla pretesa mancanza dei gravi indizi di colpevolezza, che deve essere esclusa per le ragioni dette, mentre non ha dedotto la mancanza delle esigenze cautelari, pur avendo fatto emergere nella stesura dei motivi che si trattava di fatti consumati molti anni prima dell’arresto. E’ precluso a questa Corte valutare tale aspetto – decorso del tempo – perchè esso potrebbe incidere sulla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari, punto non dedotto con i motivi di ricorso.

Per tutte le ragioni indicate il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato a pagare le spese del procedimento.

La Cancelleria è tenuta agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a pagare le spese del procedimento;

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p..

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *