Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-04-2011) 05-05-2011, n. 17702 Misure cautelari

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

L.F. ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso l’ordinanza 28.12.10 del Tribunale del riesame di Napoli che ha confermato quella in data 7.12.10 del locale g.u.p. con la quale è stata disposta, si sensi dell’art. 275 c.p.p., comma 1-bis e art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b), nei confronti del predetto – condannato, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di anni dieci di reclusione per il reato di partecipazione all’associazione camorristica denominata clan Veneruso e per delitti aggravati dal metodo mafioso – la misura cautelare della custodia in carcere.

Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata ordinanza, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e), osservando che la misura custodiale era stata emessa dopo la pronuncia della sentenza di primo grado e che l’imputato si trovava in stato di libertà in conseguenza della revoca di una precedente misura cautelare a suo tempo disposta per lo stesso fatto-reato, essendo stata ritenuta l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Senonchè – prosegue la difesa del L. – nel confermare l’adozione della misura i giudici del riesame si erano richiamati alla presunzione di pericolosità di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 e al pericolo di fuga dell’imputato in considerazione dell’entità della pena detentiva inflitta, senza verificare invece se vi fossero elementi in grado di superare detta presunzione, non potendo il pericolo di fuga farsi derivare dalla sentenza di condanna, in base al presupposto che l’entità della pena inflitta possa indurre l’imputato a darsi alla fuga, anche perchè erano stati ignorati importanti elementi di segno opposto, tra cui la circostanza che il L., il giorno successivo all’emissione dell’ordinanza cautelare, si era costituito presso la Casa circondariale di Larino, atteggiamento incompatibile con la volontà di darsi alla fuga.

Illogico e contraddittorio era dunque da considerarsi il provvedimento impugnato nella parte in cui aveva ritenuto accresciuto il pericolo di fuga e non acquisiti elementi da cui dedurre l’inesistenza di esigenze cautelari, laddove la presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3 ed il divieto di applicare una misura diversa rispetto alla custodia in carcere riguardavano il provvedimento genetico, ma non la verificabilità in concreto richiesta in epoca successiva al fine di accertare la sopravvenuta adeguatezza di altra misura meno affittiva, mentre il tribunale della libertà non aveva considerato come nella nota difensiva ex art. 121 c.p.p. la difesa avesse evidenziato il venir meno o quanto meno l’attenuarsi della ritenuta pericolosità, in quanto dopo l’annullamento del provvedimento cautelare genetico non erano emersi contatti tra il L. – che aveva continuato a svolgere la propria lecita attività lavorativa – e taluni dei sospettati di gravitare intorno al clan di riferimento. Osserva la Corte che il ricorso è fondato.

Ai fini, infatti, del ripristino della custodia cautelare, contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna ( art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b)), l’entità della pena inflitta, ancorchè elemento di imprescindibile valenza, non costituisce l’esclusivo parametro di riferimento, ma si colloca nel quadro di una più complessa valutazione che deve tenere conto anche della natura e gravità dell’addebito in funzione di un giudizio prognostico, prettamente di merito, dal quale appaia ragionevolmente probabile che il condannato possa sottrarsi all’esecuzione di provvedimenti giudiziali conseguenti alla irrevocabilità della pronuncia di condanna (cfr. Cass., sez. 5, 9 marzo 2004, n. 23119; Sez. 1, 11 febbraio 2010, n. 468).

La sussistenza del pericolo di fuga, ai fini del ripristino, determinato da sopravvenuta condanna, della custodia cautelare, non può essere infatti ritenuta sulla base della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, ma è necessario giungere a formulare una prognosi non in astratto, cioè in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, quindi con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto (personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di vita, frequentazioni), idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che il condannato faccia perdere le sue tracce (v. Sez. un., 11 luglio 2001, n. 34537; Sez. 1, 12 novembre 2009, n. 49342).

Orbene, nella specie, pur a fronte di specifici elementi di segno contrario alla sussistenza di un concreto pericolo di fuga, evidenziati dalla difesa del ricorrente in sede di riesame, i giudici della cautela hanno finito per ancorare indebitamente la rappresentata esigenza cautelare alla presunzione di cui all’art. 275 c.p.p., comma 3, erroneamente ritenuta vigente in materia quale presunzione di massima pericolosità sociale … che può essere vinta solo qualora risultino acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistano le esigenze cautelari, così palesemente contraddicendo l’esordio motivazionale del provvedimento stesso con cui il collegio si era proposto di formulare valutazioni esulanti da ogni presunzione "iuris et de iure e iuris tantum".

Anche nell’ambito di queste ultime, però, i giudici hanno fatto ricorso, per ritenere sussistente il pericolo di fuga, alla sola entità della pena inflitta e alla natura dell’imputazione, ritenendo il pericolo accresciuto "per l’interesse dell’imputato a sottrarsi alla cattura ed alla detenzione di lunga durata", senza ancorare tale giudizio ad un dato concreto da cui esso potesse ragionevolmente derivare, facendo inoltre genericamente riferimento alla personalità dell’imputato per come emerge dalla lettura degli atti, ritenendola indice sintomatico della esigenza cautelare in argomento anche per essere il L. inserito in un sodalizio di tipo mafioso senza però caratterizzare tale convincimento in termini di attualità della esistenza del sodalizio e della perdurante appartenenza ad esso del prevenuto, e senza inoltre evidenziare elementi, al di là di considerazioni astratte, idonei a definire in concreto il ricorrere della esigenza di cui all’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b) proprio alla luce dei precisi elementi di segno contrario (costituzione del L. in carcere il giorno seguente l’emissione del provvedimento restrittivo nei suoi confronti, svolgimento di regolare attività lavorativa) evidenziati dalla difesa dell’odierno ricorrente con la richiesta di riesame dell’ordinanza applicativa della misura cautelare.

L’ordinanza impugnata deve di conseguenza essere annullata con rinvio al Tribunale del riesame di Napoli per nuovo esame in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 307 c.p.p., comma 2, lett. b) nei confronti di L.F.. La cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.
P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale del riesame di Napoli per nuovo esame.

Manda alla cancelleria per gli avvisi di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1-ter.

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