Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 15-04-2011) 05-05-2011, n. 17699

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

G.C. ricorre, a mezzo del proprio difensore, avverso l’ordinanza 16.8.10 del Tribunale del riesame di N. che ha confermato, limitatamente al reato di partecipazione ad associazione di tipo camorristico (capo sub 1), l’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal G.i.p. del Tribunale di Napoli il 21.7.10.

Deduce la difesa del ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnato provvedimento, violazione dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), c) ed e) per avere i giudici del riesame del tutto omesso di verificare gli elementi indiziali specifici che attenevano alla posizione del G., affermando in maniera apodittica la intrinseca attendibilità del collaborante Z.G. (cl.

(OMISSIS)) ed individuando i ed. riscontri esterni con motivazione contraddittoria ed illogica. Infatti – assume il ricorrente – il tribunale aveva desunto la gravità indiziaria in ordine alla esistenza del sodalizio criminale unicamente dall’analisi dei singoli reati-fine contestati, costituenti le presunte condotte estorsive ai danni dei commercianti indicati in alcune liste, ma nessuno di tali reati-fine contestati al G. aveva superato la soglia della gravità indiziaria, situazione non considerata dai giudici del riesame i quali avevano, illogicamente e contraddittoriamente, ritenuto riscontro individualizzante per l’esistenza dell’associazione e per la partecipazione ad essa del G. fatti la cui gravità indiziaria non era stata ravvisata.

Nè tale partecipazione poteva rinvenirsi – conclude la difesa dell’indagato – dalla precedente sentenza prodotta all’udienza camerale, la quale avrebbe confermato – secondo il tribunale – che il G. operava a diretto contatto con il collaborante Z. G., trattandosi invero di un unico episodio che non poteva costituire riscontro esterno, senza che i medesimi giudici avessero inoltre considerato il verbale di perquisizione negativo della vettura del ricorrente, prodotto dalla difesa nella medesima udienza camerale, che smentiva l’affermazione del collaborante circa l’esistenza della lista al momento del loro fermo, mentre anche la moglie dello Z., C.A., ritenuta riscontro al marito, non aveva reso dichiarazioni da cui trarre riscontri individualizzanti, trattandosi di informazioni de relato apprese dal marito. Osserva la Corte che il ricorso è infondato.

Ricordato come il vizio di manifesta illogicità che, ai sensi dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. c), legittima il ricorso per cassazione in tema di misure cautelari personali deve risultare dal testo stesso del provvedimento impugnato, il che significa che solo l’assoluta carenza sul piano logico dell’iter argomentativo seguito dal giudice può avere rilievo in sede di legittimità, senza che lo possa la prospettazione di un’altra interpretazione o di un altro iter, in tesi egualmente corretti sul piano logico (v. Sez. un., 15 febbraio 1996, n. 41), per cui alla Corte di cassazione, allorchè sia denunciato il vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, spetta il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie, con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente all’accertamento non della responsabilità, ma di una qualificata probabilità di colpevolezza (v. Sez. un., 22 marzo 2000, n. 11), oltre che all’esigenza di completezza espositiva (v. Cass., sez. 6, 1 ottobre 2008, n. 40609), rileva questa Corte che nell’ordinanza impugnata non si evidenziano profili di incongruenza della motivazione in tema di gravità indiziaria concernente l’ipotesi criminosa di partecipazione ad associazione camorristica di G. C., come invece dedotto dalla difesa.

Ha in esordio evidenziato il tribunale del riesame come l’odierno ricorrente e lo Z.G. (classe (OMISSIS)) siano stati tratti inizialmente in arresto il (OMISSIS) dai carabinieri nella flagranza del reato di tentata estorsione continuata, aggravata L. n. 203 del 1991, ex art. 7 ai danni dei fratelli M., aggiudicatali dell’appalto per l’esecuzione di lavori di riqualificazione del centro urbano di (OMISSIS), arresto convalidato e al quale aveva fatto seguito il provvedimento cautelare in carcere confermato dal tribunale del riesame in data 14.10.09, preceduto (in data 22.9.09) dalla scelta collaborativa dello Z. che rendeva dichiarazioni auto ed eteroaccusatorie – reiterate in data 1.10.09;

7.10.09 e 15.10.09 – con le quali, premessa l’intenzione di cambiare vita, aveva ammesso che poichè si trovava senza lavoro era entrato a far parte del gruppo capeggiato da U.M. (detto " (OMISSIS)"), appartenente alla fazione camorristica Tavoletta- Ucciero, nel passato avversa alla fazione Bidognetti cui era appartenuto l’omonimo cugino Zi.Ga., con l’incarico di eseguire estorsioni ai danni di commercianti della zona di (OMISSIS), indicati in una lista di 50 nominativi consegnatagli dalla madre di U.M., di nome Ma., e scritta di pugno da U.V. (detto culo ‘e papera) e sicuramente contenuta all’interno del portadocumenti che G.C. ha consegnato ai carabinieri in occasione dell’arresto avvenuto lo scorso (OMISSIS).

Quest’ultimo – ha precisato lo Z. – era un suo amico al quale (come pure a P.R. e a D.C.) aveva chiesto aiuto per iniziare le attività estorsive e che, venuto a conoscenza di operare per il gruppo "Uccisero", aveva manifestato la volontà di partecipare alle attività estorsive e assieme al quale aveva operato estorsioni il cui ricavato aveva trattenuto una parte per sè, una parte per i complici, per destinarne infine altra – sempre su incarico di U.V. – all’acquisto di armi (avvenuto 7-8 giorni prima dell’arresto e di cui il G. era a conoscenza avendolo accompagnato presso lo zingaro di nome " Fr." per l’acquisto della pistola ), che poi aveva occultato presso la propria abitazione unicamente a 200 proiettili per pistola, senza poter consegnare alcuna somma al gruppo a causa dell’avvenuto arresto.

Riscontri estrinseci a tali propalazioni – ha osservato il tribunale partenopeo – si sono avute dalle ripetute dichiarazioni di C. A., dettasi anzitutto a conoscenza che il marito deteneva alcune armi (pistola, fucile a canne mozzate, fucile a canna lunga, caricatore del tipo a banana e diverse munizioni), riconosciute poi in quelle a lei mostrate dal p.m. in sede di compimento dell’atto investigativo del 26.9.09, nonchè del contenuto di alcune lettere di detenuti che avevano corrispondenza con il marito (come l’omonimo cugino Z.G., U.M. e U.V., i quali indicavano anche le modalità da adottare per eseguire le estorsioni, raccomandando di dire ai commercianti che "in (OMISSIS) comandava U.M., (OMISSIS)"), tra cui quella di Fe.Se., detto "(OMISSIS)" che lo invitava, dopo aver fatto la raccolta dei soldi, a ricordarsi di lui, lettere che lei stessa aveva provveduto a distruggere per il loro contenuto compromettente, come pure una lista di nominativi di alcuni commercianti con l’indicazione di cifre che gli stessi dovevano pagare tre volte l’anno.

Ancora la C. – hanno sottolineato i giudici del riesame – ha avuto modo di confermare che P., G. e D., persone che lei stessa conosceva, erano amici di vecchia data del marito, di Ca., che spesso aveva visto in casa e che, come le aveva detto il marito, prestavano aiuto nelle attività estorsive che questi aveva intrapreso, recandosi con lui dai commercianti e ricevendo poi dallo Z. una parte del denaro estorto.

Z.G., fratello del collaborante, aveva poi ammesso di aver occultato le armi detenute da G.Z. interrandole nel terreno vicino l’abitazione di quest’ultimo, nel luogo cioè che aveva indicato ai carabinieri e dove erano state in effetti rinvenute, mentre anche i collaboratori D.F. e V. A., appartenenti al gruppo Bidognetti, nel rendere dichiarazioni auto ed eteroindizianti, avevano riferito – hanno ancora evidenziato i giudici della cautela – di essere a conoscenza che, nella zona di (OMISSIS), Z.G. aveva iniziato dall’estate del (OMISSIS) a riscuotere tangenti, come il D. aveva appreso dal cognato Ba.Mi. il quale gli aveva detto, nel corso di un colloquio in carcere, che aveva problemi con i ragazzi di (OMISSIS) , mentre Verde si era detto a conoscenza che nella zona di (OMISSIS) era stata costituita un’associazione criminale composta da U.M., detto (OMISSIS), dal fratello V., detto culo di papera, e da Fe.Se., detto "(OMISSIS)", da Z.G. e da A.C., tutte persone detenute che però erano riuscite ad operare all’esterno, compiendo attività estorsive grazie alla partecipazione dell’omonimo cugino Zi.Ga., gruppo che aveva iniziato ad operare dopo l’arresto di Se.Gi. e della cui esistenza gli avevano parlato, durante il passeggio, U.M. e V., Z.G. e Ce.Vi., per poi apprendere da D. C.G., sempre durante il passeggio, che i fratelli U. chiedevano le tangenti nella zona di (OMISSIS) aiutati da alcuni ragazzi che operavano per loro conto, ma dei quali ignorava i nomi.

Del tutto legittimamente quindi i giudici del riesame hanno ritenuto la gravità del quadro indiziario a carico del G. in ordine al delitto di partecipazione ad associazione camorristica anzitutto dalle dichiarazioni di Z.G. (classe (OMISSIS)), reputate genuine, non mosse da intenti calunniatori, precise, coerenti e rese allorchè gli inquirenti ignoravano ancora la perpetrazione dei riferiti gravi delitti di evidente connotazione camorristica ed imputabili ad un sodalizio costituito, con ripartizione di compiti e predeterminazione di ripartizione degli utili, per eseguire programmate attività illecite, anche con l’uso di armi, in danno di imprenditori e di titolari di esercizi commerciali, dichiarazioni riscontrate, con carattere individualizzante, da quelle rese da C.A., persona reputata attendibile e credibile e che, oltre a consentire assieme al cognato il ritrovamento delle armi occultate dal marito, ha affermato di aver visionato personalmente la lista delle persone in danno delle quali dovevano essere eseguite le programmate estorsioni, indicando inoltre i nominativi dei soggetti che coadiuvavano il marito in tale illecita attività, tra cui appunto quello di G.C., amico di vecchia data del marito e che lei stessa conosceva personalmente, vedendolo frequentare l’abitazione assieme agli altri due complici, D. e P., anch’essi a lei noti da tempo.

Non può, infine, sostenersi che la gravità indiziaria in ordine al delitto di cui all’art. 416-bis c.p. venga meno, o che addirittura possa la ordinanza impugnata presentare profili di manifesta illogicità e/o contraddittorietà, per l’avvenuto annullamento del provvedimento cautelare con riferimento ai residui capi d’imputazione riguardanti le fattispecie estorsive, tentate o consumate, indicate ai capi 5), 7), 8), 10) e 17), dal momento che l’annullamento è conseguenza esclusiva dei ritenuti mancati adeguati riscontri estrinseci, con riferimento a tali fattispecie delittuose, alle dichiarazioni accusatorie di Z.G., si che, sotto tale profilo, si è reputata da parte dei giudici del riesame non sussistente la gravità indiziaria necessaria per far luogo all’applicazione della misura cautelare, ma il requisito della gravità degli indizi di colpevolezza relativi alla fattispecie associativa non può essere ritenuto insussistente sulla base di una valutazione separata dei vari dati probatori, che invece devono essere coordinati ed apprezzati globalmente secondo la logica comune per assumere – come nella specie – la valenza richiesta dall’art. 273 c.p.p., specialmente in assenza di possibili spiegazioni alternative dei fatti.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. La cancelleria provvederà agli adempimenti di cui all’art. 94-ter disp. att. c.p.p..
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli avvisi di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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