Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 13-04-2011) 05-05-2011, n. 17308

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

1. Con la ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale della Libertà di Roma rigettava l’appello proposto da D.A. avverso l’ordinanza emessa dalla Corte di appello di Roma in data 13 settembre 2010, con cui gli era stata negata la sostituzione della misura cautelare massima con quella degli arresti domiciliari presso una comunità terapeutica; il giudice della libertà ribadiva che il D. non aveva certificato lo stato di tossicodipendente, necessario a sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89 per il mutamento di regime restrittivo; per completezza, inoltre, sottolineava che nel caso dell’appellante, condannato ad anni 8 di reclusione ed Euro 40 mila di multa per la importazione di Kg. 21 di cocaina, sussistevano eccezionali esigenze cautelari, stante che costui, grazie alla posizione lavorativa in ambito aeroportuale, aveva rivestito un ruolo essenziale per la introduzione nel paese dello stupefacente.

2. Ricorre il D. e deduce mancanza e manifesta illogicità della pronunzia, in quanto egli avrebbe attestato il proprio stato di tossicodipendenza mediante la produzione di un elaborato peritale, di valore equivalente alla certificazione richiesta dalla norma;

inoltre, essendo in corso un programma teraupeutico, il Tribunale doveva concedere la misura richiesta, non potendosi ravvisare contrarie eccezionali esigenze per mantenere la custodia in carcere;

contesta ancora che il suo ruolo, nella vicenda, sia stato fondamentale e sottolinea che il coimputato ha già ottenuto una misura gradata. Inoltre sarebbe errata la decisione là dove non ha tenuto conto del lungo periodo di carcerazione subita, valutabile ai fini della attenuazione.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è manifestamente infondato.

2. In primo luogo, pur convenendosi con il ricorrente sul principio, affermato da questa sezione, che in materia di stupefacenti, ai fini della sostituzione della misura custodiale con il programma di recupero, le nozioni di tossicodipendenza e di uso abituale di sostanze stupefacenti devono ritenersi sinonime, deve tuttavia osservarsi che il D.P.R. n. 309 del 1990, art. 89, comma 2, come sostituito dalla L. 21 febbraio 2006, n. 49, art. 4-sexies, comma 1, lett. a), nella sua formulazione letterale precisa che la relativa istanza deve essere corredata, tra l’altro, da certificazione attestante lo stato di tossicodipendenza (o di alcooldipendenza) e la procedura con cui è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche. (Sez. 6, Sentenza n. 16037 del 26/03/2009).

3. Esattamente, dunque, il Tribunale della libertà ha escluso che la sola perizia tricologia potesse attestare l’uso abituale e/o la tossicodipenza, trattandosi all’evidenza non di una certificazione, ma di un accertamento, condotto nell’interesse dell’indagato, da un suo consulente.

4. Del tutto assente in atti, è, poi, il secondo presupposto dell’applicabilità dell’invocato istituto, ossia la esistenza di un valido programma di recupero, sulla cui esistenza e correlativa allegazione il D. non ha dedotto alcunchè. 5. Tali osservazioni hanno natura assorbente del motivo di doglianza relativo alla insussistenza delle esigenze cautelari, che è stato affrontato in maniera generica, senza alcun confronto dialettico con l’iter argomentativo adottato nel provvedimento impugnato.

6. Vale mettere in evidenza che esattamente il giudice distrettuale ha, secondo i principi espressi in tema dalla giurisprudenza di questa Corte, identificato le ragioni per escludere la revoca o la sostituzione della misura nella esposizione al pericolo dell’interesse di tutela della collettività di tale consistenza da non risultare compensabile rispetto al valore sociale rappresentato dal recupero del soggetto tossicodipendente, valutando al riguardo che costui aveva una posizione centrale nella importazione dell’estero di sostanza stupefacente, per il suo ruolo lavorativo.

7. Avverso tale adeguata motivazione, rimessa al potere discrezionale del giudice, il ricorrente, peraltro, introduce censure concernerti il confronto tra le posizioni dei coimputati, che, in quanto di merito, non sono in questa sede consentite.

8. In conseguenza della ritenuta inammissibilità, il ricorrente è da condannare al pagamento delle spese processuali ed alla somma di Euro mille da versare alla cassa delle ammende.

9. A norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter, copia del presente provvedimento va trasmesso al Direttore dell’istituto penitenziario in cui il ricorrente è ristretto.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla somma di Euro mille a favore della cassa delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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