Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 05-05-2011, n. 17367

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza in data 13.3.2009, il Tribunale di Perugia dichiarò D.F. responsabile dei reati di rapina aggravata, minaccia aggravata, sequestro di persona e violenza sessuale, unificati sotto il vincolo della continuazione e – con la recidiva – lo condannò alla pena di anni 12 di reclusione ed Euro 3.000,00 di multa.

L’imputato fu altresì condannato al risarcimento dei danni (da liquidarsi in separato giudizio, con provvisionali) ed alla rifusione delle spese a favore delle parti civili S.A. e Z. D..

Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte d’appello di Perugia, con sentenza in data 8.2.2010, confermò la decisione di primo grado e condannò l’imputato alla rifusione, a favore delle parti civili delle ulteriori spese di giudizio.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato Avv. Franco Libori deducendo.

1. violazione di legge in relazione all’identificazione dell’imputato in udienza come parte dell’esame testimoniale, in cui fu richiamata anche l’individuazione fotografica, anzichè attraverso l’effettuazione di ricognizione;

2. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta attendibilità delle dichiarazioni delle persone offese, in specie con rifermento al riconoscimento fotografico dell’imputato ed alla individuazione in udienza, senza adeguato vaglio critico; le persone offese avevano in un primo momento riconosciuto altro soggetto dopo due o tre giorni dal fatto, mentre il riconoscimento fotografico dell’imputato avvenne dopo oltre due mesi dal fatto;

sarebbe stata trascurata l’influenza dell’attività di polizia giudiziaria sui testimoni; la sentenza impugnata sarebbe in contrasto con le dichiarazioni della S. e con il fatto, riferito nella sentenza stessa che in realtà le persone offese riconobbero l’unico imputato già identificato in fotografia; non sarebbe stata data adeguata risposta alle censure svolte nei motivi di appello;

l’identikit è stato definito inevitabilmente approssimativo è stato sminuito il fatto che le persone offese non avevano parlato del tatuaggio; vi sarebbe contrasto con gli atti processuali laddove si nega che D.M. abbia un tatuaggio sul collo, mentre risulta che ne ha uno sulla spalla che si protrae quasi fino al collo; viene ignorato il mancato riconoscimento da parte delle sorelle C., della B. e del Sa.;

3. violazione di legge in relazione alla inutilizzabilità delle dichiarazioni di Ca.An. nella parte in cui fanno riferimento a dichiarazioni di G.A. (coimputato giudicato separatamente); l’art. 195 cod. proc. pen. dovrebbe trovare applicazione anche per le dichiarazioni extra processuali degli imputati;

4. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’errata valutazione delle censure mosse nei motivi di appello e cioè la mancanza di prove individualizzanti, la inattendibilità delle dichiarazioni della Ca., il fatto che l’autore dei reati non conosceva i luoghi e non era preoccupato di essere riconosciuto considerato elemento non individualizzante, l’uso del nome M. da parte di G. nei confronti dell’altro soggetto;

5. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al delitto di rapina, in relazione all’impossessamento dell’autovettura sull’assunto che l’ingiusto profitto può consistere in qualsiasi utilità anche morale; la proprietaria del mezzo Z. rimase sempre a bordo e le ragazze sono state lasciate in aperta campagna solo al momento finale, sicchè si sarebbe al più in presenza di furto d’uso; l’impossessamento dei telefoni cellulari sarebbe avvenuto per iniziativa esclusiva di G.;

6. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al sequestro di persona in quanto sarebbe stata travisata la valutazione della durata temporale che non sarebbe stata apprezzabilmente maggiore del tempo necessario alla commissione degli altri reati;

7. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla esclusione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità in relazione ai telefoni cellulari e per il limitato tempo di impossessamento dell’autovettura;

8. violazione di legge in relazione alla recidiva di cui all’art. 99 c.p., comma 5 che richiederebbe che sia il reato per cui si procede che quello per il quale era intervenuta precedente condanna rientrino fra quelli di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a); sul punto viene reiterata l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma citata per violazione degli artt. 3 e 27 Cost.;

9. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche ed alla misura della pena, trascurando l’assenza di precedenti specifici per reati contro la persona, mentre quanto a quelli contro il patrimonio vi era solo una risalente nel tempo condanna per ricettazione;

10. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla misura della pena in aumento per continuazione; l’art. 81 comma 4 cod. pen. richiederebbe che la recidiva ai sensi dell’art. 99 c.p., comma 4 e comma 5 sia già stata applicata in precedenti procedimenti; sulla affermata ritenuta congruità si richiamano le doglianze espresse nel 9^ motivo;

11. violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al calcolo dell’aumento di pena per continuazione sulla pena già aumentata per la recidiva anzichè sulla pena base.

Ricorre altresì il difensore dell’imputato Avv. Giacomo Pace deducendo violazione di legge e vizio di motivazione svolgendo censure sostanzialmente già comprese nei motivi dedotti nel ricorso dedotto dall’Avv. Franco Libori (inosservanza delle formalità delle ricognizioni, la testimonianza de relato di Ca.An., errata valutazione dell’accertamento peritale dattiloscopico, ritenuto decisivo e poi non considerato, illogicità nella valutazione delle prove con riferimento a stress e paura).

Nel trattare dei motivi di ricorso si farà riferimento perciò ai più articolati motivi svolti nel ricorso dell’Avv. Libori, intendendosi così esaminate anche le doglianze svolte nel ricorso dell’Avv. Pace, solo dovendosi precisare che appare manifestamente infondata la doglianza relativa alla mancata valutazione dell’esito negativo dell’accertamento dattiloscopico. Infatti altro è che si possa escludere positivamente un fatto, altro è che ne manchi la prova.

Con riferimento ai motivi dedotti dall’Avv. Franco Libori si osserva quanto segue.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, infatti, "l’individuazione di un soggetto – sia personale sia fotografica – è una manifestazione riproduttiva di una percezione visiva e rappresenta, perciò, una specie del più generale concetto di dichiarazione; di modo che la sua forza probatoria non discende dalle modalità formali del riconoscimento, bensi dal valore della dichiarazione confermativa, alla stessa stregua della deposizione testimoniale". (Cass. Sez. 2 sent. 47871 del 28.10.2003 dep. 15.12.2003 rv 227079).

Peraltro il riconoscimento dell’imputato presente, operato in udienza, nel corso della deposizione da parte del testimone, trova il suo paradigma nella prova testimoniale proveniente da un soggetto che, nel corso della testimonianza, abbia accertato direttamente l’identità personale dell’imputato. Esso deve, pertanto, essere tenuto distinto dalla ricognizione personale, disciplinata dall’art. 213, ed è inquadrabile tra le prove non disciplinate dalla legge di cui all’art. 189 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 3642 del 3.12.2004 dep. 2.2.2005 rv 230781).

Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Questa Corte ha chiarito che "non è obbligatoria, a norma dell’art. 195 cod. proc. pen., l’escussione della fonte diretta di conoscenza, ove questa si identifichi nell’imputato nei cui confronti si procede, data la sostanziale differenza esistente tra l’ipotesi in cui il dichiarante si riferisce ad una terza persona informata dei fatti estranea al processo in corso e quella in cui il riferimento sia fatto all’imputato del medesimo processo, già giuridicamente o tisicamente presente in giudizio e in grado di replicare, nonchè in considerazione della possibilità di ampia difesa garantita all’imputato, con la facoltà prevista dall’art. 494 cod. proc. pen.". (Cass. Sez. 1 sent. n. 35422 del 14.7.2003 dep. 11.9.2003 rv 225782).

Ciò non può che valere anche in ipotesi di separazione dei procedimenti ed in ogni caso il giudice di merito è libero di valutare la dichiarazione anche ove la stessa non sia stata confermata dalla fonte originaria.

Il secondo ed il quarto motivo di ricorso svolgono censore di merito e sono manifestamente infondati e generici.

Va premesso che la modifica normativa dell’art. 606 c.p.p., lett. e), di cui alla L. 20 febbraio 2006, n. 46 lascia inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di merito. Il nuovo vizio introdotto è quello che attiene alla motivazione, il cui vizio di mancanza, illogicità o contraddittorietà può ora essere desunto non solo dal testo del provvedimento impugnato, ma anche da altri atti del processo specificamente indicati.

E’ perciò possibile ora valutare il cosiddetto travisamento della prova, che si realizza allorchè si introduce nella motivazione un’informazione rilevante che non esiste nel processo oppure quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronunzia.

Attraverso l’indicazione specifica di atti contenenti la prova travisata od omessa si consente nel giudizio di cassazione di verificare la correttezza della motivazione.

Ciò peraltro vale nell’ipotesi di decisione di appello difforme da quella di primo grado, in quanto nell’ipotesi di doppia pronunzia conforme il limite del devolutum non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice.

Infine il dato probatorio che si assume travisato od omesso deve avere carattere di decisività non essendo possibile da parte della Corte di cassazione una rivalutazione complessiva delle prove che sconfinerebbe nel merito.

Nel caso in esame viene proposta una rilettura degli elementi complessivamente valutati dei giudici di merito, proponendone una interpretazione diversa.

In ordine al preteso travisamento del contenuto di atti i motivi di ricorso sono generici.

Questa Corte ha infatti affermato che, in forza della regola della "autosufficienza" del ricorso, operante anche in sede penale, il ricorrente che intenda dedurre in sede di legittimità il travisamento di una prova testimoniale ha l’onere di suffragare la validità del suo assunto mediante la completa trascrizione dell’integrale contenuto delle dichiarazioni rese dal testimone, non consentendo la citazione di alcuni brani delle medesime l’effettivo apprezzamento del vizio dedotto. (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 37982 del 26.6.2008 dep. 3.10.2008 rv 241023).

Il quinto motivo di ricorso è manifestamente infondato pacifico essendo l’impossessamento con minaccia dell’autovettura ed essendo irrilevante che la Z. fosse a bordo. Quanto alla sottrazione dei cellulari la Corte di merito ha ritenuto versarsi in ipotesi di concorso.

Il sesto motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito. La Corte d’appello ha ritenuto che la privazione della libertà personale avvenne per un tempo apprezzabile oltre alla durata degli altri reati e che riguardò anche la S. che non fu vittima di violenza sessuale.

Il settimo motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito, avendo la Corte d’appello escluso in quanto sicuramente non lievissimo a fronte del valore dei cellulari e dell’autovettura, dovendosi aver riguardo al momento della sottrazione e non all’eventuale successivo contenimento del danno.

L’ottavo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Si ha recidiva reiterata obbligatoria, di cui all’art. 99 c.p.p., comma 5, nel caso in cui il condannato, già recidivo, abbia commesso uno dei delitti di cui all’art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), a nulla rilevando se i precedenti rientrino o meno nell’elenco di cui alla citata disposizione. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 27599 in data 11.6.2009 dep. 6.7.2009 rv 244668).

La questione di legittimità costituzionale è riproposta in modo generico e comunque è già stata ritenuta manifestamente infondata da questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 30630 del 9.4.2008 dep. 22.7.2008 rv 240445), oltre che, implicitamente, dalla Corte costituzionale.

In ogni caso la stessa è irrilevante alla luce della concreta motivazione della Corte territoriale in punto di rilievo dei precedenti penali, di mancata concessione delle attenuanti generiche e di determinazione della misura della pena.

Il nono motivo di ricorso è manifestamente infondato e svolge censure di merito.

Secondo l’orientamento di questa Corte, che il Collegio condivide, "ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato, essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla concessione e delle circostanze ritenute di preponderante rilievo" (Cass. Sez. 1 sent. n. 3772 del 11.01.1994 dep. 31.3.1994 rv 196880).

Il decimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Vero è che questa Corte ha chiarito che l’aumento minimo di un terzo della pena stabilita per il reato più grave, previsto dall’art. 81, c.p., comma 4, si applica solo quando l’imputato sia stato ritenuto recidivo reiterato con una precedente sentenza definitiva, e non anche quando egli sia ritenuto recidivo reiterato in rapporto agli stessi reati uniti dal vincolo della continuazione, del cui trattamento sanzionatorio si discute. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 31735 in data 1.7.2010 dep. 12.8.2010 rv 248095; Conf. Cass. Sez. 1 Sentenza n. 17928 del 22.4.2010 dep. 11.5.2010 rv 247048).

Tuttavia, nel caso in esame, la Corte territoriale ha ritenuto comunque congrui gli aumenti di pena alla luce dei precedenti penali richiamati e la determinazione in concreto della pena costituisce il risultato di una valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti dalla legge, sicchè l’obbligo della motivazione da parte del giudice dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art 133 cod. pen. ed anche quelli specificamente segnalati con i motivi d’appello. (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del 20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766;

n. 117242).

L’undicesimo motivo di ricorso è manifestamente infondato.

Non esiste incompatibilità fra gli istituti della recidiva e della continuazione, sicchè, sussistendone le condizioni, vanno applicati entrambi, praticando sul reato base, se del caso, l’aumento di pena per la recidiva e, quindi, quello per la continuazione. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 14937 del 13.3.2008 dep. 9.4.2008 rv 240144; Sez. U, Sentenza n. 9148 del 17.4.1996 dep. 17.10.1996 rv 205543).

I ricorsi devono pertanto essere dichiarati inammissibili.

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibili i ricorsi, l’imputato che li ha proposti deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.

Alla dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi consegue altresì la condanna del ricorrente alla rifusione a favore della parte civile delle spese per questo grado di giudizio liquidate in Euro 2.000,00 (essendo liquidabili nel giudizio di cassazione solo gli onorari), oltre rimborso forfettario delle spese, I.V.A. e C.P.A..
P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende. Condanna altresì il ricorrente alla rifusione, a favore della parte civile S.A., delle spese per questo grado di giudizio liquidate in Euro 2.000,00, oltre rimborso forfettario delle spese, I.V.A. e C.P.A. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 6 aprile 2011.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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