Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/
Svolgimento del processo – Motivi della decisione
Con sentenza 1.7.09 il Tribunale di Lamezia Terme condannava C. L. alla pena di anni 4 di reclusione ed Euro 600,00 di multa, con la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per anni 3, per concorso in tentata estorsione (cd. "cavallo di ritorno") con l’aggravante delle più persone riunite.
Con sentenza 12.5.10 la Corte d’Appello di Catanzaro riduceva ad anni 2 di reclusione ed Euro 300,00 di multa la pena a carico dell’imputato, revocava l’interdizione temporanea dai pubblici uffici e confermava nel resto.
Tramite il proprio difensore il C. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l’annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a) nullità della sentenza per violazione degli artt. 453 e 454 c.p.p. perchè erroneamente per l’imputato era stato disposto il giudizio immediato nonostante che fosse ancora pendente il ricorso per cassazione contro la decisione del Tribunale del riesame in materia cautelare;
b) violazione degli artt. 216, 213 e 214 c.p.p. nella parte in cui l’impugnata sentenza aveva fondato la conferma del giudizio di penale responsabilità sul riconoscimento vocale del C. operato dalle forze dell’ordine che avevano proceduto all’ascolto delle conversazioni telefoniche intercettate: da un lato non poteva parlarsi, contrariamente a quanto si leggeva nella gravata pronuncia, di riconoscimento effettuato grazie alla consuetudine instauratasi nel corso del tempo da parte di chi procedeva all’ascolto dato lo scarso lasso temporale interessato (tre mesi), dall’altro il riconoscimento vocale doveva avvenire nelle forme di cui alle disposizioni degli artt. 213 e 214 c.p.p. cui rinviava l’art. 216 c.p.p.;
c) contraddittorietà ed illogicità manifeste dell’impugnata sentenza laddove aveva motivato in netto contrasto rispetto a quanto risultante dalla trascrizione delle conversazioni intercettate, essendo stato tratto il coinvolgimento nella vicenda del C. dal riferimento, da lui fatto nel corso di una conversazione telefonica con l’ A. (coautore del furto dell’auto) ad "un operaio di (OMISSIS)", mentre la parola "(OMISSIS)" (quartiere di (OMISSIS)) – in realtà – non compariva nel testo trascritto, risultandovi solo le prime due lettere, a loro volta compatibili con quelle iniziali di numerosi altri toponimi dei dintorni;
d) erronea applicazione dell’aggravante delle più persone riunite immotivatamente ravvisata e mancanza di motivazione in ordine alla condotta estorsi va addebitata al ricorrente, atteso che dalle conversazioni telefoniche intercettate non risultava che egli avesse minacciato o altrimenti coartato la volontà della persona offesa ( Co.Gi.).
Con successiva memoria la difesa del ricorrente insisteva, sviluppandone ulteriormente le argomentazioni, nelle censure di vizio di motivazione in ordine al riconoscimento vocale (a riguardo lamentava che sul punto la deposizione del teste m.llo P. era non lineare e in contrasto con altre risultanze) e al ritenuto delitto di tentata estorsione nonostante la mancanza di prova delle minacce.
1 – Il motivo che precede sub a) è infondato.
Sulla possibilità di chiedere il giudizio immediato nei confronti di imputato in stato di custodia cautelare dopo la decisione del Tribunale del riesame e prima della sua definitività (in quanto oggetto di ricorso per cassazione) si registrano due contrastanti precedenti nella giurisprudenza di questa S.C.: propende per la soluzione negativa Cass. Sez. 3 n. 14341 dell’11.3.10, dep. 15.4.10, mentre è di contrario avviso Cass. Sez. 1 n. 42305 dell’11.11.10, dep. 30.11.10.
Ritiene il Collegio di condividere quest’ultimo orientamento, che presenta più solide ragioni di ordine letterale.
Infatti l’art. 453 c.p.p., comma 1 ter – inserito dal D.L. 23 maggio 2008, n. 92, art. 2, comma 1, lett. g) convertito, con modificazioni, in L. 24 luglio 2008, n. 125 – prevede che la richiesta di giudizio immediato ai sensi del precedente comma 1 bis debba formularsi ""dopo la definizione del procedimento di cui all’art. 309 c.p.p. ovvero dopo il decorso dei termini per la proposizione della richiesta di riesame".
Dunque, nel testo normativo si parla di mera definizione del procedimento di riesame – tanto che si richiama l’art. 309 c.p.p. (concernente, appunto, la richiesta di riesame) e non l’art. 311 stesso codice (relativo al ricorso per cassazione contro la decisione del Tribunale del riesame) – anzichè di definitività del suo provvedimento conclusivo. In alternativa, la norma si riferisce espressamente al decorso dei termini sempre per la richiesta di riesame e non di quelli inerenti a qualsivoglia ulteriore impugnazione.
Ne discende che il legislatore ha inteso limitare la necessità della dilazione in discorso al solo esaurimento dei gravame di merito, il che è coerente con la dichiarata esigenza di accelerare i procedimenti con imputati detenuti, finalità frustrata se il ricorso al rito immediato di cui all’art. 453 c.p.p., comma 1 bis fosse subordinato all’imponderabile durata del giudizio di legittimità e delle possibili successive fasi rescissorie.
Il diverso avviso di Cass. Sez. 3 n. 14341 dell’11.3.10, dep. 15.4.10, avrebbe potuto vantare una qualche coerenza sistematica (a dispetto del peso dell’argomento letterale) solo nel vigore dell’art. 405 c.p.p., comma 1 bis (anche se non era questo l’approccio seguito in quella occasione dalla Corte), che vincolava il P.M. a presentare richiesta di archiviazione una volta che la S.C. si fosse pronunciata in ordine all’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai sensi dell’art. 273 c.p.p. (e non ne fossero stati acquisiti, successivamente, di nuovi): in tal caso sarebbe stato ragionevole – se non, addirittura, doveroso – attendere il responso dei giudici di legittimità per verificare la perdurante praticabilità del giudizio immediato (anzi, del giudizio tout court) o, al contrario, l’obbligo di chiedere l’archiviazione della notitia criminis.
Ma, com’è noto, l’art. 405 c.p.p., comma 1 bis è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza 28.1.09 n. 121 della Corte cost., che ha ripristinato la regola per cui il cd. giudicato cautelare riguarda solo il vincolo imposto dal provvedimento nel relativo procedimento incidentale e non produce effetti diversi, esaurendo il proprio ambito con la pronuncia sul vincolo medesimo:
l’unica eccezione a siffatto principio, stabilita – appunto – dall’art. 405 c.p.p., comma 1 bis (inserito dalla L. n. 46 del 2006, art. 3), rovesciava il rapporto fisiologico tra procedimento cautelare e processo, irragionevolmente ledendo il principio di impermeabilità del secondo rispetto agli esiti del primo.
Per converso altra ragione, di tenuta dogmatica, importa il rigetto della doglianza avanzata dal ricorrente.
Invero, comunque si interpreti l’art. 453 c.p.p., cit. comma 1 ter ad ogni modo la pendenza di ricorso per cassazione sul provvedimento de liberiate emesso dal Tribunale de riesame non avrebbe mai potuto paralizzare del tutto l’iniziativa del P.M., che avrebbe sempre potuto optare per il giudizio nelle forme ordinarie.
Il problema, dunque, sarebbe stato semplicemente di scelta del rito.
Ma è ius reception quello per cui un ipotetico errore nella scelta del rito non comporta (nè ha mai comportato) nullità assoluta per violazione delle regole che presiedono all’iniziativa del pubblico ministero nell’esercizio dell’azione penale e ciò sia alla stregua dell’art. 78, comma 1, lett. b), in riferimento all’art. 179 vigente codice, sia ai sensi dell’art. 185 c.p.p., comma 1, n. 1) del 1930. 2 – Anche a censura che precede sub b) va disattesa.
La giurisprudenza di questa S.C. è costante nell’escludere la necessità di perizia fonica quando l’attribuzione delle voci non appaia dubbia secondo una valutazione spettante al giudice del merito, insindacabile in sede di legittimità, senza che sia indispensabile l’adozione delle forme di cui agli artt. 216, 213 e 214 c.p.p..
Nel caso di specie l’attribuzione al C. di una delle voci captate nei colloqui oggetto di intercettazioni telefoniche non è derivato soltanto dal riconoscimento vocale proveniente dagli inquirenti nel corso degli ascolti per la concreta esperienza fattane (per quanto possa ritenersi più o meno prolungato e idoneo a tal fine un ascolto protrattosi per tre mesi, il che è questione di merito), ma anche e soprattutto dall’intestazione al C. di una delle utenze coinvolte e dai suoi rapporti con i concorrenti A. e B. e con il teste Ca..
Le considerazioni circa l’affidabilità della deposizione del teste m.llo P. che si leggono nella memoria depositata dal ricorrente restano sul piano dell’apprezzamento di fatto, estraneo alla presente sede.
3- il motivo che precede sub e) si colloca al di fuori dell’area dell’art. 606 c.p.p., noto essendo nella giurisprudenza di questa S.C. che l’interpretazione delle conversazioni oggetto di intercettazione, anche quando il linguaggio adoperatovi sia criptico o cifrato, resta questione di mero fatto, sottratta al giudizio di legittimità se la valutazione compiuta dai Giudici del merito risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (cfr, ad es., Cass. Sez. 4 n. 17619 dell’8.1.2008, dep. 30,4.2008;
Cass. Sez. 6 n. 15396 dell’11.12.2007, dep. 11.4.2008; Cass. Sez 6 n. 35680 del 10.6.2005, dep. 4.10.2005; Cass. Sez. 4 n. 117 del 28.10.2005, dep. 5.1.2006; Casse. Sez. 5 n. 3643 del 14.7.97, dep. 19.9.2007).
Nel caso in esame il riferimento al quartiere di (OMISSIS), desunto dalle prime due lettere del toponomino ("un operaio di (OMISSIS)"), è – per altro – persino sostanzialmente irrilevante a fronte di ben altre risultanze, essendo stato ricavato il concorso del C. dal coinvolgimento dell’utenza telefonica intestatagli, dal riconoscimento della sua voce in talune conversazioni con l’ A. e il B. in cui ci si riferisce a prezzi, sconti e a un particolare – riscontrato – della vita personale del Co., dalla conoscenza diretta fra il C. e il Ca. (amico e collega di lavoro del Co., intromessosi nella trattativa per il recupero dell’auto), nonchè dalla coincidenza temporale fra l’appuntamento del C. con l’ A. e il B. alle ore 23,00 del (OMISSIS) e l’avvenuta restituzione dell’auto alla persona offesa.
In ordine, poi, alla censura sulla ricostruzione di quanto emergente dalle intercettazioni telefoniche, si tratta di doglianza in punto di fatto (come tale non spendibile ex art. 606 c.p.p. che, al più, avrebbe potuto tradursi nella deduzione di un vizio di travisamento della prova, ad ogni modo inibito nella presente sede per due autonome ragioni: in primo luogo, in ipotesi di doppia pronuncia conforme in punto di penale responsabilità (come nel caso in oggetto) può denunciarsi un travisamento della prova soltanto ove il giudice di appello, al fine di rispondere alle censure contenute nell’atto di impugnazione, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice, ostandovi altrimenti il limite del devoluto, che non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di legittimità (cfr. ad es. Cass. Sez. 2 n. 24667 del 15.6.2007, dep. 21.6.2007; Cass. Sez. 2 n. 5223 del 24.1.2007. dep. 7.2.2007; Cass. Sez. 2 n. 42353 del 12.12.2006, dep. 22.12.2006, e numerose altre); in secondo, nel dedurre un travisamento della prova la parte deve necessariamente trascriverla interamente od allegare in copia il documento in cui essa è consacrata (il che non è avvenuto nel caso di specie), evidenziando l’esatto passaggio in cui si annida il vizio: diversamente, il ricorso non è autosufficiente (cfr., da ultimo, Cass. Sez. F n. 32362 del 19.8.10, dep. 26.8.10).
4- Ancora infondato è il motivo che precede sub d), perchè il contributo causale addebitato a titolo concorsuale al C. è consistito nell’aver svolto un ruolo da intermediario per mettere in contatto gli autori del furto dell’auto ( A. e B.) con il Co., destinatario di una richiesta di denaro per poter avere indietro l’auto sottrattagli.
Per costante insegnamento di questa S.C. (dal quale non si ravvisa motivo di discostarsi) il concorso di persone nel reato non deve necessariamente essere presente fin dal momento della programmazione e preparazione della condotta vietata, poichè l’adesione del correo può intervenire in qualsiasi istante dello svolgimento del comportamento illecito, purchè la partecipazione avvenga ad azione ancora in itinere (cfr., ad es., Cass. Sez. 3 n. 3506 del 5.3.96, dep. 6.4.96, rv. 204868; conf. Cass. rv. 177167; Cass. rv. 176634;
Cass. rv. 161077; Cass. rv. 146430).
Pertanto, la condivisione anche solo di un segmento della linea unitaria della condotta criminosa configura pienamente il concorso allorquando – consentendo il raggiungimento dell’evento mediante una fattiva collaborazione – abbia avuto efficaci, decisiva nella redazione del delitto (cfr., ad es. Cass. Sez. 5 n 8984 del 18.5.2000, dep. 10,8.2000, rv. 217766).
I giudici del merito hanno altresì rispettato il noto insegnamento giurisprudenziale secondo cui chi agisce come intermediario fra gli estorsori e la vittima non risponde di concorso nel reato solo se opera nell’esclusivo interesse della vittima e per motivi di solidari umana, altrimenti contribuendo la sua condona alla pressione morale e alla coazione psicologica nei confronti del soggetto offeso e quindi, conferendo un proprio apporto causativo all’evento (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2 26837 del 19.6.08, dep. 3.7.08, rv. 24070. e numerosi altre precedenti conformi).
Quanto alla dedotta insussistenza dell’aggravante delle più persone riunite si tratta di motivo nuovo non fatto valere in appello, in quanto all’ormai precluso ex art. 606 c.p.p., u.c..
5- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi Consegue, ex art. 616 c.p.p. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Seconda Sezione Penale, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuale.
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