T.A.R. Toscana Firenze Sez. II, Sent., 04-05-2011, n. 770 Giurisdizione del giudice ordinario e del giudice amministrativo

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

nel verbale;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con il ricorso in esame viene impugnato l’atto in epigrafe con cui il Consiglio regionale della Toscana, in forza della legge reg. 2 gennaio 2005, n. 2, ha istituito un elenco regionale delle "discipline del benessere e bionaturali", articolato in due sezioni: una per gli operatori di tali discipline, e l’altra per le scuole destinate a formare i primi ed abilitate al rilascio ai medesimi dell’attestato di qualifica professionale.

La deliberazione avversata si propone, in via preliminare, di definire le discipline in parola provvedendo, tra l’altro ad identificarne alcune: cranio sacrale, naturopatia, riflessologia, shiatsu, yoga, suoni musica e benessere ecc.

Viene precisato, altresì, che tali discipline non si prefiggono la cura di specifiche patologie, e "non sono riconducibili ad attività di cura, riabilitazione fisica e psichica della popolazione erogate dal servizio sanitario, né alle attività connesse a qualunque prescrizione di dieta, né alle attività disciplinate dalla legge regionale 31 maggio 2004, n. 28".

Sulla scorta di tale premessa viene definito "operatore nelle discipline del benessere e bionaturali…"la persona che, in possesso di attestato di qualifica professionale della Regione Toscana, applica una o più discipline del benessere e bionaturali regolamentate dalla Regione Toscana", nel rispetto dei criteri di qualità formativi definiti dalla normativa regionale.

Vi è inoltre stabilito che i corsi di formazione professionale devono avere una durata almeno triennale, per complessive 1200 ore di lezione.

Contro tale atto ricorrono la C.N.A. della Toscana e gli altri consorti in lite, chiedendone l’annullamento, previa sospensione, con vittoria di spese e deducendo i motivi che seguono:

1. Violazione e/o falsa applicazione della l. n. 1/1990 e della l. n. 43/2006. Violazione dei principi fondamentali in materia di attività di estetista e di professioni di interesse sanitario. Violazione del principio di gerarchia delle fonti. Violazione dell’art. 42 dello Statuto della Regione Toscana.

2. Violazione dell’art. 117, 3° comma, della Costituzione. Violazione e/o falsa applicazione del d.lgs. n. 30/2006. Violazione dei principi fondamentali in materia di professioni. Illegittimità costituzionale.

Con ordinanza n. 345 depositata il 6 maggio 2009 veniva respinta la domanda incidentale di sospensione dell’efficacia dell’atto impugnato.

Si è costituita in giudizio la regione Toscana svolgendo difese.

Alla pubblica udienza del 2011 il ricorso è stato trattenuto per la decisione.

Costituendosi in giudizio per opporsi all’accoglimento del gravame l’Amministrazione intimata ha, preliminarmente, eccepito l’inammissibilità del gravame per difetto di legittimazione attiva e per carenza di interesse.

In particolare, quanto al primo profilo, la difesa della Regione assume che, attesa la diversità esistente tra l’attività di estetista e le figure professionali individuate dalla deliberazione impugnata, le associazioni di categoria ricorrenti sarebbero sfornite di una posizione giuridica qualificata a contestare la legittimità di quest’ultima, attesa l’assenza di rappresentatività in relazione alle doglianze prospettate.

La tesi non appare persuasiva.

Si osserva in proposito che l’azione di annullamento, oltre che da alcune associazioni sindacali di categoria, è proposta anche da persone fisiche che, in quanto esercenti l’attività di estetista, reputano che il contenuto delle figure professionali degli esercenti le discipline del benessere e bionaturali si sovrapponga illegittimamente alle mansioni della prima e perciò appaiono, almeno astrattamente, titolari legittimazione a contestare il provvedimento emanato dal Consiglio regionale. Ne segue che, almeno con riferimento alla posizione di questi soggetti, il ricorso non potrebbe essere dichiarato inammissibile.

Va soggiunto, inoltre, che le associazioni ricorrenti si propongono la tutela dell’interesse collettivo identificato con quello di tutti gli appartenenti alla categoria interessata, desumibile dalle finalità statutarie e dall’attività di tutela degli interessi collettivi della categoria stessa, non palesandosi alcun contrasto tra tale posizione e quella dei soggetti rappresentati.

La giurisprudenza, sul tema, è ferma nel ritenere che le associazioni di settore sono legittimate a difendere in sede giurisdizionale gli interessi di categoria dei soggetti di cui hanno la rappresentanza istituzionale o di fatto, quando si tratti della violazione di norme poste a tutela della categoria stessa, oppure si tratti di perseguire comunque dei vantaggi, sia pure di carattere strumentale, giuridicamente riferibili alla sfera della categoria, con l’unico limite derivante dal divieto di occuparsi di questioni concernenti i singoli iscritti ovvero capaci di dividere la categoria in posizione disomogenee (Cons. Stato, sez. V, 23 settembre 2010, n. 7074, id. sez. IV, 27 aprile 2005, n. 1240).

La Regione Toscana eccepisce, ancora, che i ricorrenti, per le stesse ragioni già prospettate, non avrebbero un interesse qualificato ad agire, ma un interesse di mero fatto assimilabile a quello del quivis de populo.

L’assunto merita condivisione.

Come noto, l’interesse al ricorso configura una delle condizioni dell’azione processuale e deve assumere le caratteristiche dell’attualità, concretezza e personalità. Il ricorso deve, quindi, mirare a ritrarre un’utilità concreta, anche solo di carattere morale, che la sentenza favorevole può recare alla situazione giuridica soggettiva di cui si affermi la lesione e deve essere personale dovendo riguardare direttamente il ricorrente.

Inoltre la lesione deve derivare immediatamente dal provvedimento impugnato o, nei giudizi nei quali non vi è impugnativa di atti amministrativi, dal comportamento contestato.

Ulteriore carattere dell’interesse che si intende far valere con il ricorso sta nell’attualità del medesimo. E" necessario, perciò, che la lesione dell’interesse sia già avvenuta, non richieda l’emanazione di provvedimenti successivi o dipenda da avvenimenti futuri ed incerti e, infine, che sussista al momento della decisione.

Ora, nel caso in esame, non pare che tali condizioni siano ravvisabili nell’azione proposta dai ricorrenti.

Si osserva, in primo luogo, che da nessuna delle prescrizioni e delle indicazioni recate dall’atto impugnato è dato evincere alcuna sovrapposizione tra l’attività di estetista e quella delle nuove figure professionali degli esercenti le discipline del benessere e bionaturali delineate dal provvedimento stesso.

L’affermazione secondo cui (pag. 13 dell’atto introduttivo del giudizio) con il provvedimento impugnato si consentirebbe l’esercizio di attività riservate dalla l. n. 1/1990 a coloro che svolgono l’attività di estetista, in assenza dei requisiti professionali imposti a questi ultimi, non pare infatti condivisibile, attesa la diversa finalità esplicitata dalla legge regionale n. 2/2005.

Invero l’art. 1 della l. n. 1/1990 stabilisce che "L’attività di estetista comprende tutte le prestazioni ed i trattamenti eseguiti sulla superficie del corpo umano il cui scopo esclusivo o prevalente sia quello di mantenerlo in perfette condizioni, di migliorarne e proteggerne l’aspetto estetico, modificandolo attraverso l’eliminazione o l’attenuazione degli inestetismi presenti.

Tale attività può essere svolta con l’attuazione di tecniche manuali, con l’utilizzazione degli apparecchi elettromeccanici per uso estetico, di cui all’elenco allegato alla presente legge, e con l’applicazione dei prodotti cosmetici definiti tali dalla legge 11 ottobre 1986, n. 713".

La norma riportata fa propria una nozione molto ampia dell’attività di estetica, riferita alla cura esterna e/o di superficie del corpo umano che può essere svolta anche con apparecchi elettromeccanici, con esclusione delle prestazioni di carattere terapeutico (T.A.R. Abruzzo, Pescara, 7 aprile 2006, n. 227) e consente, secondo l’interpretazione datane in giurisprudenza, anche la vendita di prodotti cosmetici (cfr. T.A.R. Umbria, 21 settembre 2000, n. 746).

Per contro, l’art. 1, comma 1, della l. reg. n. 2/2005, nel definire le discipline del benessere e bionaturali oggetto della legge, fa riferimento alle "le pratiche e le tecniche naturali, energetiche, psicosomatiche, artistiche e culturali esercitate per favorire il raggiungimento, il miglioramento e la conservazione del benessere globale della persona", escludendo finalità di cura o di riabilitazione di specifiche patologie, nonché la riconducibilità o assimilabilità delle stesse alle "attività disciplinate dalla legge regionale 31 maggio 2004, n. 28 (Disciplina delle attività di estetica e di tatuaggio e piercing)".

Neppure, si rileva incidentalmente, può sostenersi che le prestazioni eseguite dalle nuove figure individuate dalla legge regionale che eventualmente siano assimilabili a quelle svolte dagli estetisti siano realizzate da soggetti privi di qualificazione professionale, atteso che la normativa contestata si propone proprio la finalità di sottrarre queste attività all’assenza di regolamentazione che finora le ha caratterizzate, imponendo un percorso di addestramento e di asseverazione che transita attraverso l’obbligo di frequentazione di scuole abilitate, in via esclusiva, al rilascio dell’attestato di qualifica professionale e sottoposte al controllo dei competenti uffici regionali.

Ne discende che i ricorrenti potrebbero essere sfavorevolmente incisi dall’atto avversato solo in via di fatto ovvero attraverso provvedimenti applicativi della disciplina introdotta dalla l. regionale i cui contorni applicativi sono definiti dall’atto che si vorrebbe caducare, ma tale posizione, come si è detto, non è sufficiente ad assicurare ai medesimi la titolarità del diritto di azione nel presente giudizio, quantomeno per l’assenza del requisito dell’attualità del pregiudizio prospettato.

Per le considerazioni che precedono il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile per difetto di interesse.

Le spese di giudizio seguono la soccombenza come da liquidazione fattane in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Toscana (Sezione Seconda) definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, lo dichiara inammissibile.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio che si liquidano forfettariamente in Euro 3.000,00, oltre IVA e CPA.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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