Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 06-04-2011) 05-05-2011, n. 17351

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Il Tribunale di Roma, con sentenza della 10/5/2006, dichiarava S.A. colpevole dei reati di tentato furto con strappo di una borsa portata a tracolla da C.M.E., lesioni personali in danno della stessa e ricettazione di una vettura Daewoo Matiz, provenuto di furto e lo condannava, con la continuazione, alla pena di anni uno, mesi otto di reclusione e Euro 600 di multa.

La Corte di appello di Roma, con sentenza in data 10/7/2009, dichiarava non doversi procedere nei confronti dell’imputato in ordine al reato di lesioni perchè estinto per prescrizione, rideterminando la pena in anni uno, mesi sei di reclusione e Euro 500 di multa.

Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo i seguenti motivi:

a) difetto di motivazione in relazione alla dedotta nullità del decreto di citazione a giudizio per la violazione dell’art. 429 c.p.p., comma 2;

b) difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento della seminfermità mentale;

c) difetto di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche.
Motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato e va dichiarato inammissibile 1) Con riferimento al primo motivo di appello la Corte territoriale ha rilevato la infondatezza della censura relativa alla nullità del decreto di citazione in giudizio per la asserita mutazione del fatto, essendo stato l’imputato rinviato a giudizio per tentata rapina mentre, all’esito dell’udienza preliminare il G.U.P. aveva qualificato la condotta quale tentato furto con strappo. Non comporta violazione del principio di correlazione tra la sentenza e l’accusa contestata ritenere la sussistenza del reato di furto con strappo, invece della più grave ipotesi delittuosa di rapina originariamente contestata, ove il fatto, come è pacifico nella fattispecie, resti lo stesso.

Il fatto non è che il complesso di quegli accadimenti che integrano il reato nella sua giuridica configurazione di elementi costitutivi e circostanziali di cui esso consta e quando si operi soltanto una diversa valutazione di tali elementi il giudice d’appello può procedere ad una diversa definizione giuridica del medesimo fatto, modificando la imputazione in un reato meno grave, quindi a favore della posizione dell’imputato rispetto all’imputazione originaria.

2) In relazione al mancato riconoscimento della seminfermità di mente, esclusa in base alle risultanze della perizia, la Corte territoriale ha rilevato come il vizio parziale di mente risulti accertato dalle perizie del dott. M.R. che tuttavia, si riferiscono a fatti notevolmente successivi (del (OMISSIS)), evidenziando, con motivazione coerente e logica, che la contraddittorietà delle correlazioni tra i due delitti è soltanto apparente, trattandosi di periodi diversi della vita dell’imputato.

Il difensore dell’imputato riconosce trattarsi di fatti diversi anche se retrodata i fatti oggetto della seconda perizia al (OMISSIS), comunque successiva ai fatti in contestazione ((OMISSIS)), senza scalfire, tuttavia, il logico argomentare della Corte territoriale, non sindacabile in sede di legittimità. 3) Inoltre, la Corte territoriale – con motivazione non contraddittoria – ha spiegato perchè il ricorrente non è meritevole delle attenuanti generiche, giustificandone il diniego con la oggettiva gravità del fatto, commesso con violenza nei confronti della vittima che ha riportato 25 giorni di prognosi. Giudizio negativo sulla personalità, che porta la Corte a negare la concessione delle attenuanti generiche e a ritenere congrua la pena inflitta in primo grado. Questa suprema Corte ha, d’altronde, più volte affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 c.p., ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento. (Si veda ad esempio Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691).

Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonchè – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di mille Euro, cosi equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro mille alla Cassa delle ammende.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *