T.A.R. Campania Salerno Sez. II, Sent., 05-05-2011, n. 881 Atti amministrativi notori

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

ato nel verbale;
Svolgimento del processo

Il ricorrente rappresentava d’aver trasferito, sin dal 31.03.2005, la propria residenza presso l’abitazione della zia, D.C.C., assegnataria dell’alloggio I. A. C. P. ubicato in Salerno, alla piazza A. Garibaldi, 2, ed affetta da plurime patologie invalidanti, che le impedivano di muoversi dalla propria casa e per le quali necessitava d’assistenza, che le veniva prestata appunto dal nipote; d’aver quindi presentato, all’atto del decesso della congiunta, avvenuto il 21.12.2007, istanza di subentro nel prefato alloggio, documentando il possesso del requisito della coabitazione biennale, mediante certificazione anagrafica; ma che l’I. A. C. P. gli aveva comunicato l’esito sfavorevole di tale procedimento, avendo accertato, a suo dire, la sussistenza di una condizione ostativa, rappresentata dalla mancanza del requisito di cui all’art. 14, comma 4, della l. r. 18/97, sulla base di accertamenti svolti dalla Polizia Municipale di Salerno; d’aver quindi controdedotto rispetto alle conclusioni dell’Istituto resistente, il quale, dopo avergli trasmesso il rapporto della P. M., sopra citato, alle sue ulteriori contestazioni, dopo circa un anno aveva trasmesso ai VV. UU. le sue osservazioni, invitando detto Ufficio a far pervenire altri elementi di valutazione in merito; tanto premesso, lamentava che – nel silenzio della Polizia Municipale – l’I. A. C. P., con la determinazione dirigenziale impugnata, aveva respinto definitivamente la sua domanda di voltura, affermando la mancanza del requisito, costituito dall’occupazione stabile dell’alloggio, da parte sua; avverso detto provvedimento articolava, pertanto, le seguenti censure:

Violazione e falsa applicazione di legge ( art. 97 Cost.; 2, 3 e ss. l. 241/90; 2, 14 e ss. l. r. Campania n. 18/97); Violazione del giusto procedimento; Eccesso di potere per difetto dei presupposti, carenza d’istruttoria e contraddittorietà: secondo il ricorrente, l’I. A. C. P. avrebbe dovuto dare prevalenza alla certificazione anagrafica, da cui risultava la sua coabitazione con la zia, piuttosto che alle generiche allegazioni della Polizia Municipale; in ogni caso, prima di adottare la definitiva determinazione negativa, l’Istituto avrebbe dovuto attendere l’esito del supplemento d’istruttoria, richiesto proprio al Comando dei VV. UU.

Si costituiva il Comune di Salerno, con memoria in cui sosteneva l’infondatezza del ricorso, in particolare sotto il profilo della non automaticità del subentro del parente dell’assegnatario deceduto nella titolarità dell’alloggio, ove l’ospitalità nell’alloggio medesimo fosse dovuta a ragioni di assistenza.

Con ordinanza, resa all’esito dell’udienza camerale del 16.12.09, la Sezione accoglieva la domanda cautelare.

Seguiva la costituzione in giudizio dell’I. A. C. P., che produceva quindi documenti ed uno scritto difensivo, in cui concludeva per il rigetto del ricorso, perché infondato.

All’udienza pubblica del 10.03.2011 il ricorso era trattenuto in decisione.
Motivi della decisione

Ritiene il Collegio che la "res in iudicium deducta" vada inquadrata, secondo la disciplina di cui agli artt. 2 e 14 della l. r. Campania n. 18/97 ("Nuova disciplina per l’assegnazione degli alloggi di Edilizia residenziale pubblica").

Viene anzitutto in rilievo l’art. 14, comma 1, della citata legge regionale, secondo il quale: "In caso di decesso dell’aspirante assegnatario o dell’assegnatario, subentrano rispettivamente nella domanda o nella assegnazione i componenti il nucleo familiare come definito e secondo l’ordine indicato nell’art. 2 della presente legge".

L’art. 2, comma 3, della stessa legge, prevede poi che: "Per nucleo familiare si intende la famiglia costituita dai coniugi e dai figli legittimi, legittimati, naturali, riconosciuti ed adottivi e dagli affiliati con loro conviventi. Fanno altresì parte del nucleo familiare il convivente more uxorio, gli ascendenti, i discendenti, i collaterali e gli affini fino al terzo grado, purché la stabile convivenza con il concorrente duri da almeno due anni prima della data di pubblicazione del bando di concorso e sia dimostrata nelle forme di legge".

Nella specie, la famiglia di D.C.C., assegnataria dell’alloggio di Piazza Anita Garibaldi, 2, deceduta in Salerno in data 21.12.07, al momento del decesso era composta (giusta le risultanze anagrafiche in atti), dalla medesima e dal nipote G.M. (ricorrente).

Quanto al rapporto di parentela, esistente tra G.M. e D.C.C., il primo s’è qualificato, nel corso del procedimento e nel presente giudizio, come "nipote" della "de cuius"; né detta qualità è stata oggetto di contestazione alcuna.

In particolare, secondo la specificazione contenuta in ricorso, la D.C. era "zia" (non ava) del ricorrente: ne deriva che lo stesso ricorrente rientra comunque, a pieno titolo, nel novero dei soggetti che fanno parte, secondo il suddetto art. 2 comma 3 della l. r. 18/97, del nucleo familiare dell’assegnataria dell’alloggio, che comprende per l’appunto, in aggiunta alle altre categorie indicate sopra, anche collaterali ed affini fino al terzo grado.

Orbene, tra zia e nipote (non importa qui stabilire se fossero parenti, o piuttosto affini, in linea collaterale), sussiste, per l’appunto, un rapporto di parentela (od affinità) di terzo grado, secondo il noto brocardo: "Tot sunt gradus, quot personae, dempto stipite".

Sempre secondo le risultanze anagrafiche in atti, G.M. risiedeva, presso il predetto alloggio, sin dal 31.03.2005: vale a dire che, al momento del decesso della D.C., la stabile convivenza con la medesima durava da due anni, otto mesi e venti giorni.

Sono pertanto soddisfatte le condizioni, richieste dalla prefata normativa legislativa di fonte regionale, per il subentro nell’assegnazione dell’alloggio, dopo il decesso del precedente titolare, è cioè: a) la qualità, in capo a G.M., di componente del nucleo familiare della precedente assegnataria; b) la stabile convivenza con l’assegnataria da almeno due anni; c) la dimostrazione, di tale stabile convivenza, "nelle forme di legge" (in particolare, per mezzo di regolari certificazioni anagrafiche, rilasciate dal Comune di Salerno).

Le condizioni predette s’evincono, del resto, anche dalla seguente massima: "Ai sensi dell’art. 14, l. rg. 2 luglio 1997 n. 18, in caso di decesso dell’aspirante assegnatario o dell’assegnatario di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, subentrano rispettivamente nella domanda o nell’assegnazione i componenti il nucleo familiare secondo l’ordine indicato nell’art. 2 della legge. Per nucleo familiare deve intendersi la famiglia costituita dai coniugi e dai figli legittimi, legittimati, naturali, riconosciuti ed adottivi e dagli affiliati con loro conviventi. Fanno altresì parte del nucleo familiare il convivente more uxorio, gli ascendenti, i discendenti, i collaterali e gli affini fino al terzo grado, purché la stabile convivenza con il concorrente duri da almeno due anni prima della data di pubblicazione del bando di concorso e sia dimostrata nelle forme di legge" (T. A. R. Campania Napoli, sez. V, 27 gennaio 2009, n. 427).

Ne deriva che, nella specie, non può trovare applicazione il comma secondo dell’art. 14 della suddetta legge regionale, richiamato, invece, dalle difese delle Amministrazioni resistenti, secondo cui: "È ammessa, previa autorizzazione dell’Ente gestore, l’ospitalità temporanea da terze persone, per un periodo non superiore a due anni e prorogabili solamente per un ulteriore biennio, qualora l’istanza dell’assegnatario scaturisca da obiettive esigenze di assistenza a tempo determinato o da altro giustificato motivo. Tale ospitalità a titolo precario non ingenera alcun diritto al subentro e non comporta alcuna variazione di carattere gestionale".

Si tratta, infatti, all’evidenza, di ipotesi diversa da quella, disciplinata dal primo comma dello stesso art. 14.

Quest’ultima disposizione di legge prevede il caso del subentro del componente del nucleo familiare (rispettivamente, nella domanda o nell’assegnazione dell’alloggio), laddove il capoverso dell’art. 14 cit. riguarda l’ipotesi dell’assistenza prestata, all’assegnatario dell’alloggio, da "terze persone", estranee – pertanto – al nucleo familiare dello stesso.

Ma non è questa la situazione che ricorre nella specie, posto che G.M. rientrava a pieno titolo, giusta quanto osservato in precedenza, nella famiglia della zia, cui per di più prestava assistenza, a cagione della patologie dalle quali la stessa era affetta: si tratta, tuttavia, di una circostanza irrilevante, al fine di stabilire se lo stesso avesse o meno diritto a subentrare, nella titolarità dell’alloggio, alla sua congiunta, non essendo affatto richiesta, dagli artt. 14, comma 1, e 2, comma 3, l. 18/97, per i familiari del "de cuius", la dimostrazione di tale ulteriore requisito.

Ciò posto in linea generale, occorre tuttavia affrontare lo snodo centrale della presente controversia, costituito dalla contestazione, da parte dell’Amministrazione, dell’effettiva residenza del ricorrente, nei due anni antecedenti il decesso della "de cuius", nell’abitazione di piazza Anita Garibaldi, 2, contestazione operata sulla base di accertamenti svolti dalla Polizia Municipale di Salerno, compendiati nei rapporti dell’Ufficio Gestione Problematiche Abitative, istituito presso il Corpo di P. M. di Salerno, del 4.03.2008 e del 22.10.2009.

Solo il primo di tali verbali, tuttavia, è stato tenuto presente dall’I. A. C. P., nel licenziare l’impugnato provvedimento di diniego, laddove l’Istituto, pur avendo richiesto ulteriori accertamenti circa la situazione abitativa del ricorrente, a seguito delle controdeduzioni di quest’ultimo, ha comunque ritenuto di poter prescindere dall’esito degli stessi (rifluiti nel secondo verbale).

Pur essendo stato, infatti, il secondo verbale, redatto in data 22.10.09, e quindi anteriormente alla notifica, al ricorrente, del provvedimento impugnato, pure il suo contenuto non è stato preso in considerazione, dallo I. A. C. P., nell’adottare la censurata determinazione, di non accoglimento dell’istanza di subentro nell’alloggio in oggetto.

Va, quindi, esaminato il primo dei due verbali in argomento.

In esso – a firma delle assistenti di P. M. V.V. e C.R. – si afferma che il ricorrente, "pur risiedendo anagraficamente alla P.zza Anita Garibaldi n. 2, dal 31.03.2005, di fatto, non ha mai occupato l’alloggio in questione, ma ha sempre abitato c/o i genitori alla via Picenza n. 107/F. Tale notizia veniva verificata ed accertata dalle scriventi a seguito di sopralluogo effettuato e notizie assunte all’indirizzo di cui sopra".

La citata relazione proseguiva, dando atto che era stato effettuato un ulteriore sopralluogo, presso l’alloggio di cui sopra, nel corso del quale era stato verificato che erano in corso lavori di manutenzione ordinaria, consistenti nel rifacimento dell’impianto elettrico, da parte di tale Castellano Vincenzo, qualificatosi come amico della famiglia G..

Tale dunque il contenuto del citato verbale.

L’accertamento della mancata residenza del ricorrente nell’appartamento ove lo stesso anagraficamente risiedeva insieme alla zia, in particolare, è dipeso da un solo sopralluogo, effettuato dopo la morte di quest’ultima (è, infatti, riferita, nel citato verbale, la notizia del suo decesso, avvenuto il 21.12.07), nonché da, non meglio precisate, "notizie assunte all’indirizzo di cui sopra".

Dal canto suo, il ricorrente ha allegato, all’atto introduttivo del giudizio, nove dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, rese da altrettante persone, residenti nello stesso stabile o, comunque, nella stessa zona di Salerno (precisamente, sei persone residenti in piazza Anita Garibaldi n. 2, una in piazza Anita Garibaldi n. 1 e due in via Picenza n. 105), nelle quali tutte, concordemente, s’afferma, con varie sfumature, che il ricorrente da diversi anni s’era trasferito presso la zia, sig.ra D.C., affetta da numerose patologie invalidanti, per prestarle assistenza, al posto di un’altra nipote che, prima di lui, svolgeva la stessa attività d’assistenza, in favore della congiunta.

Oltre a tali dichiarazioni sostitutive ve n’è, poi, una decima, resa da Castellano Vincenzo (vale a dire dalla persona trovata, dalla Polizia Municipale, a svolgere lavori di ripristino dell’impianto elettrico dell’abitazione in oggetto), nella quale il suddetto dichiarava di conoscere il ricorrente da diversi anni e che lo stesso, l’anno precedente, gli aveva chiesto di revisionare l’impianto elettrico della sua casa, poiché vi era un corto circuito.

Per completezza, è opportuno riportare anche il contenuto del secondo verbale della Polizia Municipale (pur se di esso, in ogni caso, non s’è tenuto conto, ai fini dell’emanazione del provvedimento impugnato): nello stesso (prodotto in giudizio, dall’I. A. C. P., in data 19.01.2011), a firma delle stesse assistenti di Polizia Municipale che avevano compilato il primo rapporto, si confermava quanto aveva formato oggetto di quest’ultimo e si faceva altresì presente che l’alloggio in questione, dal mese di maggio 2008, era stabilmente occupato, oltre che dal ricorrente, dai genitori e dal fratello del medesimo.

Orbene, a fronteggiarsi rimangono, da un lato, la residenza anagrafica del ricorrente nell’abitazione in oggetto, supportata (oltre che dalla circostanza, documentata in atti, della grave patologia che affliggeva la sua congiunta, con la quale risultava risiedere), dalle dichiarazioni sostitutive di numerose persone, residenti nel medesimo stabile di Piazza Anita Garibaldi n. 2, ovvero nelle immediate vicinanze; e, dall’altro, le generiche allegazioni della Polizia Municipale, che s’è limitata a richiamare "notizie" assunte all’indirizzo di cui sopra, senza tuttavia specificare le fonti di tali notizie (contrastanti, quanto meno, con quanto dichiarato da altre sei persone, tutte residenti nel medesimo stabile).

Quanto al valore probatorio da assegnarsi alle dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà e alle certificazioni anagrafiche, su cui si fonda la pretesa del ricorrente al subentro alla "de cuius", si tenga presente la seguente massima: "Le dichiarazioni sostitutive di atto notorio, in quanto aventi piena attitudine certificativa e probatoria nei confronti della p. a. solo ed esclusivamente fino a prova contraria, possono costituire elementi di prova soltanto quando nulla risulti acquisito alla p. a. stessa. Ma allorquando l’Amministrazione abbia acquisito non solo una generica risultanza contraria, ma una risultanza qualificata, come un certificato storico di residenza, detta risultanza prevale su quelle emergenti da dichiarazioni sostitutive. Ciò in quanto, da un lato, la certificazione ha un’efficacia probatoria superiore alla dichiarazione sostitutiva, dall’altro le risultanze anagrafiche circa il luogo di residenza emergenti da una certificazione hanno sì valore presuntivo, ma possono essere superate soltanto da una prova contraria desumibile da una fonte di convincimento munita di determinati requisiti, relativi alla provenienza e al procedimento di costituzione, che ne garantiscano l’attendibilità, non essendo ovviamente sufficiente una mera contestazione verbale da parte dello stesso interessato ovvero da parte di soggetti a quest’ultimo legati da vincoli di parentela o amicizia" (T. A. R. Lazio Roma, sez. II, 14 maggio 2010, n. 11330).

Orbene, nella specie, le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà prodotte dal ricorrente convergono nella stessa direzione delle certificazioni anagrafiche, dalle quali deriva una presunzione di residenza dello stesso nell’alloggio, assegnato alla D.C.; detti elementi di prova non sono, del resto, efficacemente contrastati dal rapporto di Polizia Municipale, fondato su accertamenti generici (giusta quanto rilevato sopra) e tali pertanto da non poter assumere la fede privilegiata, che le Amministrazioni resistenti intenderebbero conferire al medesimo.

In particolare, il Tribunale ritiene di condividere la massima seguente, che efficacemente scolpisce il valore probatorio di accertamenti, del genere di quelli, sui quali è fondato il provvedimento negativo gravato: "In sede di accertamento della stabile occupazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica alcun valore di fede privilegiata fino a querela di falso può essere attribuito al rapporto informativo della Polizia municipale, atteso che costituiscono atti pubblici, a norma dell’art. 2699 c.c., soltanto gli atti che i pubblici ufficiali formano nell’esercizio di pubbliche funzioni certificative delle quale siano investite per le legge, così che non possono rientrare in questa categoria delle semplice comunicazioni fatte dalla Polizia municipale all’Istituto autonomo per le case popolari in relazione alla posizione abitativa di alcuni cittadini" (Consiglio Stato, sez. IV, 21 maggio 2007, n. 2563).

In parte motiva, la prefata decisione dei Giudici di Palazzo Spada osserva come, in quella fattispecie, ma non diversamente da quanto è accaduto nel caso sottoposto all’esame del Collegio, "la tesi della mancata stabile occupazione dell’alloggio di cui si discute, invero, è rimasta affidata a non meglio precisate "informazioni assunte" e ad "accertamenti espletati" (come si ricava dalla dicitura apposta sul retro della nota prot. 116 del 12 gennaio 1990 del Presidente dell’Istituto Autonomo per le Case Popolari della Provincia di Rieti), senza che delle prime e dei secondi sia stata fornito alcun elemento di prova".

Né, del resto, può essere assegnato il valore di piena prova, circa la mancata residenza di G.M. nell’immobile di cui sopra, al sopralluogo, effettuato dalla Polizia Municipale, evidentemente nel periodo, intercorrente tra il decesso della "de cuius" (21.12.07) e la data del verbale in esame (4.03.08).

Ciò, perché l’assenza del ricorrente – per una volta sola – da tale domicilio, ben poteva dipendere anche da cause, del tutto occasionali (tanto più che era venuta meno la ragione della sua presenza assidua nell’alloggio, rappresentata dall’assistenza alla zia malata).

In definitiva, ritiene il Tribunale che il ricorso sia fondato, non essendo sufficiente, per negare al G. il richiesto subentro, nell’assegnazione dell’alloggio "de quo", alla parente defunta, il mero riferimento al rapporto di Polizia Municipale, il cui contenuto è stato sopra riportato.

Ciò, senza voler considerare la rilevante omissione procedimentale (integrante di per sé un ulteriore ed autonomo profilo di eccesso di potere, per difetto d’istruttoria, inficiante l’atto impugnato), rappresentata dall’avere l’I. A. C. P. definitivamente respinto l’istanza del ricorrente, senza attendere gli ulteriori elementi di giudizio che pure – a fronte delle controdeduzioni del G. – erano stati richiesti, alla Polizia Municipale di Salerno.

All’accoglimento del gravame consegue l’annullamento dell’impugnato diniego.

Quanto alle spese processuali, le stesse vanno poste a carico delle Amministrazioni resistenti, in conformità alla regola della soccombenza, e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania sezione staccata di Salerno (Sezione Seconda)

definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe proposto, l’accoglie e per l’effetto annulla il provvedimento impugnato.

Condanna l’I. A. C. P. della Provincia di Salerno ed il Comune di Salerno alla rifusione, in favore del ricorrente, delle spese, degli onorari e delle competenze, relative al presente giudizio, che liquida complessivamente in Euro 1.500,00 (millecinquecento/00) a carico di ciascuna delle prefate Amministrazioni, e così, complessivamente, in Euro 3.000,00 (tremila/00).

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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