Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 29-03-2011) 05-05-2011, n. 17331

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con sentenza in data 23 settembre 2009, la Corte d’Appello di Napoli, 2A sezione penale, confermava la sentenza del GIP del Tribunale in sede appellata dall’imputato S.M., con la quale questi era stato dichiarato colpevole del delitto di favoreggiamento personale aggravato (artt. 81 cpv. e 378 c.p. e L. n. 203 del 1991, art. 7) per aver aiutato D.G. a sottrarsi all’esecuzione di ordinanza di custodia cautelare in carcere per delitti di associazione camorristica e di omicidio pluriaggravato, in particolare per aver chiesto a R.S. la disponibilità di una masseria dove accompagnava D., al fine di favorire l’associazione camorristica di cui D. era esponente di primo piano.

La Corte territoriale, precisato che l’appello era stato proposto solo per la determinazione della pena e per l’esclusione dell’aggravante di cui alla L. n. 203 del 1991, art. 7, riteneva fondata la prova della finalità di favorire l’associazione camorristica del clan dei casalesi sulla scorta delle dichiarazioni di R.S., avvalorate nella loro attendibilità, dalle stesse ammissioni dell’imputato.

Contro tale decisione ha proposto tempestivo ricorso l’imputato, a mezzo del difensore, che ne ha chiesto l’annullamento per violazione dell’art. 606, lett. b) e c) in relazione all’art. 192 c.p.p. e D.L. n. 152 del 1991, art. 7 per avere la Corte territoriale ritenuto la sussistenza dell’aggravante sulla base di una condotta che non emerge dagli atti processuali, perchè sostenere che la richiesta di dare ospitalità a D. sia stata rivolta a R. con violenza e minaccia significherebbe dare credibilità a R., senza alcuna verifica della stessa. In ogni caso l’aver favorito la latitanza di un personaggio di vertice di un’associazione mafiosa non determina automaticamente la ricorrenza dell’aggravante in esame, dovendosi distinguere l’aiuto prestato alla persona da quello prestato all’associazione. Ma nel caso in esame dagli atti non emergono elementi dai quali poter desumere che l’appellante abbia agevolato in qualche modo il clan.
Motivi della decisione

Il ricorso:

– è infondato per la parte in cui addebita alla sentenza impugnata di avere affermato che l’imputato costrinse R. a dare ospitalità a D., avendo assunto atteggiamento minaccioso, perchè la Corte territoriale ha dato conto della "parziale discordanza circa il tono usato nell’avanzare la richiesta (impositivo, secondo il R., interrogativo secondo il S.)", ma l’ha ritenuta irrilevante, non per effetto di un atto di fede nella credibilità del R. bensì a conclusione di un ragionamento che ha preso le mosse dalle ammissioni dell’imputato sulla consapevolezza della situazione in cui si trovava D. per pervenire al convincimento che la sua diversa ricostruzione era tesa ad allontanare da sè ogni responsabilità;

– è inammissibile per la parte in cui genericamente richiama "gli atti di indagine" per affermare che da essi non risulta che S. abbia agevolato in qualche modo il clan di appartenenza, senza formulare alcuna critica specifica alla motivazione della sentenza impugnata che ha desunto la finalità agevolativa dalla circostanza che questi aveva consentito a D. di rimanere presente sul territorio e quindi di aiutare la consorteria che in tal modo poteva avvalersi della sua capacità organizzativa e di comando;

– è infondato per la parte in cui, proposta come parametro di riferimento la condotta descritta nel capo di imputazione, richiama giurisprudenza di questa Corte secondo la quale "in tema di favoreggiamento personale aggravato dal D.L. 13 maggio 1991, n. 152, art. 7, convertito dalla L. 12 luglio 1991, n. 203 (avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività dell’associazione prevista dallo stesso art.), il fatto di favorire la latitanza di un personaggio di vertice di un’associazione mafiosa non determina, in ragione esclusivamente dell’importanza di questi all’interno dell’associazione e del predominio esercitato dal sodalizio sul territorio, la sussistenza dell’aggravante, dovendosi distinguere l’aiuto prestato alla persona da quello prestato all’associazione e potendosi ravvisare l’aggravante soltanto nel secondo caso, quando cioè si accerti la oggettiva funzionalità della condotta all’agevolazione dell’attività posta in essere dall’organizzazione criminale." (Cass. Sez. 6, 27.10.2005 n. 41261).

Ed invero nel caso in esame la sentenza impugnata ha giustificato il convincimento dell’oggettiva funzionalità della condotta addebitata, attraverso la considerazione che il reperimento di un rifugio sicuro nell’ambito territoriale dominato dal clan rappresentava "un aiuto notevolissimo all’intera consorteria che in tal modo poteva continuare ad avvalersi della sua presenza e della sua capacità organizzativa e di comando". Tale parte della motivazione non è stata oggetto di critica e quindi vale come valido argomento giustificativo della decisione adottata.

In tal senso si è già espressa questa Corte, che "in ordine al reato di favoreggiamento personale aggravato per avere commesso il fatto avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416 bis cod. proc. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività dell’associazione di tipo mafioso, costituisce valido e sufficiente elemento indiziante la posizione di capomafia del favorito operante in un ambito territoriale nel quale la sua notorietà si presume diffusa, considerato che l’aiuto fornito al capo per dirigere da latitante l’associazione concretizza un aiuto all’associazione la cui operatività sarebbe compromessa dal suo arresto, mentre, sotto il profilo soggettivo, non può revocarsi in dubbio l’intenzione del favoreggiatore di favorire anche l’associazione allorchè risulti che abbia prestato consapevolmente aiuto al capomafia" (Cass. Sez. 5, 22.11.2009 n. 42018). Tale principio interpretativo è solo apparentemente in contrasto con quello precedentemente citato (e richiamato anche dal ricorrente), perchè pone in rilievo la circostanza che l’aiuto al latitante sia fornito per consentirgli di continuare a dirigere l’associazione, non soltanto per sottrarlo all’arresto.

Il ricorso deve in conseguenza essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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