Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-03-2011) 05-05-2011, n. 17670 Bancarotta fraudolenta

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 25-1-2010 la Corte d’Appello di Milano confermava quella del Tribunale di Lecco in data 18-12-2008 con la quale E. A. era stato ritenuto responsabile dei reati di bancarotta fraudolenta per distrazione e documentale, quale amministratore unico e poi liquidatore (complessivamente dalla data di costituzione, 24-6- 1991, fino al 10-4-1996) della Val Padana srl, dichiarata fallita il (OMISSIS), e lo condannava alla pena di legge, con la sospensione condizionale.

La prova delle distrazioni (relative a circa 108 milioni di lire di disponibilità di cassa, esistenti al 31-12-1994, e al finanziamento di 62 milioni di lire erogato alla società dal Credito Artigiano spa) era tratta dal mancato reperimento delle relative somme, della cui destinazione l’imputato non aveva fornito indicazioni documentate (in particolare il curatore aveva appreso dell’esistenza del finanziamento solo quando il Credito Artigiano aveva fatto domanda di ammissione al passivo). Inoltre, avendo il teste T., che aveva tenuto la contabilità della fallita, riferito di aver segnalato più volte al prevenuto l’anomalia dell’elevato ammontare della cassa, mentre il curatore fallimentare aveva dichiarato di aver avuto contatti solo con l’imputato, se ne deduceva che non si trattasse di mera "testa di legno". Peraltro, secondo la corte di merito, anche a ritenere che E. fosse stato un mero prestanome, come da lui sostenuto, questo non ne avrebbe escluso la responsabilità, in virtù del costante orientamento giurisprudenziale secondo il quale anche il prestanome risponde per mancato rispetto degli obblighi di vigilanza e controllo, quando sia consapevole che dall’omissione possano scaturire gli eventi tipici del reato, o abbia accettato il rischio che questi si verifichino.

La contabilità, sotto l’apparenza della correttezza formale, era ritenuta inattendibile (mancata registrazione del finanziamento – ottenuto il 4.3.2003-, movimentazione per cassa) e dolosamente preordinata a non rendere possibile la ricostruzione delle vicende societarie.

L’avv. Lucia Antonella Rapane, difensore di E., ha proposto ricorso deducendo sei motivi.

1) Mancanza di motivazione sul punto dei rapporti tra l’imputato ed il padre e sulla sua qualifica di amministratore di diritto, ma non di fatto, nonchè sul punto della sussistenza del dolo, avendo la corte d’appello apoditticamente recepito le motivazioni del tribunale 2) Inosservanza o erronea applicazione della legge penale. L’imputato è stato ritenuto nel contempo prestanome ed amministratore di fatto, mentre è risultato che era un mero prestanome – all’epoca ventenne e in seminario – essendo il reale dominus il padre, punto sul quale la corte territoriale si è limitata al mero richiamo della giurisprudenza, non unanime, di questa corte. Inoltre l’esistenza del dolo non potrebbe essere desunta dalla conoscenza generica dell’andamento dell’azienda, riferita dal teste T., che non equivale a conoscenza dei fatti distrattivi e delle irregolarità della tenuta delle scritture, soprattutto in un caso di rapporto fiduciario tra padre e figlio.

3) Manifesta illogicità della decisione per aver ritenuto contemporaneamente sussistenti due dati in contraddizione e cioè che E. fosse sia prestanome, che amministratore che aveva effettivamente compiuto gli atti tipici della sua carica.

4) Mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della decisione in cui da un’ipotetica condotta omissiva è stata dedotta la responsabilità per una condotta attiva.

5) Contraddittorietà della decisione risultante dal provvedimento impugnato e dall’esame dei testi T. e V.F.. Anche se fosse fondata l’argomentazione di cui sopra, si censura contraddittorietà tra l’informazione riferita in sentenza e le risultanze processuali, avendo la corte territoriale utilizzato, ritenendola decisiva, una prova inesistente (in quanto il teste T. ha invece dichiarato che era il padre del prevenuto a prendere autonomamente le decisioni e che il figlio si trovava in seminario, precisando che le somme di cui è contestata la distrazione erano state utilizzate per pagare lo stipendio ai dipendenti) e omesso la valutazione di una prova esistente e decisiva (il teste V. ha riferito che ad avere in mano la situazione era il padre, il quale intratteneva i rapporti con banche e fornitori).

6) Illogicità della decisione risultante dal provvedimento impugnato, sul punto della bancarotta documentale, avendo la corte, pur facendo richiamo alle motivazioni a sostegno espresse dal tribunale, ritenuto le scritture irregolarmente tenute pur sotto l’apparente correttezza formale, mentre il giudice di primo grado le aveva ritenute regolari fino al 31-12-2004 (rectius 1994) e omesse per il tempo successivo.

MOTIVI DELLA DECISIONE Il ricorso è infondato e va disatteso.

1) La sentenza gravata si sottrae alla censura di cui al primo motivo del ricorso che, dietro l’apparente denuncia di vizio della motivazione, si traduce nella sollecitazione di un riesame del merito, non consentito, attraverso la rinnovata valutazione degli elementi probatori acquisiti.

Infatti "Non è compito del giudice di legittimità compiere una rivalutazione del compendio probatorio, sulla base delle prospettazioni dei ricorrenti, avendo questa Corte chiarito già da tempo che esula dai suoi poteri una "rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali"’ (Sez. Un. n. 41476 del 25/10/2005, Misiano;

Sez. Un. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, rv. 207944; Sez. Un. n. 930 del 29.1.1996, Clarke, rv. 203428).

La corte territoriale, a sostegno della conclusione dell’esercizio anche in fatto delle funzioni di amministratore da parte dell’imputato e del dolo della bancarotta fraudolenta, ha evidenziato, facendo richiamo alla motivazione del tribunale – il che è consentito, essendo la motivazione della decisione frutto dell’integrazione degli argomenti risultanti dalle sentenze di primo e di secondo grado -, la sua conoscenza dell’eccessivo ed ingiustificato, quindi anomalo, ammontare della cassa (la cui entità sproporzionata alle dimensioni della società, è usualmente significativa, in assenza di contrarie dimostrazioni, di operazioni illecite), più volte segnalatogli dal teste T. che per un certo periodo fu incaricato della tenuta della contabilità sociale.

In punto di dolo, ha poi condivisibilmente argomentato come, anche a ritenere E. – che, è il caso di dirlo, all’epoca del fallimento non aveva venti anni, ma quasi quarant’anni (essendo nato il (OMISSIS)), e non vi è prova che soggiornasse in seminario – mero amministratore formale, egli sarebbe venuto meno ai doveri di vigilanza e controllo imposti a chi accetta di ricoprire la carica, nella generica consapevolezza – ancorata alle segnalazioni, di cui sopra, sull’anomalo andamento della cassa – di possibili condotte illecite da parte del padre, e accettazione del relativo rischio (in conformità all’orientamento di questa corte espresso, tra le altre dalla sentenza n. 38712/2008:

In tema di bancarotta fraudolenta, in caso di concorso "ex" art. 40 c.p., comma 2, dell’amministratore di diritto nel reato commesso dall’amministratore di fatto, ad integrare il dolo del primo è sufficiente la generica consapevolezza che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo eventuale).

2) 3) Del tutto erronea è poi la censura, di cui al secondo e terzo motivo, di violazione di legge e vizio di motivazione, basata sull’assunto che la corte di merito avrebbe ritenuto l’imputato ad un tempo amministratore effettivo e prestanome. Infatti la lettura della sentenza evidenzia come l’attribuzione al ricorrente della qualifica di "testa di legno", sia stata effettuata in linea di mero subordine rispetto alla tesi principale della sua posizione di amministratore sia di diritto che di fatto.

Infondatamente poi il ricorrente, nell’ambito del terzo motivo, si duole dell’affermazione della sussistenza del dolo dedotta dalla generica conoscenza dell’andamento dell’impresa, che non equivale a conoscenza dei fatti distrattivi e della irregolarità della tenuta delle scritture.

Infatti la censura, da un lato non tiene conto che il rilievo della corte attiene al dolo eventuale, sufficiente nell’ipotesi di amministratore prestanome, prospettata in via di subordine, dall’altro non considera che anche il prestanome è destinatario dell’obbligo diretto e personale di controllo, incombente all’amministratore di diritto, di tenere regolarmente e conservare le scritture contabili (Cass. 19049/2010), con conseguente responsabilità per la bancarotta documentale, ex art. 40 c.p., comma 2, anche solo per l’inosservanza di tale obbligo.

4) Nè, contrariamente a quanto sostenuto con il quarto motivo, è qualificabile illogica la motivazione che fa derivare da un comportamento omissivo (inosservanza dei doveri di controllo spettanti all’amministratore di diritto) la responsabilità per i reati in esame, essendo tale argomentare in linea con l’orientamento di questa corte, poco sopra richiamato, quanto alla bancarotta documentale, e con quello della sufficienza del dolo eventuale in ipotesi di bancarotta per distrazione.

5) Il travisamento della prova allegato con il quinto motivo, attraverso il richiamo alle testimonianze T. e V. (ricordate per sintesi o per brevi brani virgolettati, in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso), è poi insussistente, non potendo tali elementi di prova essere interpretati per brani e fuori del contesto in cui sono inseriti, mentre gli aspetti del giudizio che consistono nella valutazione e nell’apprezzamento del significato di essi, i quali attengono interamente al merito, non sono rilevanti nel giudizio di legittimità se non quando risulti viziato il discorso giustificativo sulla loro capacità dimostrativa. Sicchè restano inammissibili le censure che, analogamente a quella in esame, sono nella sostanza rivolte a sollecitare soltanto una rivalutazione del risultato probatorio: nel caso di specie una valutazione circa la sussistenza del dolo, anche eventuale, diversa rispetto a quella, pure assolutamente ragionevole e plausibile, offerta dai giudici di merito.

6) Infondato è, da ultimo, il sesto motivo, non essendo ravvisabile contrasto tra le sentenze di primo e secondo grado in punto di ricostruzione della bancarotta documentale, dal momento che anche il tribunale aveva ritenuto incomplete le scritture contabili anteriormente al 31-12-1994 (erroneamente indicato come 2004), per mancata indicazione del finanziamento del Credito Artigiano spa.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente alle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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