T.A.R. Lombardia Brescia Sez. I, Sent., 05-05-2011, n. 662 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con ricorso notificato il 24.7.2006 e depositato presso la Segreteria della Sezione il 23.8.2006, S.M. e C. F. impugnavano il permesso di costruire in sanatoria n. 24/06 del 30.3.2006. rilasciato dal Comune di Tremosine alla "M.H. S.r.l.", relativamente all’ "ampliamento e ristrutturazione ai piani primo e secondo dell’albergo H.B."

I ricorrenti articolavano le seguenti doglianze:

1) violazione e/o falsa applicazione di legge (Artt. 7 e 8 e segg. L. n. 241/90) per omessa comunicazione di avvio del procedimento;

2) violazione e/o falsa applicazione di legge (Art. 11 D.P.R. n. 380/2001; Art. 35 L.R. n. 12/05) non essendo la M.H. Srl proprietaria esclusiva degli immobili interessati dall’intervento, incidendo le opere anche su bene condominiale – difetto dei presupposti – travisamento dei fatti – difetto di istruttoria;

3) illegittimità della sanatoria per violazione e/o falsa applicazione di legge (Art. 14 delle NTA del PRG di Tremosine) per violazione delle distanze e/o per difetto di consenso;

4) illegittimità del permesso di costruire in sanatoria per violazione dell’art. 14 N.T.A. del P.R.G. sotto altro profilo;

5) illegittimità della sanatoria per vizio di illegittimità derivata dall’illegittimità del provvedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica prot. n. 6989 del 25/10/2005 per difetto dei presupposti – violazione e/o falsa applicazione ed interpretazione di legge (artt. 146, 181 d. leg.vo n. 42/04 – artt. 80 e 83 l.r. n. 12/05) – violazioni procedimentali in assenza del preventivo parere vincolante della Soprintendenzza – Incompetenza del responsabile del servizio

6) illegittimità del permesso di costruire in sanatoria per carenza di autorizzazione preventiva trattandosi di intervento in zona boscata e comunque sottoposta a vincolo idrogeologico – violazione e/o falsa applicazione di legge (artt. 1, 4 e 5 l.r. n. 44/2004 e art. 7 r.d.l. n. 3267/1923);

7) illegittimità del permesso in sanatoria per vizio di illegittimità derivata dall’illegittimità del parere della commissione edilizia integrata e della relazione degli esperti ambientali per motivazione insufficiente e contraddittoria – illogicità e irrazionalità della motivazione e del parere favorevole.

Si costituiva in giudizio la controinteressata M.H. SRL, mentre non si costituiva il Comune di Tremosine.

In data 4.12.2009 l’Avv. Ughetta Bini depositava il certificato di morte di uno dei ricorrenti e precisamente di C. F..

Alla pubblica udienza del 10.2.2010 il ricorso veniva, una prima volta, trattenuto per la decisione.

La Sezione, con ordinanza 10.2.2010 n. 34/2010, dichiarava l’interruzione del giudizio.

S.M. – con atto notificato il 23.2.2010 e depositato in segreteria il 3.3.2010 – provvedeva a riassumere il ricorso, ai sensi di quanto previsto dall’art. 24, secondo comma, della L. 6.12.1971 n. 1034.

Con memoria depositata il 15.10.2010, la controinteressata M.H. Srl analiticamente controdeduceva sia alla rappresentazione in punto di fatto sia alle doglianze articolate dalla ricorrente.

Alla pubblica udienza del 27.10.2010 il ricorso è stato nuovamente trattenuto in decisione.

Con sentenza parziale n. 4375 depositata il 10.11.2010 la Sezione ha dichiarato estinto il ricorso proposto da C. F., ordinando all’Ufficio tecnico comunale di Tremosine di depositare presso la Segreteria della Sezione, nel termine di giorni 60, una relazione di chiarimenti sui fatti di causa e di procedere a depositare nonché (in copia certificata conforme all’originale):

1) gli atti impugnati nel presente giudizio;

2) l’intero fascicolo istruttorio relativo alla pratica di sanatoria in contestazione nel presente giudizio completa delle tavole progettuali presentate dal richiedente (possibilmente a colori);

3) estratto delle NTA del PRG vigente all’epoca dei fatti;

4) ogni ulteriore documento utile alla risoluzione delle questioni sollevate dalle parti;

rinviando per l’ulteriore trattazione alla pubblica udienza del 9.3.2011.

In data 23.12.2010 il Comune di Tremosine ha provveduto ad effettuate, presso la Segreteria della Sezione, della relazione e della documentazione.

In data 26.1.2011 la ricorrente ha depositato documentazione (rubricata da A a P).

In vista della pubblica udienza del 9.3.2011 le parti hanno quindi provveduto al deposito di memorie illustrative e di note di replica.

All’esito della discussione, alla udienza del 9.3.2011, il ricorso è passato in decisione.
Motivi della decisione

Con il ricorso all’esame (originariamente proposto in via collettiva con C. F.) S.M. – premesso di essere proprietaria di appartamento al piano primo di un complesso immobiliare suddiviso in 22 unità immobiliari in Tremosine loc. Voltino, via B., la maggior parte dei quali di proprietà della M.H. S.r.l. – ha impugnato il permesso di costruire in sanatoria n. 24/06 del 30.3.2006, rilasciato dal Comune di Tremosine alla "M.H. S.r.l." in relazione all’ "ampliamento e ristrutturazione ai piani primo e secondo dell’albergo H.B." nonché una serie di atti ad esso connesso.

In particolare, la ricorrente rappresenta i seguenti antefatti:

1) che in data 16.7.98 la M.H. S.r.l. chiedeva al Comune di Tremosine la concessione edilizia, per l’ampliamento dell’edificio, mediante la realizzazione di n. 16 nuove camere distribuite su due livelli e di un ascensore, sicché l’originario edificio di tre piani fuori terra è divenuto cinque piani, e che tale concessione veniva da essa impugnata innanzi a questa Sezione con il ricorso n. 665/99;

2) che nel frattempo il Comune di Tremosine contestava l’abusività di alcune opere (tra le quali quelle relative al vano scala ed al vano ascensore), rigettando la richiesta di sanatoria per la parte eccedente l’altezza di metri 12,50 consentita, provvedimento che la M.H. S.r.l. impugnava con il ricorso n. 904/99 (nel quale S.M. interveniva con controricorso ad opponendum);

3) che, nonostante la pendenza dei detti ricorsi (e principalmente di quello n. 665/99), il Comune di Tremosine, in data 25.5.1999, rilasciava alla M.H. S.r.l. concessione in sanatoria n. 76/98 Bs n. 43/99 registro costruzioni, avverso il quale C. Fauso e S.M. proponevano il ricorso n. 1333/99;

4) che in data 18.2.2004 i legali dei predetti ricorrenti (C. e S.) richiedevano all’Amministrazione Comunale di essere informati, quali comproprietari dell’immobile, "di ogni istanza richiesta di ulteriori concessioni in sanatoria e/o domanda di condono edilizio presentata dalla M.H. S.r.l.", invitando i Responsabili ad "astenersi dal rilasciare provvedimenti concessori in ordine ad istanze predette, in assenza del necessario consenso da parte dei comproprietari" (cfr. il doc.n. 8 della ricorrente);

5) che il 25.1.2005 C. e S. denunciavano alle Autorità competenti, tra cui anche il Sindaco, l’esecuzione da parte della M.H. Srl di opere in difformità da una DIA presentata dalla stessa (cfr. il doc. n. 9);

6) che con nota prot. n. 725/05 dell’1.2.2005 il Responsabile del Servizio Assessore all’Edilizia Privata ed all’Urbanistica del Comune di Tremosine comunicava l’avvio del procedimento ex artt. 7 e 8 L. n. 241/90 per la presentazione di pratiche edilizie da parte della M.H. relative a: a) richiesta di rilascio del permesso di costruire per l’ampliamento e la ristrutturazione dell’albergo "H.B."; b) e c) rilascio della concessione in sanatoria per la chiusura con serramenti vetrati della piscina coperta oltre che per la realizzazione del vano scala e ascensore in difformità dal titolo abilitativo; d) denuncia di inizio attività per la realizzazione delle opere interne preparatorie ai lavori che saranno -eventualmente – assentiti con il permesso di costruire (doc.n. 10);

7) che F. C., con nota dell’11.2.2005, e M. S., con nota 10.2.2005, avvalendosi della facoltà partecipativa rappresentava l’illegittimità di eventuali provvedimenti concessori relativi alle opere progettate (doc. n. 11 e 11bis);

8) che, stante l’inerzia dell’A.C. pur di fronte a quanto segnalato, S. e C. presentavano formale denuncia all’autorità giudiziaria che disponeva il sequestro (doc. n. 12);

9) che con nota prot. 3021/05 dell’11.5.2005 il Responsabile del Servizio Assessore all’Edilizia Privata ed all’Urbanistica del Comune di Tremosine comunicava l’avvio del procedimento relativo a: "a) richiesta di rilascio del permesso di costruire in sanatoria riguardante la realizzazione di opere interne al piano terra dell’H.B.; b) richiesta di rilascio del permesso di costruire in sanatoria riguardante la sostituzione di vetrate esistenti con creazione di parapetto al piano terra dell’H.B. (doc. n. 13), a fronte di tale nota gli odierni ricorrenti presentavano le proprie osservazioni (doc. n. 14);

10) che la nota del Responsabile prot. n. 3021/05 non contiene alcun accenno alla richiesta di sanatoria presentata il 19.4.2005 n. 2460 inerente la costruzione e sopraelevazione del corpo di fabbrica che viene a congiungersi con il condominio B. opera maggiormente lesiva dei diritti dell’odierna ricorrente;

11) che in data 30.3.2006 il Comune di Tremosine ha rilasciato alla M.H. S.r.l. il permesso di costruire in sanatoria n. 24/06 relativo all’ampliamento e ristrutturazione ai piani primo e secondo dell’albergo H.B. in forza del quale – in addossamento al condominio esistente e con eliminazione degli esistenti balconi ed aperture – viene costruito in sopraelevazione un corpo di fabbrica destinato a contenere tanto al I° piano quanto al 2° piano nuove stanze, che unisce il condominio B. ad altro corpo di fabbrica di proprietà esclusiva della M.H. Srl (cfr. tavole progettuali allegate alla richiesta di permesso di costruire, doc. n.15 della ric.);

12) che il rilascio del permesso in sanatoria è stato preceduto dalla certificazione di conformità ambientale a firma del Responsabile del Servizio Assessore all’Edilizia Privata e all’Urbanistica del Comune di Tremosine, del 16/8/05 e dal provvedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 167 e 181 D. Leg.vo n. 42/04 e L.R. n. 12/05 e previo parere favorevole della Commissione edilizia del 31/5/05, che ha fatto propria la relazione degli esperti ambientali;

13) che agli atti della pratica edilizia esiste poi il provvedimento del 19/10/05, con il quale è stata comminata la sanzione pecuniaria per la violazione all’art. 146 D. Leg.vo n. 42/04 nella misura di Euro 14.557,25.

Con sentenza non definitiva n. 4573 depositata il 10.11.2010, la Sezione – dopo aver dichiarato estinto, per mancata riassunzione da parte degli eredi, il ricorso nei confronti dell’altro ricorrente, C. F., deceduto nel corso del giudizio – ha disposto acquisizioni istruttorie a carico dell’intimata Amministrazione comunale (una relazione di chiarimenti sui fatti di causa e copia dell’intero fascicolo istruttorio), riservandosi di valutare in prosieguo la necessità di procedere o meno all’effettuazione di una verificazione tecnica ovvero di una C.T.U.

All’esito delle produzioni documentali effettuate dal Comune e dalla ricorrente, il Collegio ritiene che non sussista la necessità di ulteriori approfondimenti istruttori.

Il ricorso risulta fondato.

Preliminarmente, poiché in diversi punti delle proprie memorie la controinterssata richiama contenuti motivazionali di sentenze penali intervenute sulla questione per cui è intervenuto il titolo in sanatoria qui opposto, occorre ricordare il consolidato insegnamento giurisprudenziale (cfr. da ultimo, Cons. St., Sez. VI, 10 dicembre 2010 n. 8705) in tema di rapporti fra i due giudizi: "ai sensi dell’art. 654 c.p., nel giudizio amministrativo la sentenza penale che ha accertato la sussistenza di fatti materiali ha autorità di cosa giudicata quanto ai fatti accertati solo se l’Amministrazione, in esso intimata, si sia costituita parte civile nel giudizio penale, mentre se non è intervenuta i suoi poteri istituzionali non possono essere incisi da accertamenti o da valutazioni del giudice penale resi in un processo al quale è rimasta estranea (fermo poi restando che comunque l’accertamento compiuto dal giudice penale concerne i meri fatti materiali della vicenda, non l’interpretazione di norme giuridiche extrapenali). In tale ultimo caso, quindi, i poteri dell’autorità amministrativa e del giudice chiamato a conoscere del loro esercizio non sono condizionati dal giudicato penale".

Ciò doverosamente premesso, in punto di fatto, va tratteggiata, alla stregua della documentazione depositata dalle parti in atti e di quella acquisita in seguito ad attività istruttoria disposta dalla Sezione, la situazione dei luoghi.

Il complesso alberghiero denominato "H.B." si articola su tre distinti corpi di fabbrica:

a) un primo corpo, realizzato nel 1968, composto da un ristorante e da n. 23 appartamenti e da n. 8 stanze, il quale incontestatamente (cfr. la memoria del controinteressato depositata il 16.2.2011 pag. 4) si configura come condominio, posto che tre appartamenti sono di proprietà di soggetti terzi rispetto alla M.H., che è proprietaria di tutti gli altri nonché delle stanze e del ristorante (per un’analitica ricostruzione delle vicende proprietarie di tale fabbricato si veda la memoria depositata il 4.2.2011 dalla ricorrente, nonché la documentazione relativa depositata il 26.1.2011);

b) un secondo corpo, costruito nel 1968, è composto di 24 stanze e risulta di proprietà esclusiva della M.H.;

c) un terzo corpo interposto fra i due precedenti, di esclusiva proprietà della M.H., è costituito dalla copertura di una piscina ed è stato realizzato sulla base di una concessione edilizia del 1977.

Le opere di sopraelevazione oggetto del permesso di costruire in sanatoria qui in contestazione sono poste al di sopra di tale terza struttura (di cui alla lett. C) ed in aderenza al corpo di cui alla lett. A.

Ciò premesso può passarsi alla disamina dei profili di censura articolati dalla ricorrente.

Con il primo motivo viene lamentata la violazione degli artt. 7 e 8 della L. n. 241/90, per l’omessa comunicazione, da parte dell’Amministrazione comunale, all’odierna ricorrente dell’avvenuta presentazione della domanda di sanatoria sfociata nell’impugnato permesso di costruire, nonostante che si trattasse di intervento edilizio lesivo dei diritti della ricorrente, quale condomino, cos^ impedendole di partecipare al procedimento.

Secondo le controparti la censura deve essere disattesa, in quanto un indirizzo giurisprudenziale consolidato (cfr. T.A.R. Campania, Sez. VIII, 12 aprile 2010 n. 1918, Cons. St., Sez. VI, 18 aprile 2005 n. 1773; TAR Liguria, Sez. I, 10 luglio 2009 n. 1736) ha chiarito che i vicini controinteressati non sono annoverabili tra i soggetti destinatari della comunicazione di avvio di un procedimento per il rilascio di un titolo edilizio (anche in sanatoria), pur quando si tratti di soggetti che si siano in precedenza oppostisi all’attività edilizia del proprietario confinante, affermandosi che l’ estensione ad essi della predetta comunicazione comporterebbe un aggravio procedimentale in contrasto con i principi di economicità e di efficienza dell’attività amministrativa.

La censura è fondata.

Invero, un caso che presenta numerose analogie con quello all’esame, la Sezione ha recentemente avuto modo di ribadire (cfr. TAR Brescia Sez. 1, 2.11.2010 n. 4524) che un soggetto che ha dimostrato più volte il suo interesse alla vicenda, presentando ricorsi al Tribunale amministrativo, ha diritto di ottenere la comunicazione di avvio del procedimento da parte del Comune, là dove venga presentata domanda di regolarizzazione a posteriori della costruzione realizzata in prossimità del confine di proprietà.

A tale conclusione la Sezione è pervenuta sulla base dell’esegesi letterale dell’art. 7, co. 1, della L. n. 241/90, la quale al secondo periodo specifica che "ove parimenti non sussistano le ragioni di impedimento predette, qualora da un provvedimento possa derivare un pregiudizio a soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, l’amministrazione è tenuta a fornire loro, con le stesse modalità, notizia dell’inizio del procedimento".

L’affermazione di tale principio non è nuova per la Sezione, posto che esso venne o già enunciato anche in passato (cfr. TAR Brescia, 24.12.1996 n. 1408).

Neppure può trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 21 octies L. n. 241/90, invocata dalla difesa del Comune, dato che nel caso non si è in presenza della fattispecie in tale norma descritta ("Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato") poiché- come si verrà a dimostrare in prosieguo – l’Amministrazione, nel rilasciare il permesso in sanatoria, è incorsa in violazione di legge.

Con la seconda censura, la ricorrente contesta la legittimazione della (sola) M.H. a richiedere il titolo edilizio, prospettando la violazione dell’art. 11 del D.P.R. n. 380/2001 e dell’art. 35 della L.R. n. 12/05, i quali prescrivono che il permesso di costruire deve essere richiesto dal proprietario dell’immobile. Secondo la ricorrente l’intervento in sanatoria concerne direttamente l’immobile condominiale in cui essa è comproprietaria, poiché la sopraelevazione, pur avvenendo su area di proprietà esclusiva della M.H. SRL, si addossa ai muri perimetrali condominiali, sicché la domanda di sanatoria avrebbe dovuto essere richiesta non dalla sola M.H. srl ma anche dal Condominio B..

Secondo il Comune e la controinteressata i lavori di sopraelevazione hanno interessato la sola proprietà esclusiva della Montognali Hotels (la piscina coperta), sicché la richiesta di sanatoria è stata presentata da detta società, senza che la circostanza che le opere siano state costruite in aderenza all’ edificio condominiale possa determinare alcun mutamento in ordine all’esclusiva legittimazione della medesima. Al riguardo, viene soggiunto che detta evenienza (la costruzione in aderenza) potrebbe venire in rilievo eventualmente in relazione alla legittimità del provvedimento rilasciato dal Comune, ma non già con riguardo alla legittimazione a domandare il rilascio del permesso di costruire.

Se così effettivamente stessero le cose, si dovrebbe condividere quanto sostenuto dall’Amministrazione e dalla M.H. SRL.

Peraltro, così non è.

Invero, la ricorrente ha posto in luce, in sede di ricorso (cfr. pag. 8/9), che le opere vanno ad interessare parti comuni del complesso condominiale, andando a modificare l’aspetto esteriore della facciata, la quale, in base al regolamento di condominio (di natura contrattuale) costituisce parte comune.

Invero, non è stato contestato dalla controparti che l’atto di compravendita afferma che sono di proprietà condominiale: "l’area sulla quale insorge l’intero edificio, le fondazioni, i muri maestri, i tetti, le ossature in C.A., le facciate, i cornicioni e quanto altro di uso comune".

Osserva il Collegio che dalla disamina delle tavole progettuali allegate alla domanda di rilascio di sanatoria – che sono state acquisite dal Comune di Tremosine a seguito dell’istruttoria disposta con la sentenza non definitiva n. 4573 depositata il 10.11.2010 – è possibile rilevare la veridicità dell’assunto svolto dalla ricorrente. Infatti, nelle tav. D2 e D3 sono rappresentati le preesistenze del primo e del secondo piano, mentre nelle tav. D7 e D8 le opere realizzate rispettivamente al primo e al secondo piano.

Dal confronto fra tali rappresentazioni risulta confermata la demolizione delle esistenti terrazze del corpo di fabbrica condominiale, sia al primo sia al secondo piano, e la realizzazione di opere di chiusura di preesistenti finestre, con l’apertura di nuovi collegamenti fra i due stabili.

In tale contesto va quindi condiviso l’insegnamento del Consiglio di Stato (cfr. Sez. IV 11.4.2007 n. 1654) secondo cui, ove i lavori edilizi interessino anche parti comuni del fabbricato e si tratti di opere non connesse all’uso normale della cosa comune, essi abbisognano del previo assenso dei comproprietarii anche in relazione agli aspetti pubblicistici dell’attività edificatoria, con particolare riguardo alle norme (art. 4 della legge n. 10 del 1977 e art. 11, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2000), che prevedono la verifica dell’esistenza, in capo al richiedente, di titolo un attributivo dello ius aedificandi sull’immobile oggetto di trasformazione edilizia.

In detta decisione, viene infatti rilevato che " il Comune avrebbe dovuto chiedere il consenso di tutti i proprietarii ai fini del rilascio della concessione per la realizzazione delle opere interessanti la cosa comune e la lamentata mancata richiesta configura grave difetto istruttorio e motivazionale, perché, secondo la giurisprudenza di questo Consesso, "non dà conto della effettiva corrispondenza tra la richiesta di concessione e la titolarità del prescritto diritto di godimento…" (così Consiglio di Stato, Sez. V, 21 ottobre 2003, n. 6529, ma cfr. anche Sez. V, 15 marzo 2001, n. 1507 e Sez. V, 20 settembre 2001, n. 4972).

Pertanto, nell’ambito dell’accertamento della legittimazione di colui che richiede la concessione…, l’Amministrazione aveva, nel caso specifico, il potere – dovere di verificare l’esistenza, in capo al richiedente, di un titolo idoneo di godimento dell’intero bene interessato dal progetto e di subordinare il rilascio della concessione al consenso di tutti i proprietarii per la parte di intervento che interessa le parti comuni, avendo questi, nei confronti dell’atto concessorio, non la posizione di terzo, ma quella di contitolare di un diritto, che, per la parte idealmente spettante, non può, invito domino, essere modificata o compressa dall’Amministrazione.

Né può sostenersi che le opere nel caso all’esame progettate sulle parti comuni siano riconducibili a quell’utilizzo della cosa comune ed a quelle modifiche della cosa stessa a detto utilizzo funzionali, che l’art. 1102 del codice civile consente comunque al partecipante alla comunione, sì che il relativo titolo abilitativo edilizio non abbisognerebbe della prestazione di quel consenso, nel caso specifico mancata.

Invero, se tanto può affermarsi in relazione alle opere concernenti la ristrutturazione del tetto comune e la modifica delle aperture (tali modificazioni del bene comune non parendo comportare ostacoli al godimento dello stesso da parte dei compartecipi, né pregiudizii agli immobili di proprietà esclusiva, nella specie comunque non dedotti), lo stesso non può dirsi relativamente al locale tecnico addossato al muro comune, sulla base del rilievo dirimente che l’art. 1102 c.c. consente al condomino l’utilizzazione più intensa della cosa comune al servizio della sua proprietà esclusiva purché ne sia consentito il pari uso agli altri partecipi e non ne sia alterata la destinazione, entrambi invece nel caso di specie pregiudicati dalla imposizione dell’appoggio di una nuova costruzione sul muro in comunione, ai fini della legittimità del cui uso occorre avere riguardo all’uso anche solo potenziale della cosa comune da parte degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 1 gennaio 2006, n. 972), le cui facoltà di paritaria utilizzazione della cosa stessa risultano senz’altro escluse da una attività, quale quella che viene qui in considerazione, di sostanziale attrazione di una parte del bene comune nella sfera di disponibilità esclusiva di un singolo (v., per tutte, Cass., 14 ottobre 1998, n. 10175; da ultimo, Cass. civ., sez. II, 9 marzo 2006, n. 5085), come appunto avviene quando ad una porzione originaria di un muro maestro in comunione si addossi una porzione immobiliare di proprietà individuale: di quello spazio, in tal modo, viene sia alterata la destinazione, sia impedito un paritario uso da parte degli altri condomini, i quali non vi hanno accesso.

Una tale costruzione impedisce così agli altri partecipanti alla comunione di farne uso secondo il loro diritto e costituisce pertanto innovazione vietata dalla legge, anche sotto il profilo pubblicistico dell’attività edificatoria, se non con il consenso negoziale di tutti i partecipanti alla comunione, espresso in forma scritta trattandosi di beni immobili, cosa che, nella specie, è mancata e che non può certo rinvenirsi nella corrispondenza intercorsa tra le parti e versata in atti dall’appellante, la quale non riguarda certo la specifica realizzazione delle opere per cui è causa e non vale comunque a conferire legittimazione soggettiva all’interessato per la richiesta del relativo titolo edilizio".

Il Collegio, infine, deve rilevare che il contenuto della memoria a firma geom.Merigo – al riguardo presentata dalla M.H. al Comune il 19.5.2005 – non solo non risulta rilevante, fondandosi di dati parziali e meramente catastali, in contrasto con i qui prodotti titoli di proprietà, ma avrebbe richiesto all’Amministrazione di effettuare approfondimenti istruttori, attesa la presenza ai propri atti di precedenti atti di opposizione da parte di terzi (fra i quali l’odierna ricorrente) che affermavano l’opposto.

Con il terzo motivo parte ricorrente prospetta la violazione dell’art. 14 delle NTA del PRG, non essendosi applicata la distanza minime di m. 5 fra fabbricati ivi prevista in assenza di accordo di tutti i proprietari, non avendo tenuto conto l’Amministrazione che la M.H. non è proprietaria esclusiva del corpo al quale la sovraelevazione va ad addossarsi.

La censura risulta fondata.

L’art. 14 NTA disciplina le "zone di edilizia alberghiera esistente" (doc. 17 della ricorrente e il doc. e l’all. 13 del deposito istruttorio del Comune, in esito alla sentenza non definitiva n. 4573/10). La disposizione è costituita da una parte generale – contenete la specifica indicazione dei parametri ediliziurbanistici applicabili (attività edificatorie ammesse, destinazione d’uso, densità di fabbricazione territoriale, rapporto di copertura, altezza, distanza dai confini, dalle strade, ecc.) e di una parte finale, nella quale sono descritti cinque distinti ambiti.

Secondo la controinteressata, la norma invocata dalla ricorrente (definita come parte generale dell’art. 14) non può trovare applicazione nella fattispecie, essendo stata prevista per l’H.B. – individuato come DT 12- una specifica normativa, la quale espressamente prevede la possibilità di costruzione in aderenza fra i due corpi esistenti, sicché va esclusa l’applicabilità della disposizione sulle distanze. In ogni caso, la mancata impugnativa di tale specifica prescrizione di piano renderebbe la doglianza inammissibile

Peraltro, tale interpretazione della norma non può affatto essere condivisa.

L’art. 14 NTA costituisce un unicum inscindibile.

La previsione, solo per l’ambito DT 12 – di una specifica disposizione ulteriore "E" consentita la realizzazione di volumetria aggiuntiva per mc. 500,00 da realizzarsi come giunzione dei due corpi esistenti", sta solo a significare una specificazione in tema di volumetria ammessa, senza che da essa possa essere tratta – addirittura per implicito – la possibilità di deroga alla necessità del consenso dei confinanti per la costruzione in aderenza.

Neppure può essere condiviso l’ulteriore argomento spese dalla controinteressata, secondo cui in forza dell’art. 877 del codice civile essa aveva diritto a costruire sul confine in aderenza e anche ad ammettere che fosse necessario il previo consenso del condominio per costruire in aderenza, la conseguenza non potrebbe essere l’illegittimità del provvedimento di sanatoria rilasciato dal Comune, posto che tale circostanza (andando ad incidere sul diritto di proprietà dei ricorrenti) dovrebbe essere fatta valere esclusivamente, in sede civile, innanzi all’AGO.

Al riguardo va invece rilevato che la Sezione con la già richiamata recente sentenza n. n. 4524 del 2.11.2010 ha avuto modo di chiarire che:

a) la tesi che predica l’estraneità dei diritti dei terzi alla norma attributiva di potere comporterebbe, posto che in materia edilizia non esistono provvedimenti discrezionali, l’obbligo per il Comune di rilasciare il titolo pur nella consapevolezza che l’edificazione del manufatto integra un illecito civile (per violazione delle distanze).

b) in un sistema di responsabilità civile che ha ormai riconosciuto la possibilità di convenire in giudizio l’amministrazione finanche per i danni cagionati dall’omessa vigilanza, il comportamento del Comune che ha consapevolmente agevolato la lesione del diritto di proprietà di un terzo autorizzando l’edificazione del manufatto, è suscettibile di essere considerato fonte di danni in quanto concausa dell’illecito civile. Con la conseguenza che il Comune, da un lato sarebbe obbligato dalla norma attributiva del potere al rilascio del titolo, dall’altro rischierebbe di dover rispondere di tale comportamento a titolo di responsabilità civile.

c) la giurisprudenza amministrativa, quando si è trovata di fronte a casi di accertata consapevolezza nell’amministrazione comunale della lesione alle distanze che verrebbe ad essere operata dal titolo edilizio, ha sempre ritenuto che il titolo non dovesse essere rilasciato, sicché deve pervenirsi alla conclusione che la norma attributiva del potere – costituita dal combinato disposto degli artt. 11 e 12 d.p.r. 380/01 e 2043 c.c. – vieta al Comune di rilasciare titoli edilizi che siano lesivi dei diritti dei terzi.

d) dunque se il Comune non è obbligato ogni volta che introita una domanda edilizia a verificare in modo puntuale che esso non leda alcun diritto di proprietà finitime, perché gli artt. 11 e 20 d.p.r. 380/01 obbligano colui che richiede un titolo edilizio ad attestare la sua legittimazione a realizzare il manufatto, tale obbligo sorge nel momento in cui il Comune sappia aliunde che la realizzazione (o la sanatoria postuma) dell’opera lede diritti di terzi, con la conseguenza che esso è tenuto a negare il rilascio del titolo.

Con il quarto motivo, S. deduce violazione dell’art. 14 delle N.T.A. in quanto – se è pur vero che detta norma consente al punto DT 1.2 all’H.B. di edificare volumetria aggiuntiva per mc. 500 da realizzarsi come giunzione dei due corpi esistenti – la norma deve essere intesa come autorizzante la possibilità di aumento della cubatura fino a mc. 500, riferita alla edificazione legittimamente realizzata.

La doglianza va disattesa.

La ricorrente muove dal presupposto che quanto precedentemente edificato dalla M.H. SRL non sarebbe in toto legittimamente assentito, in quanto con i precedenti ricorsi n. 665/99 e n. 1326/99, è stata contestata la legittimità di parte della volumetria realizzata.

Peraltro, i predetti gravami – come evidenziato dalla controinteressata – sono stati definiti con la sentenza n. 1352 del 2006, la quale, pur accogliendoli, ha disatteso le censure relative a tali profili, sicché non sussiste il presupposto dell’abusività da cui la censura prende le mosse.

Con la quinta censura, sotto un primo profilo, si contesta che sia possibile rilasciare l’autorizzazione paesaggistica in sanatoria posto il divieto espresso stabilito dall’art. 146 del D. Leg.vo n. 42/04.

La doglianza non risulta fondata.

Invero all’epoca del rilascio dell’autorizzazione l’evocata disciplina non era (ancora) applicabile, in base a quanto stabilito dall’art. 159 del cit. D. Leg.vo n. 42/04, il quale prevedeva il regime transitorio, nell’ambito del quale non era contenuto il divieto espresso di rilascio di autorizzazione in sanatoria.

Al riguardo si è espresso il Consiglio Stato (Sez. VI, 2 maggio 2007 n. 1917) affermando che "L’art. 159 d.lg. 22 gennaio 2004 n. 42 (nel testo anteriore alla novella operata dal d.lg. 24 marzo 2006 n. 157) posticipava ad un momento successivo alla conclusione della fase transitoria l’applicabilità della nuova, più rigorosa, disciplina, ivi compreso il divieto del rilascio di autorizzazioni paesistiche in sanatoria" (cfr, nello stesso senso, Sez. VI, 21 maggio 2009 n. 3140).

Con un secondo profilo del quinto motivo, si prospetta l’incompetenza del Responsabile del Servizio del Comune di Tremosine ad assumere l’autorizzazione paesaggistica, sostenendo la competenza del Parco Alto Garda Bresciano, ai sensi dell’art. 80, quinto comma, della L.R. n. 12/05.

Parte ricorrente pone in luce che la competenza del Parco sarebbe stata riconosciuta dal responsabile del servizio del Comune di Tremosine nella perizia allegata all’atto in data 16.8.2005 di certificazione di assenza di danno ambientale, là dove si afferma la competenza del Parco Alto Garda Bresciano al riguardo.

Anche tale profilo risulta infondato.

Innanzi tutto va rilevato che nella relazione in data 23.12.2010 del Comune si attesta: "in merito alla procedura per l’ottenimento del provvedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica si precisa che in data 16.08.2005 è stata certificata la conformità ambientale delle opere e inoltrato al richiedente ordine di effettuare il pagamento della sanzione pecuniaria di cui all’art. 83 della L.R: 12/2005…, in data 18.8.2005 con prot. N. 5424 è stata inoltrata alla Comunità montana Parco Alto Garda Bresciano la richiesta di accertamento della compatibilità paesaggistica per l’emissione del provvedimento di competenza. Nel frattempo con deliberazione del Consiglio direttivo n. 136 del 15.9.2005 la Comunità montana Parco Alto Garda Bresciano riconosce ai Comuni la competenza amministrativa in materia di tutela dei beni ambientali (di tipo autorizzativo e sanzionatorio), in ambiti di competenza alla pianificazione comunale, assimilabili agli ambito di potenzialità ecologica previsti dal PTC e considerato che tale intervento ricade in Ambiti a Potenzialità ecologica previsti dal PTC, in data 25.10.2005 al prot. N. 6989 viene emesso provvedimento di accertamento della compatibilità paesaggistica ai sensi degli artt. 167 e 181 del D.Lgs. 42/2004… Detto provvedimento viene trasmesso alla Soprintendenza di Brescia che ne accusa ricevuta in data 27.12.2005, la quale nei successivi 90 giorni non ha trasmesso alcun parere in merito."

Venendo ora ad esaminare la disciplina normativa, il Collegio deve rilevare che l’art. 80 della L.R. n. 12/05 stabilisce, al comma 1, che "le funzioni amministrative per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica e l’irrogazione delle sanzioni di cui agli artt.li 146, 159 e 167 del D. Leg.vo n. 42/2004 sono esercitate dai comuni, ad eccezione di quanto previsto dai commi 2, 3 4 e 5".

Il quinto comma prevede che: "Nei territori compresi all’interno dei perimetri dei parchi regionali, le funzioni autorizzative consultive e sanzionatorie di competenza dei comuni ai sensi dell’art. 1 e 4 sono esercitate dagli enti gestori dei parchi, ad eccezione dei territori assoggettati all’esclusiva disciplina comunale dai piani territoriali di coordinamento dei parchi".

Il provvedimento in data 25 ottobre 2005 di accertamento della compatibilità paesaggistica afferma (pag. 3) che "le opere previste sono conformi ai contenuti di cui al Piano territoriale di coordinamento approvato con DGR 1.8.2003 n. 7/13939".

La ricorrente, nell’originario motivo di ricorso, contesta la competenza del Comune solo sulla base della affermazione di cui alla cit. perizia, ma non svolge argomentazioni circa la non applicabilità nella specie della previsione di cui all’ultima parte del c. 5 dell’art. 80 L.R. n. 12/05.Al riguardo va precisato che debbono restare al di fuori dal motivo da esaminarsi – siccome cristallizzato nel motivo di gravame contenuto nell’atto di ricorso – tutte le ulteriori questioni che sono state sviluppate dalla ricorrente e controdedotte dalla controinteressata in relazione al contenuto della deliberazione del Consiglio direttivo della Comunità montana Parco Alto Garda Bresciano n. 136 del 15.9.2005 (prodotta in giudizio come doc. n. 44 della controinteressata).

Invero, contestazioni al riguardo avrebbero potuto essere svolte dalla ricorrente solamente mediante la proposizione di motivi aggiunti, notificati alle controparti.

In ogni caso, va incidentalmente rilevato che detta delibera conferma, in sostanza, la lettura circa la competenza del Comune, stabilendo – al punto a) "che all’interno degli ambiti a potenzialità ecologica diffusa previsti dal ptc del parco sono assimilabili agli ambiti assoggettati all’esclusiva disciplina comunale, ai soli fini dell’applicazione dell’art. 80, c. 5 l.r. 12/2005, le zone urbanizzate dei prg vigenti, consolidate e di espansione, ad esclusione delle zone agricole e di quelle ad esse assimilate".

Con la sesta doglianza, la ricorrente – sulla premessa che la zona in cui ricade l’intervento è boscata e sottoposta a vincolo idrogeologico – contesta la mancata richiesta delle autorizzazioni di cui agli artt.li 4 ("tutela e trasformazione del bosco") e 5 ("vincolo idrogeologico e trasformazione d’uso del suolo") della L.R. n. 27 del 28/10/2004 e dell’art. 7 R.D.L. n. 3267/1923.

Il Comune e la controinteressata replicano evidenziando che i lavori oggetto di sanatoria hanno interessato esclusivamente il fabbricato e non già il terreno circostante.

La censura non può essere condivisa.

La difesa della ricorrente afferma l’interessamento, mediante sbancamento, della zona montuosa circostante l’edificio alla stregua di una tavola grafica redatta dal CTU incaricato di svolgere una perizia nel corso della precedente vertenza (conclusasi con la sentenza n. 1352 del 2006).

Peraltro, dalla tavole progettuali allegate alla domanda di permesso in sanatoria (acquisite dagli uffici comunali a seguito di istruttoria) emerge che tutti i lavori di cui si chiede la sanatoria hanno interessato, mediante parziali demolizioni e nuove costruzioni in sopraelevazione solo ed esclusivamente il sedime del preesistente edificio, nelle sue articolazioni in corpi distinti di cui si è detto in precedenza).

In tale contesto, non era quindi necessario acquisire le autorizzazioni suddette.

La circostanza che siano eventualmente intervenuti sbancamenti del terreno e il taglio di alberature rileva dunque non già in relazione a provvedimenti amministrativi qui in contestazione, che tali interventi non hanno assentito, bensì configura meri comportamenti materiali, da assoggettare a sanzione, che si pongono al di fuori del perimetro della presente controverisa.

Con la settima censura, si contesta infine il contenuto motivazionale della relazioneparere degli esperti ambientali (cfr. all. 4 dell’istruttoria esperita dal Comune di Tremosine), che è stata fatta propria dalla Commissione edilizia del 31.5.2005 (cfr. all. 3 didell’istruttoria e doc. n. 5 della ricorrente).

La doglianza risulta fondata.

Il suddetto parere risulta così formulato: "Le opere eseguite consistono in particolare nell’avvenuta costruzione di due piani in sopraelevazione dell’edificio alberghiero esistente, a chiusura di uno spazio rimasto libero al primo piano e secondo fra i due corpi di fabbrica già esistenti. La mancata edificazione di tale zona consentiva dalla sottostante strada una visione diversa dell’immobile per la presenza di vegetazione retrostante che costituiva elemento di interruzione della cortina edificata. La costruzione effettuata ha quindi collegato i due prospetti come da rappresentazione riportata sulla tavola grafica D 10, togliendo al complesso edilizio quella sensibilità fornita dalla naturalità della vegetazione presente. Di per sé, comunque, l’intervento così come attuato non viene a pregiudicare in modo rilevante l’ambiente in cui si colloca vista ormai l’edificazione generalizzata e le disponibilità volumetriche di Piano.

Si raccomanda soltanto che le alberature, visibili in fotografia poste lungo la strada in salita, vengano mantenute o comunque sostituite da analoghe della stessa altezza da collocarsi nella sottostante aiuola"

Fermo restando che il giudizio circa la compatibilità paesaggistica pertiene alla discrezionalità tecnica dell’amministrazione, sicché esso risulta sindacabile in sede di legittimità solo per difetto di motivazione, illogicità manifesta ed errore di fatto (cfr. ex multis Cons. St., Sez. VI, 7 ottobre 2008 n. 4823), nel caso all’esame risulta palese la contraddittorietà interna fra le premesse (che evidenziano il notevole mutamento del contesto ambientale per effetto dell’edificazione) e la conclusione (il giudizio positivo circa la mancanza di pregiudizio per l’ambiente).

Dopo aver rilevato che la situazione originaria consentiva di apprezzare dalla sottostante strada pubblica la vegetazione retrostante e che l’ampliamento "toglie al complesso edilizio quella sensibilità fornita dalla naturalità della vegetazione presente", si perviene alla conclusione che l’intervento non viene a pregiudicare in modo rilevante l’ambiente.

La giustificazione a tale assunto è data dai rilievi circa la sussistenza di una edificazione generalizzata e il riconoscimento di disponibilità volumetriche da parte del piano regolatore. Per contro, proprio la edificazione generalizzata costituisce motivo non già per giustificare la compatibilità ambientale ma per salvaguardare preminenti interessi ambientali paesistici, e in particolare quella percezione della vegetazione occlusa da una cortina edilizia continua. Così pure la disponibilità volumetrica di piano regolatore non giustifica ex sè la compatibilità dell’intervento sotto il profilo ambientale che presuppone una valutazione autonoma.

Conclusivamente il ricorso va accolto con annullamento del provvedimento impugnato e degli atti presupposto.

Le spese di giudizio, liquidate dome da dispositivo, vanno poste – alla tregua del principio victusvictori- a carico del Comune e della controinteressata.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia sezione staccata di Brescia (Sezione Prima) definitivamente pronunciando sul ricorso in epigrafe, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato e gli atti presupposti.

Condanna il Comune di Tremosine e la controinteressata M.H. SRL al pagamento, in partie eguali, delle spese di giudizio a favore della ricorrente S.M., che liquida in Euro 5.000 (cinquemila) oltre ad accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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