Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 24-03-2011) 05-05-2011, n. 17667 Dibattimento

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

La CdA di Napoli, con la sentenza di cui in epigrafe, in parziale riforma della pronunzia di primo grado, ha dichiarato NDP per intervenuta prescrizione a carico di C.C., M. A., S.M., con riferimento ai reati dei capi C (erroneamente indicato in motivazione come capo B, atteso che, per altro, con riferimento a tale ultimo reato, gli imputati erano già stati assolti in primo grado) e D; ha confermato nel resto (capo A) la impugnata sentenza, rideterminando la pena e confermando anche le statuizioni civili, con condanna, inoltre, alla refusione delle spese sopportate dalla PC. A carico dei tre predetti sono stati formulati i seguenti capi di imputazione: A) concorso in bancarotta fraudolenta distrattiva ( L. Fall., art. 223, comma 1, art. 216, comma 1) con riferimento al fallimento della srl SOCOMA, dichiarato con sentenza 17.11.1999, C) concorso in incendio doloso aggravato ((OMISSIS)), D) concorso in tentata truffa aggravata in danno della spa ASSICURAZIONI GENERALI (sino al (OMISSIS)). Ricorre per cassazione il difensore e deduce:

1) violazione ed erronea interpretazione degli artt. 491 e 492 c.p.p., atteso che all’udienza 16.1.2003 fu effettuata costituzione delle parti, ma non fu dichiarato aperto il dibattimento. L’apertura fu, per così dire, differita alla successiva udienza e, in tale udienza, la difesa degli imputati si oppose alla costituzione di PC. Non è dunque tardiva la richiesta di esclusione della PC, nonostante quel che hanno sostenuto entrambe le sentenze di merito, perchè essa è comunque intervenuta prima della apertura del dibattimento.

Poichè l’eccezione, viceversa, era tempestiva e fondata, le statuizioni civili dovranno essere annullate.

2) violazione ed erronea interpretazione dell’art. 603 per omessa adozione di prova decisiva, atteso che era stata chiesta parziale rinnovazione della istruzione dibattimentale per assumere perizia, che consentisse di superare la situazione di stallo creatasi per le opposte conclusioni cui erano giunti i CCTT del PM e della PC, da un lato, e degli imputati, dall’altro. Trattatasi di incombete decisivo in quanto avrebbe consentito di superare la oggettiva situazione di incertezza che si era venuta a creare;

3) violazione e falsa interpretazione dell’art. 2639 c.c., atteso che la definizione legale contenuta nel predetto articolo ha recepito i risultati della elaborazione giurisprudenziale. I giudici del merito hanno ritenuto che S. e M. rivestissero il ruolo di amministratori di fatto, ma la giurisprudenza ha chiarito che occorre che la attività gestoria sia apprezzabile per continuità e significatività. La presenza di S. in azienda è spiegabile con il fatto che lo stesso è il figlio della C. e gestore della sas AMP, che aveva sede nei pressi della SOCOMA;

4) illogicità e contraddittorietà della motivazione e travisamento della prova, nonchè violazione e falsa interpretazione della legge sostanziale e processuale. Con particolare riguardo alla imputazione di incendio doloso e tentativo di truffa (con riferimento ai quali i ricorrenti hanno interesse a una pronunzia nel merito, nonostante la intervenuta prescrizione, attesa la presenza di statuizioni civili);

il travisamento della prova consiste nella completa pretermissione delle conclusioni del CT degli imputati, ing. Ma., ascoltato a chiarimenti dal Tribunale delle cui dichiarazioni il ricorrente riporta ampi passi. Con riferimento alla pretesa natura dolosa dell’incendio, il predetto CT ha formulato obiezioni e offerto una diversa spiegazione della dinamica dell’incendio. La CdA si limita a bollare come mere ipotesi quelle del Ma., quasi che ipotesi non fossero anche quelle introdotte dal CT della PC e dal CT del PM. Anche il ricorso al criterio del cui prodest non appare concludente al fine di giungere a una affermazione di responsabilità degli impugnanti, atteso che, secondo la stessa CdA, l’eventuale indennizzo avrebbe consentito di fronteggiare una situazione economica compromessa. Dunque, è la stessa Corte napoletana che afferma che era intenzione dei ricorrenti soddisfare i creditori. La CdA poi trascura il fatto che vi sono versamenti anteriori al momento in cui si determinò la tensione economica. Non si vede dunque come si possa sostenere la sussistenza del dolo di bancarotta. Per altro, i giudici del merito non hanno mai chiarito quale tipo di concorso (morale, materiale) sarebbe addebitabile ai ricorrenti con riferimento all’incendio.

Sempre a proposito dell’incendio, la sentenza tradisce la fedeltà dei dati probatori, atteso che al momento dell’incendio la Srl non era in dissesto. Fu proprio l’incendio, con la conseguente distruzione del capannone, che determinò l’impossibilità di proseguire nella attività; da qui il dissesto.
Motivi della decisione

La prima censura è manifestamente infondata.

L’art. 491 c.p.p. prevede che la questione relativa alla eventuale esclusione della PC va posta subito dopo che sia stato compiuto, per la prima volta, l’accertamento della costituzione delle parti. Lo stesso articolo prevede che detta questione si decisa "immediatamente".

L’art. seguente poi dispone che il dibattimento sia dichiarato aperto una volta "compiute le attività di cui sopra".

L’uso del participio passato non lascia sussistere dubbi circa la consecutio degli adempimenti processuali sopra descritti.

D’altra parte, la giurisprudenza di questa Corte (ASN 199900809 – RV 212916) ha chiarito che le espressioni "subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti" e "sono decise immediatamente di cui all’art. 491 c.p.p. hanno il significato di imporre alle parti processuali interessate di prospettare il rilievo immediato delle questioni al giudice e l’altrettanto immediata decisione delle stesse; vale a dire, nell’istante che segue la verifica della costituzione delle parti. Pertanto, qualora la prima udienza si concluda con l’ordine di prosecuzione ad altra udienza fissa, dopo che la parte sottoposta all’onere di sollevare la questione preliminare dell’ammissibilità della costituzione di PC abbia comunque svolto una qualsiasi attività processuale senza avere sollevato la questione medesima, rimane preclusa alla parte stessa la possibilità di sollevare detta questione oltre il limite temporale segnato dalla conclusione della prima udienza. La seconda censura è infondata.

Dalla lettura della sentenza di primo grado, che, in ragione dell’esito confirmatorio, sul punto, della sentenza di appello, fa "corpo unico" con la stessa, si evince che i giudici del merito hanno ampiamente chiarito per qual motivo essi non hanno inteso condividere, neanche in via ipotetica, le conclusioni cui era giunto il CT della difesa (vedasi infra, a proposito della quarta censura).

Non si era dunque verificata quella situazione di incertezza, determinante la impossibilità di decidere allo stato degli atti, che sola giustifica la rinnovazione della istruttoria in sede di appello (con riferimento alla perizia, vedasi, ad. es., ASN 199904646-RV 213086).

La terza censura è inammissibile, in quanto in parte generica, in parte, articolata in fatto.

L’impugnante evidentemente non tiene conto degli elementi valutati e delle considerazioni svolte dalle sentenze di merito (e in ciò consiste il profilo di genericità); lo stesso poi propone una sua rilettura dei dati fattuali emersi nel giudizio di primo grado, sostenendo che la presenza di S. nei locali della SOCOMA era dovuta semplicemente al fatto che egli era amministratore di altra azienda limitrofa (e in ciò consiste il secondo profilo di inammissibilità). In realtà, i giudici del merito hanno messo in evidenza una serie di elementi dai quali hanno dedotto, certo non illogicamente, che il predetto S. e il M. erano gli amministratori di fatto della società fallita, vale a dire: a) il fatto che i predetti avevano firmato le fatture e dato disposizioni circa le modalità di consegna della merce, b) che il fatto che presso il M. sia stato trovato un timbro della SOCOMA, c) il fatto che essi operavano continuativamente sui c/c bancari della società, d) il fatto che gli stessi risultano aver direttamente trattato con le ditte IMCA, BELINDA E PEPE, cui si erano presentati come gli amministratori della SOCOMA, e) il fatto che gli proprio M. e S. avevano rinegoziato (poco più di un mese prima dell’incendio) con ASSICURAZIONI GENERALI il valore dei beni da assicurare (magazzini e merci). La quarta censura è infondata.

Il giudice di appello (e ancor più il giudice di primo grado) ha chiarito i motivi per i quali si è ritenuto di non condividere le conclusioni cui era giunto il CT degli imputati, vale a dire che l’incendio avesse avuto origine accidentale e fosse da attribuire, in sintesi, a un cattivo funzionamento dell’impianto elettrico.

Invero, è stato posto in evidenza che detto impianto era stato revisionato poco prima dell’incendio, che esso era risultato staccato al momento del sinistro, che era munito di interruttori magnetotermici e di salvavita. Principalmente i giudici del merito, poi, hanno disatteso la ipotesi dell’ing. Ma. (CT degli imputati, appunto), il quale aveva sostenuto fosse ben possibile che le fiamme si fossero propagate attraverso scintille veicolate dal fumo sprigionatosi dalla combustione delle pareti delle celle frigorifere, episodio, che – in tale ricostruzione – avrebbe dovuto rappresentare l’antefatto dell’incendio vero e proprio.

Detta ipotesi è stata motivatamente scartata, in quanto si è considerato il breve intervallo di tempo in cui le fiamme si sono propagate nell’intero capannone. Tale circostanza, anche sulla base delle considerazioni tecniche effettuate dagli altri CC.TT., è stata ritenuta incompatibile con l’accertata dinamica dell’incendio, anche perchè, se esso si fosse sviluppato in tempi lunghi, certamente avrebbe messo in allarme i vigilantes, che presidiavano l’esterno del capannone. Proprio la rapidità della propagazione delle fiamme, d’altra parte, ha convinto i giudici di primo e secondo grado del fatto che sia stato impiegato un "liquido infiammabile acceleratore" e, dunque della natura dolosa dell’incendio.

Al proposito, anche altre circostanze indizianti sono state tenute presenti, vale a dire: a) il fatto che, contrariamente a quanto avveniva abitualmente, quella sera nessuno dormì all’interno del capannone, b) il fatto che l’incendio si verifica a distanza di soli 45 giorni dalla ricordata rinegoziazione dei valori assicurati con le GENERALI, c) il fatto che la SOCOMA – nonostante quel che si sostiene nel ricorso – non versava affatto in buone condizioni economiche, se è vero, come si legge nella sentenza di primo grado, che sin dal 1997, la stessa viveva una situazione di difficoltà, malamente dissimulata dalla non corretta appostazione in bilancio di crediti da considerare inesigibili.

Tutto ciò premesso, non può certo sostenersi che la CdA e – prima ancora – il Tribunale, abbiano immotivatamente affermato la natura dolosa dell’incendio. Che poi il sinistro fosse stato causato per incassare l’indennizzo assicurativo e che quindi esso giovasse agli imputati rappresenta un corollario correttamente evidenziato dalla Corte napoletana.

Invero,il ricorso al criterio del cui prodest, contrariamente a quel che leggesi nel ricorso, è tutt’altro che inconcludente.

Se pur fosse vero che l’agognato indennizzo avrebbe dovuto andare a ripianare i debiti della società (trattasi di una mera affermazione degli imputati, che le sentenze riportano), ciò non toglie che al fallimento furono sottratti beni. Quantomeno le merci fornite alla SOCOMA dalle ditte BELINDA, IMCA e PEPE. Esse certamente non erano presenti tra le cose andate distrutte nell’incendio (cfr. quanto si legge nella sentenza di primo grado area la indistruttibilità delle confezioni contenenti la merce della ditta PEPE, che i titolari non videro tra gli oggetti combusti contenuti nel capannone) e che, anzi, furono rintracciate nei supermercati della zona.

Conclusivamente il ricorso merita rigetto e ciascuno dei ricorrenti va condannato alle spese del grado.

Gli stessi vanno anche condannati al pagamento delle spese sostenute dalla PC nel presente grado d giudizio, spese che si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese del procedimento; condanna altresì i ricorrenti al ristoro delle spese sostenute dalla parte civile in questo grado di giudizio, spese che si liquidano in complessivi Euro milleottocento (1.800), oltre accessori, come per legge.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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