Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-03-2011) 05-05-2011, n. 17489 Detenzione, spaccio, cessione, acquisto

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Dott. D’Ambrosio Vito, che chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con l’ordinanza resa in data 13.02.2009 la Corte d’Appello di Venezia ha rigettato la richiesta, presentata da O.F., di riparazione per ingiusta detenzione, in riferimento al procedimento penale che lo aveva visto imputato dal reato di concorso in spaccio di stupefacenti, dal quale era stato assolto, con sentenza della stessa Corte d’Appello in data 20.12.2007, definitiva.

Rifacendosi alle risultanze istruttorie esaminate nella sentenza assolutoria, la Corte di Appello ha evidenziato che l’applicazione della misura cautelare restrittiva era stata disposta, tra l’altro, sulla base di elementi probatori emersi nella fase delle indagini e rimasti provati con certezza. In particolare si rileva che la sentenza pone in evidenza le significative ambiguità e la natura sospetta dei comportamenti dell’ O. che si accompagnava con il B.F., trovato in possesso di una significativa quantità di droga, seguendo costui con movimenti altamente sospetti ed inusuali (l’ O. fu visto dagli agenti di p.g. nel corso di un’operazione antidroga, dapprima cercare di sfuggire al loro controllo, poi far salire sulla sua autovettura il cittadino albanese e, quindi, allontanarsi insieme allo stesso), e tanto più dopo una complessa fase di incontri e di allontanamenti, salendo a bordo dell’auto su cui il B. aveva occultato la stupefacente. Inoltre lo stesso O. ne deteneva una piccola quantità.

Con il proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del difensore, l’istante denuncia vizi di motivazione dell’atto, consistenti in una errata valutazione della condotta del ricorrente, apoditticamente ritenuta integrare l’ipotesi di colpa grave, gravità sulla quale manca una convincente ed analitica motivazione, che possa superare la valutazione della sentenza di assoluzione, per la quale gli indicati elementi sono stati ritenuti inconsistenti o insufficienti per una affermazione di penale responsabilità. Pertanto si sostiene che i comportamenti dell’ O., come evidenziati nell’impugnata ordinanza, non hanno avuto alcuna rilevanza per l’emissione del provvedimento restrittivo e non possono perciò avere integrato la causa ostativa posta a base della decisione di rigetto dell’istanza.

Con il parere scritto il P.G., nella persona del Dott. Vito D’Ambrosio, nel chiedere di dichiarare inammissibile il ricorso ha evidenziato che l’impugnata ordinanza appare adeguatamente motivata in quanto in essa vengono specificati, con riferimento al caso concreto, i comportamenti del ricorrente caratterizzati da spiccata leggerezza o macroscopica trascuratezza o evidente imprudenza. Il provvedimento, dunque, era stato emesso in un quadro gravemente indiziario cui aveva dato luogo anche il ricorrente con un comportamento gravemente colposo che aveva reso credibili le accuse mosse nei suoi confronti.

Il ricorso è inammissibile essendo i relativi motivi manifestamente infondati. Alcuna argomentazione contraria è stata apportata ai rilievi della Corte d’Appello, come indicati nella parte narrativa e riportati dallo stesso ricorrente, ci si limita ad evidenziare una errata valutazione delle condotte addebitate all’istante.

Appare conferente il richiamo alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui (cfr. fra tutte Cass. Pen., 4 sez., n. 2830, del 12.5.2000) "il sindacato del Giudice di legittimità sull’ordinanza che definisce il procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione è limitato alla correttezza del procedimento logico giuridico con cui il giudice è pervenuto ad accertare o negare il presupposti per l’ottenimento del beneficio indicato. Resta invece nelle esclusive attribuzioni del giudice di merito la valutazione sull’esistenza e la gravità della colpa o sull’esistenza del dolo restando al giudice di legittimità soltanto il compito di verificare la correttezza logica del ragionamento" Per il caso che ci occupa, l’iter argomentativo, sia pure sintetico, seguito dalla Corte d’Appello, resiste alle censure di cui al ricorso, in quanto gli elementi probatori già sussistenti nella fase delle indagini che, se da un lato non sono stati ritenuti, successivamente all’esito del giudizio di appello, sufficienti per un’affermazione di responsabilità penale dell’ O. in ordine al delitto a lui addebitato, costituiscono, per altro verso, condotte rilevanti una eclatante e macroscopica negligenza ed imprudenza; presupposto che ha ingenerato la falsa apparenza della loro configurabilità come illecito penale e dando luogo, così, alla detenzione con rapporto di causa ed effetto.

L’analisi completa delle risultanze a carico dell’ O. ha indotto la Corte non solo a ritenere provata la disponibilità di un modesto quantitativo di droga, ma anzi a ritenere fondata l’ipotesi indiziaria della sua partecipazione all’attività illecita di spaccio di sostanza stupefacente attesa la chiara contiguità con il coimputato B., deducibile nello specifico contesto in esame con il buon senso ed in base alla massima di esperienza dell’id quod plerumque accidit, per rilevare, infine, doverosamente, la possibilità di interpretazioni diverse e quindi l’esistenza di un dubbio sull’effettività e sulle modalità della condotta partecipativa all’attività illecita. La stessa sentenza ha valutato negativamente, come secondo elemento integrativo della causa ostativa, l’occultamento nella sua autovettura di una dose di droga.

L’impugnata ordinanza, sul punto, correttamente osserva che l’uso di droga costituisce per sè atto illecito, ancorchè di natura amministrativa, ed è comunque un comportamento antisociale, contrario ai doveri di solidarietà e correttezza. Quant’anche se ne ammettese la liceità, sotto il profilo dell’uso personale, la condotta, unitamente alla rilevata costante frequentazione degli ambienti degli spacciatori, ed a comportamenti sospetti, può verosimilmente avere indotto gli inquirenti a ritenerlo partecipe dell’attività di spaccio.

L’ordinanza impugnata, quindi, ascrive alle condotte gravemente colpevoli del ricorrente l’apparenza della sua responsabilità;

sussistevano, dunque, concrete probabilità che egli potesse essersi reso responsabile del reato contestatogli e, comunque, ad aver colpevolmente indotto l’Autorità giudiziaria a credere nel suo coinvolgimento e a procedere all’applicazione della misura cautelare personale.

Ed appare evidente che il GIP, nella valutazione complessiva della condotta criminosa del ricorrente, in relazione alla verifica dei presupposti per emettere il provvedimento cautelare, ha tenuto senz’altro conto dei dati oggettivi ma anche del comportamento dell’indagato, e di tanto ne ha tenuto in conto la Corte territoriale, nell’esaminare la richiesta de qua, sotto il profilo della colpa, indipendentemente dalla relativa valutazione di non valenza criminale operata dalla sentenza della Corte di Assise d’Appello in sede di gravame.

La dichiarazione di inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 a favore della Cassa delle Ammende.

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