Cass. pen. Sez. IV, Sent., (ud. 24-03-2011) 05-05-2011, n. 17460

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

mento della sentenza.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

La Corte di appello di Messina con la sentenza indicata in epigrafe, per quanto qui rileva, dichiarava non doversi procedere nei confronti dei dr. S.G. e D.N.S. in ordine al reato di lesioni colpose aggravate in danno di Sc.Ca. per essere lo stesso estinto per intervenuta prescrizione.

I medici suddetti erano stati chiamati a rispondere del reato in questione in qualità di ginecologi facenti parte dell’equipe operatoria ostetrico ginecologica che in data 3.10.2000 ebbe ad eseguire un intervento di taglio cesareo e successiva resezione intestinale sulla Sc., ponendo in essere una condotta negligente consistita, secondo la contestazione accusatoria, nella dimenticanza nel corso dell’operazione di due garze nell’addome della paziente, nell’omessa conta delle garze e nell’omessa attuazione di una sistematica revisione del campo operatorio, così cagionando alla paziente un periodo di malattia superiore ai quaranta giorni e l’indebolimento permanente dell’organo fisiognomico e dell’apparato gastroenterico (resezione di ansa intestinale ileale, aggravamento della sindrome aderenziale e periviscerite).

I giudici di appello, nel disattendere la richiesta di assoluzione nel merito avanzata dalla difesa, affermavano che non vi erano prove evidenti per una assoluzione nel merito "ai sensi dell’art. 152 c.p.p., comma 2", emergendo, anzi, elementi di valutazione di segno contrario.

In particolare, i giudici di appello evidenziavano che, "tenendo conto delle conclusioni alle quali sono pervenuti i periti nominati in sede di incidente probatorio e di quanto emerge dai riscontri documentali acquisiti, deve concordarsi con il primo giudice allorchè afferma che successivamente al ritrovamento delle due garzine, che deve considerarsi dato storico acquisito e non contestabile, la signora Sc. cominciò ad accusare algie intestinali ripetute e sempre più insistenti e vicine nel tempo tanto da costringerla a continui ricoveri in ospedale e che i due corpi estranei non furono trovati in occasione dell’intervento di Taormina che pure interessò l’addome della paziente e non si limitò al taglio cesareo non per negligenza dei medici che non avrebbero ispezionato a sufficienza la parte interessata ma solo perchè le due garze furono dimenticate proprio in quella occasione e ritrovate solo dopo quattro anni nonostante i successivi ricoveri e gli accertamenti diagnostici successivi ai quali la donna fu sottoposta".

Avverso la predetta sentenza gli imputati presentano distinti ricorsi per cassazione.

S.G. articola un unico motivo con il quale lamenta la mancanza e la manifesta illogicità della sentenza con riferimento alla sussistenza del nesso di causalità tra le omissioni contestate agli imputati e l’evento lesivo nonchè la violazione dell’art. 129 cod. proc. pen., giacchè la Corte di merito aveva omesso di fornire risposta alle molteplici deduzioni difensive, secondo le quali la sintomatologia dolorosa era stata provocata esclusivamente ed irrimediabilmente dalla sindrome aderenziale, disturbo comune ad un elevato numero di donne pluripare e che le garze erano già nell’addome della donna sin dal 1999 in quanto sin da quel periodo, come dimostrato dalle cartelle cliniche in atti, la donna aveva accusato reiterati malesseri con conseguenti ripetuti ricoveri presso diversi ospedali. Ciò era confermato anche dalla presenza alla data del 3 marzo 2000, nell’equipe operatoria condotta dallo S., anche dell’altro chirurgo M. al fine di effettuare la resezione intestinale, seppure parziale, a causa delle riscontrate tenaci aderenze in addome. Si sottolinea, inoltre, che il medesimo dr. M. – che peraltro aveva eseguito nell’agosto del 2004 l’ennesimo intervento di viscero aderenziolisi sulla Sc. – non avrebbe nemmeno potuto appurare la presenza delle garze in addome in quanto la resezione intestinale non poteva che interessare una zona addominale molto circoscritta stante la elevatissima vascolarizzazione dell’utero alla 37sima settimana di gravidanza.

I giudici di appello, inoltre, avevano mostrato di non prendere in considerazioni i dubbi sollevati dalla difesa sull’attendibilità delle dichiarazioni rilasciate dal medico R., il quale aveva sottoposto nel 2004 ad intervento chirurgico la Sc. e solo dopo tre giorni aveva riferito del rinvenimento delle garze che si assume, peraltro, essere troppo piccole per essere state utilizzate durante un intervento di taglio cesareo.

La Corte di merito aveva altresì omesso di affrontare anche l’altro motivo di impugnazione con il quale si era evidenziato, alla luce delle conclusioni dei periti in atti, che, poichè le due garze non erano state adeguatamente conservate in liquido fissativo, non era stato possibile risalire con esattezza al periodo in cui le garze erano state dimenticate nell’addome. In conclusione, la sentenza impugnata aveva del tutto omesso di affrontare la questione sollevata con i motivi di impugnazione, supportata dall’excursus cronologico contenuto agli atti, che la Sc. era affetta tra il 1999 ed il 2004 da sindrome aderenziale causata dalla tendenza del peritoneo viscerale a produrre essudato ematico, che successivamente aveva formato briglie aderenziali che avevano provocato la sintomatologia dolorosa sino alla data dell’ultimo intervento chirurgico, avvenuto il 6 agosto 2004 e quindi in un periodo successivo a quello del presunto ritrovamento delle garze in addome.

Anche D.N.S. articola un unico motivo con il quale lamenta la mancanza assoluta di motivazione della sentenza impugnata che aveva del tutto omesso di fornire risposta alle articolate deduzioni difensive volte a supportare le ipotesi alternative che le garze, peraltro non più in uso all’Ospedale di Taormina alla data del 3.10.2000, erano state dimenticate da altri medici in occasione degli interventi chirurgici praticati o anche, atteso il sospetto ritrovamento delle stesse, che non fossero state dimenticate affatto non essendo state evidenziate da ben altri cinque esami radiografici ed ecografia effettuati sulla paziente.

I ricorsi sono fondati, giacchè la sentenza impugnata risulta carente di motivazione in relazione al quadro fattuale della vicenda, prospettato con i motivi di appello, sufficientemente argomentati con riferimento ad ipotesi alternative nella ricostruzione della causalità, così violando anche il disposto dell’art. 129 c.p.p., comma 2, e la consolidata interpretazione di esso.

E’ vero, infatti, che, in presenza di una causa estintiva del reato (come, nella specie, la prescrizione), il giudice deve pronunciare l’assoluzione nel merito solo nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l’esistenza del fatto, la sua rilevanza penale o la non commissione da parte dell’imputato, emergano dagli atti in modo assolutamente incontestabile, tanto che la valutazione da compiere in proposito appartiene più al concetto di "constatazione" che a quello di "apprezzamento": ciò in quanto il concetto di "evidenza", richiesto dal comma secondo dell’art. 129 cod. proc. pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale così palese da rendere superflua ogni dimostrazione, concretandosi in una pronuncia liberatoria sottratta ad un particolare impegno motivazionale.

Ma tale rigoroso principio non può legittimare indebite e non adeguatamente motivate pretermissioni degli argomenti difensivi, tesi ad accreditare, in modo non apodittico, ma argomentato, la soluzione liberatoria del merito.

Ciò che qui sembra avere fatto il giudice d’appello che, senza in alcun modo prendere in esame i motivi di appello degli imputati, con argomentazione del tutto apodittica e, perciò inaccettabile sul piano logico, non essendo riferita a specifici e ben individuati elementi di fatto, ha ritenuto di confermare il giudizio di responsabilità, limitandosi a fare generico riferimento alle conclusioni dei periti nominati in sede di incidente probatorio ed ai riscontri documentali acquisiti e soprattutto affermando, contraddittoriamente ed illogicamente, che doveva essere confermato il giudizio formulato dal primo giudice, secondo il quale la Sc. cominciò ad accusare algie intestinali ripetute e sempre più insistenti e vicine nel tempo successivamente al ritrovamento delle due garzine, come se la causa del malessere della donna traesse origine non dalla permanenza delle garze nell’addome ma dal ritrovamento e prelevamento delle stesse.

Trattasi di motivazione erronea in diritto e del tutto apparente, che non tiene conto del principio più volte affermato in sede di legittimità (v. tra le altre, Sezione 4^, 6 novembre 2007, Brignoli, non massimata), secondo il quale nell’accertamento del nesso causale tra la condotta del soggetto e la verificazione dell’evento dannoso, a fronte di un’ipotesi alternativa nella ricostruzione della causalità, pur plausibile, il giudice è tenuto a verificare tale ipotesi e se del caso di escluderla, non solo in base ad una dichiarata e motivata affidabilità di una delle ipotesi formulate, ma tenendo anche conto delle evidenze probatorie esistenti nel processo che consentano di negare, in termini di elevata credibilità razionale, l’ipotesi alternativa.

Del resto, un più approfondito vaglio delle ragioni difensive si imponeva in ossequio ai principi espressi anche di recente dalle Sezioni unite, con la sentenza 28 maggio 2009, Tettamanti, rv. 244273- 275.

In tale occasione, la Corte, pur avendo affermato il principio che, all’esito del giudizio, il proscioglimento nel merito, nel caso di contraddittorietà o insufficienza della prova, non prevale rispetto alla dichiarazione immediata di una causa di non punibilità, ha individuato alcune eccezioni e tra queste, per quanto interessa, quella in cui il giudice dell’impugnazione, intervenuta una causa estintiva del reato, ai sensi dell’art. 578 cod. proc. pen. è comunque tenuto a valutare il compendio probatorio ai fini delle statuizioni civili per la presenza della parte civile. In tale ipotesi, il giudice è tenuto in ogni caso ad una valutazione approfondita del materiale probatorio, con conseguente possibilità della prevalenza del proscioglimento nel merito, pur a fronte di un quadro probatorio "contraddittorio" o "insufficiente": infatti, in tale evenienza, poichè il giudice è comunque tenuto ad una valutazione approfondita della vicenda a fini civilistici, non opera più il principio di economia processuale sotteso alla rigorosa applicazione dell’art. 129 cod. proc. pen,, cosicchè, quando tale valutazione porti all’accertamento della mancanza di responsabilità penale, anche per insufficienza o contraddittorietà della prova, essa riverbera i suoi effetti anche sulla decisione penale, con la conseguenza che deve essere pronunciata, in tal caso, la formula assolutoria nel merito.

Per l’effetto, la sentenza, giusta quanto sopra osservato, va annullata con rinvio al giudice di secondo grado, che si atterrà ai principi sopra indicati.
P.Q.M.

annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di Appello di Reggio Calabria cui demanda il regolamento delle spese tra le parti.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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