Cass. pen. Sez. II, Sent., (ud. 03-03-2011) 05-05-2011, n. 17324

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

DELEHAYE Enrico che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

K.S. ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza, in data 3.5.2010, della Corte di appello di Milano che, in parziale riforma della sentenza 26.5.2009, emessa all’esito di giudizio abbreviato dal GIP presso il Tribunale di Monza, riduceva ad anni 3 e mesi 8 di reclusione la pena inflitta al K., per i reati, unificati dalla continuazione (ascrittigli in concorso con L.E.) di usura e per tre episodi di estorsione; disponeva, inoltre, a carico del K., la confisca, L. n. 356 del 1992, ex art. 12 sexies, delle somme "di cui ai titoli ed al conto corrente in sequestro".

Il ricorrente chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata deducendo:

1) erronea applicazione dell’art. 125 c.p.p., comma 3 e degli artt. 132 e 133 c.p. nonchè vizio di motivazione sulla quantificazione della pena, con riferimento al motivo di appello con cui se ne invocava, in ragione dei criteri indicati dall’art. 133 c.p., la rideterminazione, avuto riguardo alla buona condotta ed alla vita dell’imputato;

2) violazione dell’art. 597 c.p., comma 3 e della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies; con il quarto motivo di appello era stato dedotto che la confisca riguardava beni oggetto di sequestro probatorio per i quali il primo giudice non era stato in grado di individuare alcun vincolo di pertinenza con i delitti ascritti; peraltro, la Corte territoriale aveva disposto un tipo di confisca diverso da quella adottata dal giudice di prime cure ai sensi dell’art. 240 c.p., in violazione dell’art. 597 c.p.p., comma 3.
Motivi della decisione

Il primo motivo di ricorso è infondato. La Corte territoriale, pur provvedendo alla correzione del calcolo della pena effettuato dal primo giudice, in relazione alla diminuzione di un terzo per la scelta del rito, ha adeguatamente motivato la congruità della pena inflitta in primo grado in relazione alla gravità dei reati "protratti per un lungo periodo di tempo" ed alla pericolosità dell’imputato,come evidenziata nella motivazione della sentenza. Il giudice non è tenuto, peraltro, a prendere in considerazione tutti i criteri indicati nell’art. 133 c.p., potendo assolvere al suo obbligo motivazionale limitandosi a fare riferimento,nella determinazione della pena, come avvenuto nel caso di specie, alla consistenza dei fatti contestati ed alla personalità dell’imputato (Cfr. Cass. n. 42688/08; n. 1666/97). Priva di fondamento è pure la seconda censura. I giudici di appello hanno escluso la revoca della confisca dei beni sequestrati, già disposta in primo grado, evidenziando che, nella specie, trova applicazione il disposto della L. n. 356 del 1992, art. 12 sexies che, in relazione al reato di usura, prevede la confisca del denaro, dei beni e delle altre utilità di cui il condannato non può giustificare la provenienza, dando atto che, nel caso in esame, non ne era stata documentata la provenienza.

Dispone l’art. 644 c.p., u.c., che: "nel caso di condanna …per uno dei delitti di cui al citato articolo, è sempre ordinata la confisca dei beni che costituiscono prezzo o profitto del reato ovvero di somme di denaro, beni ed utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona per un importo pari al valore degli interessi o degli altri vantaggi o compensi usurari, …".

Va ribadito al riguardo, in conformità alla giurisprudenza della S.C. in materia, che ai sensi del succitato art. 12, presupposto sufficiente per disporre la confisca di detti beni, una volta intervenuta condanna per il reato di usura, è il difetto di una credibile giustificazione circa la loro provenienza, ipotesi che comporta la presunta illiceità del possesso dei beni .mentre è irrilevante il requisito del nesso di "pertinenzialità " dei beni medesimi rispetto al reato per cui si è proceduto, previsto dall’art. 240 c.p., richiedendo la confisca dei beni patrimoniali D.L. n. 306 del 1992, ex art. 12 sexies, conv. in L. 8 luglio 1992, n. 356, un vincolo pertinenziale, di significato più ampio, tra il bene e l’attività delittuosa facente capo al soggetto, connotato dalla mancanza di giustificazione circa la legittima provenienza del patrimonio in possesso del soggetto, nei cui confronti sia stata pronunciata condanna o sia stata disposta l’applicazione delle pena (Cfr. S.U. n.920/04; n. 33984/2002; n. 45790/2003).

Alla stregua di quanto osservato il ricorso va rigettato.

Consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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