T.A.R. Sicilia Palermo Sez. I, Sent., 06-05-2011, n. 874 Sanità e igiene

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con ricorso notificato il 13 ottobre 2010, e depositato il successivo 3 novembre, la s.r.l. Arcobaleno ha impugnato i provvedimenti indicati in epigrafe, deducendone l’illegittimità.

Si è costituito in giudizio, per resistere al ricorso, l’Assessorato della salute della Regione Sicilia, senza peraltro spiegare difese scritte.

Con ordinanza n. 1029/2010 è stata accolta – nei termini di cui all’art. 55, comma 10, del cod. proc.amm.vo – la domanda cautelare proposta unitamente al ricorso.

Il ricorso è stato definitivamente trattenuto in decisione alla pubblica udienza del 1° aprile 2011.

2. Il presente giudizio concerne anzitutto la legittimità della nota con cui l’Assessorato regionale resistente ha respinto l’istanza della società ricorrente, avente ad oggetto la possibilità di erogare prestazioni di residenza sanitaria assistita nella provincia di Palermo.

La parte ricorrente contesta altresì la legittimità del D.A. n. 1325 del 24 maggio 2010, costituente atto generale presupposto rispetto al richiamato diniego, recante "gli indirizzi per la riorganizzazione e il potenziamento della rete regionale di residenzialità per i soggetti fragili".

Tale Decreto, al punto 4.2., recita: "Alla luce dell’intervenuta previsione di cui al comma 2 dell’art.25 della legge regionale 14 aprile 2009, n. 5, al fine di far fronte alle necessità assistenziali che non possono essere soddisfatte dal servizio pubblico, le strutture private accreditate titolari di accordi contrattuali alla data del 14 aprile 2009 potranno concorrere alla copertura dei posti disponibili previsti dalla programmazione regionale incrementando la propria offerta di prestazioni".

La società ricorrente, struttura privata che eroga prestazioni quale gestore di una comunità terapeutica assistita e di residenza sanitaria assistita, non era titolare di accordo contrattuale alla data del 14 aprile 2009.

Di qui il diniego impugnato, motivato con riferimento alla mancanza dei "requisiti di accesso" stabiliti dal citato D.A.

3. Con il primo motivo di gravame viene dedotta – tra l’altro – la violazione del Trattato di Roma (oggi Trattato sull’Unione europea, e Trattato sul funzionamento dell’Unione europea); nello svolgimento degli argomenti a sostegno della censura, si lamenta in particolare la violazione delle disposizioni in materia di "apertura del mercato alla concorrenza".

La censura è fondata.

Va anzitutto precisato che entrambi i provvedimenti impugnati si pongono in rapporto di conformità (oltre che di consequenzialità e dipendenza logicogiuridica) con l’art. 25, comma 2, della legge regionale siciliana 14 aprile 2009, n. 5 (recante "Norme per il riordino del Servizio sanitario regionale"), a mente del quale "Le prestazioni di ricovero sia in regime ordinario che in regime giornaliero, quelle specialistiche, ambulatoriali, domiciliari e residenziali, ivi compresa la diagnostica strumentale e di laboratorio e la medicina fisica e riabilitativa, sono erogate, in conformità alle vigenti disposizioni normative, oltreché dalle strutture pubbliche, anche da quelle private accreditate titolari di accordi contrattuali alla data di entrata in vigore della presente legge".

Tale disposizione, ad avviso del Collegio, osta all’applicazione dell’art. 3, comma 3, del Trattato sull’Unione europea, e degli artt. 3 (paragrafo 1, lett. b)), 116, 117 (paragrafo 1) del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, relative alla tutela della libertà di concorrenza.

Ritiene infatti il collegio che non sia possibile operarne una interpretazione adeguatrice (rispetto al testo degli artt. 3 e 41 della Costituzione), come prospettato dalla parte ricorrente; né una esegesi conforme agli invocati parametri del diritto europeo della concorrenza, stante l’inequivoco tenore letterale di tale disposizione, nel senso della irragionevole chiusura al mercato dei servizi sanitari per tutti gli operatori economici estranei a tale mercato alla data fissata.

4. L’unico spazio esegetico che la norma lascia all’interprete verte in realtà sul tipo di accordo contrattuale preesistente, indicato quale condizione per l’accesso al mercato dei servizi in questione: se debba trattarsi di accordo con la medesima Azienda sanitaria, ovvero anche di accordo contrattuale con altra Azienda sanitaria provinciale (in ogni caso, peraltro, con l’effetto di paralizzare la pretesa dell’odierna ricorrente).

Fermo restando che nel primo caso si aggiungerebbe un irragionevole profilo di limitazione su base geografica, in entrambe le ipotesi è dato ravvisare il denunciato elemento di contrarietà alle norme del Trattato.

La norma in esame, infatti, pone una chiara ed evidente barriera (temporale) di ingresso al singolo mercato provinciale: sulla base di tale disposto, l’accesso di nuovi erogatori privati è irrimediabilmente precluso, nel bacino di ogni azienda sanitaria provinciale, successivamente al 14 aprile 2009.

A quella data – per effetto del chiaro significato della disposizione in esame – nel mercato dei servizi sanitari erogati da operatori economici privati in regime di accreditamento, possono operare soltanto i soggetti in esso già presenti.

In punto di fatto deduce la parte ricorrente – con affermazione rimasta incontestata – che "in atto (e già il 14.4.09) vi è una sola struttura privata titolare di accordi contrattuali con l’ASP di Palermo: l’odierna controinteressata. Ebbene: per decreto ne viene oggi sancito il monopolio legale (….)".

Una simile barriera, peraltro, non appare giustificata da alcuna ragionevole esigenza antagonista all’apertura del mercato medesimo, in tesi valutabile in un’ottica di bilanciamento fra contrapposti interessi.

5. Come correttamente affermato nel ricorso in esame, la vicenda dedotta configura "un caso di scuola tratto da un manuale antitrust", giacché "l’accesso al mercato delle prestazioni a carico del S.S.R. erogate dalle RSA viene dalla Regione arbitrariamente limitato ai soli incumbents: ossia alle strutture già accreditate con il SSR per la stessa tipologia (RSA) e con la stessa Azienda Sanitaria Pubblica alla data di entrata in vigore della l. reg. 5/09".

Il problema di fondo, nell’esame della censura in esame, è se gli Stati membri siano o meno tenuti al rispetto delle regole europee di concorrenza nella disciplina dei servizi sanitari.

Se dovesse escludersi una simile soggezione, la disposizione regionale in esame – fermi restando i fondati dubbi di legittimità costituzionale, già espressi dalla Sezione in sede cautelare – non presenterebbe alcun profilo di contrarietà alle invocate norme del Trattato (in quanto non applicabili).

Invero, come si ricava dalla costante giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia, il diritto dell’U.E. non impone agli Stati membri – per effetto dell’art. 152, paragrafo 5, TCE: oggi art. 168 T.F.U.E., paragrafo 7 – l’apertura ai privati del servizio sanitario.

Come ricordato anche dalla nostra giurisprudenza (T.A.R. Lombardia, Milano, sez. III, sentenza 16 giugno 2010, n. 1891), "Il rapporto tra sistemi nazionali d’assistenza sanitaria e concorrenza è, nel quadro europeo, diversificato. La diversità dei modelli organizzativi dei servizi sanitari nazionali non viene, del resto, messa in discussione dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia la cui giurisprudenza, al contrario, afferma che gli Stati possono opzionare come meglio credono il proprio modello organizzativo di assistenza e sicurezza sociale. Ecco allora che, in alcuni Stati, la sanità pubblica è finanziata esclusivamente dalle imposte (senza una correlazione diretta tra ciò che il cittadino paga e l’effettiva percezione di prestazioni sanitarie); altrove, sono in vigore sistemi misti finanziati in buona parte attraverso la costituzione di rapporti di tipo assicurativo, supportati sussidiariamente dal ricorso al gettito fiscale (con contributo commisurato allo specifico rischio coperto)".

6. Tuttavia, il rispetto del diritto europeo impone che, una volta optato per un modello misto pubblicoprivato, la presenza privata venga regolata in modo conforme ai princìpi di trasparenza, obiettività e proporzionalità (e, come ricordato dalla citata sentenza n. 1891/2010 del T.A.R. Lombardia, da "elementi di concorrenzialità"): si veda in tal senso la consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia nel settore della previdenza complementare, in cui si presenta una analogo modello misto di welfare (sentenze 21 settembre 1999, Albany International, Brentjens e Maatschappij; sentenza 16 novembre 1995, in causa C244/94, F.F.S.A.).

L’intervento pubblico, in altre parole, può legittimamente incidere sulle modalità strutturali del sistema di welfare, anche in punto di esclusione della presenza stessa di operatori economici privati: ma quest’ultima, ove ammessa, non può essere sottoposta ad ulteriori limitazioni all’accesso che non siano quelle preordinate alla verifica di compatibilità con l’interesse pubblico sottostante e – nel caso delle prestazioni sanitarie – con le esigenze della finanza pubblica (che operano, evidentemente, su piani e con meccanismi diversi rispetto a quello considerato dalla disposizione regionale in esame).

Il sistema italiano, in relazione ai distinti momenti della verifica dei requisiti (mediante accreditamento) funzionali alla tutela degli interessi afferenti le esigenze di welfare, e di conseguente accesso al mercato (mediante accordo contrattuale) è stato, per questo profilo, efficacemente descritto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 94 del 2009: "L’accreditamento delle strutture è stato configurato come atto connotato da profili di discrezionalità amministrativa, avente ad oggetto la verifica concernente la funzionalità delle stesse rispetto agli indirizzi di programmazione regionale (art. 8quater, comma 1), atto comunque da solo insufficiente a consentire l’erogazione di prestazioni a carico del S.s.n. Siffatta erogazione è stata, infatti, subordinata alla stipula di appositi accordi contrattuali, con i quali neppure è acquistata una certa quantità di servizi, ma è soltanto autorizzata l’erogazione delle prestazioni entro un tetto massimo prefissato (art. 8quinquies), da remunerare con il sistema a tariffa".

L’accordo contrattuale, pertanto, è lo strumento giuridico che consente all’operatore economico privato di accedere al mercato delle prestazioni erogabili in regime di accreditamento.

Si tratta di un mercato entro il quale gli operatori economici privati competono tra di loro (e con gli operatori pubblici) for profit, con il solo limite del contingentamento massimo (rappresentato dal limite quantitativo di prestazioni erogabili): funzionale ad esigenze di contenimento della spesa pubblica sanitaria, ma privo di incidenza (negativa) sulla natura e sull’interesse economico delle relative prestazioni (giacché fino al raggiungimento del tetto massimo per ciascuna stabilito, ogni struttura privata compete con le altre strutture, pubbliche e private; mentre una volta superato tale limite, continua ad operare in regime di regressione tariffaria).

Ne consegue che la parte del sistema aperta alla presenza di operatori economici privati, rappresenta un mercato non contingentato, né contingentabile, se non nelle forme e con i limiti sopra evidenziati.

7. Una volta acclarata la soggezione della disciplina del servizio sanitario regionale – nella parte relativa alla presenza di operatori economici privati – alle regole europee di tutela della concorrenza, l’inserimento di una barriera all’accesso al relativo mercato, estranea alla tutela degli interessi pubblici tutelati dai richiamati istituti, è strutturalmente contraria a tali regole, come recentemente ricordato dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 180 del 2010 (relativa ad altro oggetto materiale, ma incentrata sul comune problema della conformità o meno al parametro europeo della restrizione legislativa all’ingresso di un mercato soggetto a regime concorrenziale): "la disciplina regionale impedisce l’accesso di altri potenziali operatori economici al mercato, ponendo barriere all’ingresso tali da alterare la concorrenza tra imprenditori".

Va peraltro rilevato che, ancorché il relativo parametro non sia stato direttamente invocato dalla parte ricorrente, la disposizione regionale in questione (ed i sottostanti provvedimenti amministrativi ad essa conformi) risultano in contrasto anche con la disciplina della libera prestazione dei servizi, di cui all’art. 26, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

Vero è infatti che la giurisprudenza della Corte di Giustizia (si veda in tal senso la sentenza 16 maggio 2006, in causa C372/04, Watts: resa in relazione ad un modello di servizio sanitario assai affine a quello italiano) non ha mai affermato indiscriminatamente la piena operatività di tale libertà nella materia dei servizi sanitari: ma ha ritenuto compatibili con tale disciplina unicamente un regime autorizzatorio (della prestazione) ragionevolmente funzionale alla tutela del diritto alla salute (e non, dunque, una preclusione assoluta su base temporale), peraltro con l’affermazione di significativi limiti alla discrezionalità degli Stati membri nella organizzazione dei servizi sanitari.

La Corte di Giustizia dell’U.E., nella sentenza 12 gennaio 2010, C341/08, Petersen, relativa all’introduzione di limiti d’età per l’esercizio di una professione, ha affermato che un limite alla libertà di prestazione dei servizi è compatibile con il diritto UE solo se supera il test di necessità (legittimità del fine perseguito); idoneità (appropriatezza) e proporzionalità del mezzo rispetto al fine perseguito.

8. Nulla di tutto ciò è dato riscontrare nel caso di specie, essendosi in presenza di una irragionevole compartimentazione del singolo mercato di servizi sanitari.

Il riferimento alla disciplina della libera prestazione dei servizi – pur se non direttamente evocata quale parametro – rileva del resto quale inevitabile passaggio logicoargomentativo: la qualificazione, in termini generali, dei servizi sanitari come servizi economici, è stata affermata dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’U.E. proprio con riferimento alla problematica della compatibilità con la ridetta libertà delle restrizioni statuali alle prestazioni sanitarie (rimborsate) all’estero (si veda esemplificativamente la sentenza 19 aprile 2007, in causa C444/05, Stamatelaki).

Al di là di tale prospettiva d’indagine, non v’è dubbio che la riferita affermazione abbia una portata generale: e che imponga, conseguentemente, di ricercare il regime dei servizi sanitari erogati da soggetti privati, ove ammessi, nella disciplina europea delle attività for profit rese da operatori economici (e dunque, primariamente, nel rispetto dei princìpi di trasparenza, non discriminazione, obiettività, proporzionalità e concorrenza).

9. In ogni caso, l’eventuale esclusione del regime concorrenziale può ricondursi all’ipotesi in cui tale regime ostacolerebbe o impedirebbe la tutela dell’interesse pubblico correlato alla protezione del diritto sociale, ai sensi dell’art. 106, paragrafo 2, del T.F.U.E.

Il legislatore regionale, pertanto, avrebbe potuto restringere – senza violare il Trattato – ai soli operatori pubblici la possibilità di erogare le prestazioni sanitarie di cui si discute; ovvero avrebbe potuto riservare le stesse ad imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale, sottratte – nei limiti della ragionevolezza e della proporzionalità – alle regole di concorrenza: ma non avrebbe potuto realizzare un sistema misto, con limitazione della presenza privata alla cristallizzazione della posizione dei soli soggetti già presenti sul mercato (recte: del solo soggetto presente sul mercato).

Del resto, la frizione fra tutela delle libertà economiche e protezione dei diritti sociali è, nel sistema europeo, più apparente che reale, posto che le limitazioni alla concorrenza di fatto si risolvono in una meno efficace offerta di servizi sanitari alla collettività (il che non va trascurato nell’ottica della portata precettiva dell’art. 35 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’U.E.).

10. La contrarietà della disposizione regionale in esame alle disposizioni europee sopra richiamate, determina l’obbligo di disapplicazione della stessa.

Ne consegue la diretta contrarietà degli atti amministrativi impugnati agli invocati parametri europei.

I provvedimenti impugnati, in accoglimento della censura in esame, vanno dunque annullati (il D.A. n. 1325/2010 per la parte richiamata: punto 4.2.), con assorbimento di ogni altra questione formale e sostanziale.

Le spese possono essere compensate, in ragione della novità della questione.
P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Sicilia (Sezione Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, lo accoglie e, per l’effetto, annulla il provvedimento impugnato come in epigrafe proposto.

Si compensano le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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