Cons. Stato Sez. IV, Sent., 09-05-2011, n. 2749 Concessione per nuove costruzioni

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

i Casiere, e Panizzolo;
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1.- In primo grado, gli odierni appellanti signori L. e G. R., proprietari di un fabbricato ubicato nel Comune di Lucera confinante con il suolo di proprietà dei controinteressati signori M. e F. A. V., impugnavano i seguenti titoli ad edificare assentiti dall’amministrazione comunale a favore di detti controinteressati in via Di Vittorio (fg. 81 p.lla 61):

concessione edilizia n. 2949 del 2.9.1998, per la costruzione di un fabbricato comprendente due appartamenti per civile abitazione (primo e secondo piano) e pertinenze quali autorimesse (piano terra), cantina/deposito (piano interrato), sottotetto, volumi tecnici e locali comuni condominiali. Il relativo ricorso (rg n. 1091 del 1999), come da sentenza n. 4526 del 21/12/2006, veniva dichiarato improcedibile dal TAR adito dagli interessati, per sopravvenuto difetto di interesse a coltivarne l’impugnativa, alla luce della sopraggiunta variante edilizia n. 3619 del 22.4.2000 autorizzata dal Comune, da qualificarsi tuttavia quale nuova concessione in relazione alle essenziali modifiche al progetto iniziale apportate dai controinteressati V., che investivano sia la distanza del manufatto dalla proprietà limitrofa sia l’altezza dello stesso ed indotte, peraltro, dall’azione civile proposta dai ricorrenti stessi contro l’opera originariamente approvata;

– citata variante n. 3619 del 2000 (rg n. 1673 del 2000) che, come da memoria V. depositata il 30.10.2010 (pag. 9), ha ridotto "a mt. 9,50 l’altezza del fabbricato nella parte corrispondente l’arretramento per conformare la chiostrina ai limiti dimensionali prescritti dall’art. 23/19 del R.E….nei limiti di quella prescritta dalla normativa antisismica in funzione della larghezza stradale… (e)… gli allineamenti alle preesistenti edificazioni (sì da emendare anche gli ulteriori rilievi opposti in sede giurisdizionale)…(e destinando)… i vani con affaccio sulla chiostrina a disimpegni verticali, orizzontali e servizi, in conformità a quanto prescritto dall’art. 28 del regolamento edilizio)" nonchè portato l’arretramento tra i due fabbricati frontisti "a mt. 5,10 (ossia: 2,50 distacco R. dal confine + 2,60 distacco V. dal confine) e la distanza con il balcone in proprietà R. a mt. 4,30 (3,35 dal dente laterale del balcone di massima sporgenza)".

Tale variante costituisce controversia nell’odierno appello.

2.- L’adito Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia, con la gravata sentenza, ha respinto il ricorso proposto dagli interessati R., rilevando:

– la inammissibilità del ricorso introdotto, sia in connessione alla formalizzazione, nell’atto di compravendita per notar Vincenzo Grasso (rep. n. 6965 del 7/5/65 regolarmente registrato e trascritto), dell’espresso consenso e autorizzazione in favore dei venditori (Spina) o aventi causa (V.) di costruire sul confine anche in corrispondenza della zona di terreno che l’acquirente o suoi aventi causa (R.) volessero destinare a cortile, sia in relazione alla circostanza che la variante stessa sarebbe senz’altro migliorativa per i ricorrenti rispetto alla situazione prevista con la concessione originaria (impugnata dagli stessi ricorrenti con autonomo ricorso n. 1091/99), posto che i controinteressati hanno previsto un ulteriore arretramento del proprio erigendo fabbricato fino a m. 2,60 dal confine R., una riduzione dell’altezza del fabbricato per la normativa antisismica, oltre che un allineamento del fronte delle costruzioni, con riequilibrio del rapporto tra superfici e altezza delle pareti verticali affacciati sulla chiostrina;

– l’infondatezza, indipendentemente dalle citate preclusioni, del primo motivo di censura (con il quale i ricorrenti avevano dedotto la violazione delle distanze minime tra i fabbricati di cui all’art. 11 delle N.T.A., nonché comunque le distanze previste dal Codice Civile, avuto riguardo al fatto che la costruzione in aderenza risultava legittima solo relativamente alla parte di edificio realizzata sulla linea di confine, non anche per la parte corrispondente all’ arretramento dal confine del loro fabbricato, dovendosi per tale parte rispettare le distanze regolamentari, quanto meno, quelle previste dall’art. 873 C.C., in omaggio al principio di prevenzione), in relazione al principio che la legittimità di un atto va riguardata con esclusivo riferimento al momento della sua adozione e che, nella specie, la sanatoria dell’immobile dei ricorrenti, ivi compresi gli aggetti e il balcone posto al secondo piano, risultava intervenuta solo in epoca successiva al rilascio della concessione edilizia originaria (2949 del 2/9/98) e, quindi, la costruzione dei ricorrenti non potesse costituire parametro di riferimento in quanto abusiva all’epoca e non condonata e, perciò, giuridicamente inesistente;

– la inammissibilità dei motivi 4 e 5 in quanto generici, così come inammissibili taluni profili di censura proposti per la prima volta solo in sede di memoria conclusiva, neanche notificata, del 27/2/2007 (quale quella relativa alla prevista realizzazione della rampa di accesso al garage);

– la sostanziale legittimità della variante impugnata, in quanto conforme alle previsioni urbanistiche con riferimento alla tipologia dello spazio aperto dibattuto, da qualificarsi come chiostrina alla luce delle incertezze manifestate dallo stesso C.T.U. Ing. P. (relazione C.T.U. del 29/5/02 pag. 4) e con riguardo alle quattro differenti tipologie disciplinate dall’art. 23, punto 19, del R.E. (ampio cortile, patio, cortile e chiostrina), con conseguente regolarità dei titoli edilizi impugnati, anche ai sensi dell’art. 28 R.E., atteso che le aperture previste nel progetto dai controinteressati sono limitate alle tipologie consentite da tale norma.

Alla soccombenza innanzi descritta seguiva condanna dei ricorrenti alle spese di lite.

3.- Con il gravame in esame, ulteriormente illustrato da numerose successive memorie, gli appellanti hanno chiesto la riforma della sentenza impugnata e l’integrale accoglimento del ricorso di primo grado, denunziando tramite sei motivi di censura violazione di legge (non corretta applicazione dei principi e delle norme che regolano la fattispecie) ed eccesso di potere sotto varie forme (contraddittorietà, difetto di motivazione, travisamento): erronea interpretazione dell’atto di compravendita nonché della concessione in sanatoria e sulla tempistica del condono, pretermissione del principio di prevenzione, errata qualificazione dello spazio interno come chiostrina, applicabilità dell’art. 28 del regolamento edilizio quanto a luci e vedute.

E’ processualmente assente il Comune di Lucera.

Gli appellati si sono costituiti in giudizio per resistere, con la memoria depositata il 30 ottobre 2010 concludendo per il rigetto del ricorso, in considerazione della derogabilità pattizia delle norme codicistiche, della irrilevanza delle preesistenze edilizie insistenti nello spazio intercluso in proprietà R., della qualificazione di tale spazio interno (chiostrina, cavedio, vanella o pozzo luce), della disarticolazione della CTU civile dalla caratterizzazione giuridica della fattispecie essendo stato il balcone R. realizzato in violazione dell’art. 905 c.c. ed avendo gli appellanti convenuto deroga pattizia che abilita a costruire sino alla linea di confine.

La causa è stata trattenuta in decisione all’udienza del 14 dicembre 2010.

4.- L’appello è fondato e la sentenza merita di essere riformata.

In linea preliminare, come da illustrata esposizione in fatto, va considerato che l’intervento edilizio V. interviene in zona sismica e come non sia controvertibile che la parte arretrata dal confine della preesistente costruzione R. abbia balcone, camera da letto, cucina affaccianti su uno spazio interno di ml. 2,50 dal confine stesso, che è aperto ed in relazione al quale gli appellati V. intendono edificare ad una distanza di ml. 2,60 dal confine una costruzione alta mt. 9,50, così conformando a loro dire una regolare chiostrina o pozzo luce.

Le opposizioni di parte appellata, fatte proprie dai primi giudici, non possono essere seguite, innanzitutto, alla luce delle norme temporalmente vigenti di cui alla legge 17.8.1942 n. 1150, art. 41 quinquies, comma 1lett. c (secondo cui l’altezza di ogni edificio non può essere superiore alla larghezza degli spazi pubblici o privati su cui esso prospetta e la distanza dagli edifici vicini non può essere inferiore all’altezza di ciascun fronte dell’edificio da costruire), e di cui all’art. 9 del DM 2.4.1968 n. 1444 (per il quale è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di mt. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti e, comunque, una minima pari all’altezza del fabbricato più alto).

Questa normativa, inoltre, non è affatto derogata dal PRG del Comune di Lucera, il cui art. 21 delle NTA prevede per le costruzioni un’altezza massima di ml 10,50, una distanza minima fra i fabbricati di ml 12 e una distanza minima dai confini di proprietà in ml 6,00; del resto, le NTI (norme tecniche d’intervento) del piano particolareggiato della zona in considerazione prescrivono un’altezza massima consentita di mt 10,50 e, per gli spazi interni, l’applicazione dell’art. 23/9 del regolamento edilizio relativamente alle minime libere tra pareti finestrate e non, nonché dell’art. 28 in ordine al rispetto delle norme igieniche.

Orbene, la giurisprudenza (cfr. Cons. St., IV, 2 novembre 2010 n. 7731), da tempo ha chiarito che l’art. 9 del d.m. 2.4.1968 n. 1444, il quale detta le citate disposizioni in tema di distanze tra le costruzioni, stante la sua natura di norma primaria, sostituisce eventuali disposizioni contrarie contenute nelle norme tecniche di attuazione di un piano regolatore e la prescritta distanza di dieci metri tra pareti finestrate di edifici antistanti va rispettata in tutti i casi, trattandosi di norma volta ad impedire la formazione di intercapedini nocive sotto il profilo igienicosanitario e della sicurezza, per cui esso disposto non è eludibile in funzione della natura giuridica dell’intercapedine stessa.

Segue da ciò -a prescindere dalla rilevanza o incidenza connesse alle ventilate disposizioni del regolamento edilizio comunale e poiché la norma di cui all’art. 9, d.m. n. 1444 del 1968 è finalizzata a stabilire un’idonea intercapedine tra edifici nell’interesse pubblico, non a salvaguardare l’interesse privato del frontista alla riservatezza- che al giudice non è lasciato alcun margine di discrezionalità nell’applicazione della disciplina in materia di distanze e comunque non possano dispiegare alcun effetto distintivo la circostanza che si tratti di corpi di uno stesso edificio ovvero di edifici distinti oppure assumere ruolo interpretazioni intorno alle caratteristiche dello spazio interno, quantunque chiostrina o cortile o pozzo luce, specie in zona sismica nella quale occorre in ogni caso garantire l’intervallo di sicurezza.

Nella specie, cioè, lo spazio interno -a chiostrina o cortile che sia- è conseguenza di una nuova realizzazione non a norma per distanze dal confine e dalle pareti finestrate del preesistente edificio R..

5.- Parte appellata oppone ancora: la irrilevanza delle preesistenze edilizie di proprietà R., a suo tempo realizzate a mt. 2,50 dal confine, in quanto asseritamente abusive; la derogabilità pattizia delle norme codicistiche; l’insussistenza di alcun diritto di prevenzione in considerazione della possibilità convenzionale di costruire sino alla linea di confine.

Anche queste tesi non meritano condivisione e vanno perciò disattese.

Come si rileva dalla ricordata CTU e non contestata se non genericamente sotto altri aspetti, il fabbricato R. è stato realizzato in varie fasi, per la maggior parte qui significativa anteriormente al PRG del 1974: il piano terra, come da licenza edilizia n. 1784 del 24 giugno 1965, in arretramento di mt. 2,50 rispetto alla linea di confine; il successivo primo piano in sopraelevazione, conformemente alla licenza edilizia n. 2138 del 1° aprile 1967, con balcone profondo cm. 85 e veduta diretta sul fondo del vicino; la sopraelevazione dell’ulteriore secondo piano, con la concessione edilizia in sanatoria n. 3216 del 12 marzo 1999, secondo la stessa tipologia costruttiva.

Quindi, alla data di decisione della sentenza gravata, la configurazione dei luoghi dal confine era consolidata per mancata opposizione da parte della confinante dante causa ed anche la sopraelevazione del secondo piano legittimata per condono, pure questa non opposta e peraltro inconferente ai fini delle distanze ora in rilievo, senza dire che l’interesse pubblico primario tutelato dalle norme in questione impongono di prendere in considerazione la situazione di fatto quale si presenta in concreto in sede di rilascio del titolo edilizio, a nulla rilevando che taluno dei fabbricati preesistenti, in relazione al quale va calcolata la distanza, sia in ipotesi abusivo, ferma restando l’attività repressiva della p.a., che nella specie neanche ricorre a seguito dell’assentito condono.

Ciò stante, va richiamata consolidata giurisprudenza civile in ordine alla sopravvenienza di norme urbanistiche e relativamente all’applicabilità di un regime edificatorio in deroga convenzionale, secondo la quale:

– in tema di distanze legali nelle costruzioni, le prescrizioni contenute nei piani regolatori e nei regolamenti edilizi comunali, essendo dettate, contrariamente a quelle del codice civile, a tutela dell’interesse generale a un prefigurato modello urbanistico, non tollerano deroghe convenzionali da parte dei privati e tali deroghe, se concordate, sono invalide, né tale invalidità può venire meno per l’avvenuto rilascio di concessione edilizia, poiché il singolo atto non può consentire la violazione dei principi generali dettati, una volta per tutte, con gli indicati strumenti urbanistici (Cassazione civile, sez. II, 23 aprile 2010, n. 9751);

– qualora gli strumenti urbanistici stabiliscano determinate distanze dal confine e nulla aggiungano sulla possibilità di costruire "in aderenza" od "in appoggio", la preclusione di dette facoltà non consente l’operatività del principio della prevenzione, mentre, nel caso in cui invece tali facoltà siano previste, si versa in ipotesi del tutto analoga a quella disciplinata dagli art. 873 e ss. c.c., con la conseguenza che è consentito al preveniente costruire sul confine, ponendo il vicino, che intenda a sua volta edificare, nell’alternativa di chiedere la comunione del muro e di costruire in aderenza (eventualmente esercitando le opzioni previste dagli art. 875 e 877, comma 2, c.c.), ovvero di arretrare la sua costruzione sino a rispettare la maggiore intera distanza imposta dallo strumento urbanistico (Cassazione civile, sez. II, 09 aprile 2010, n. 8465).

Ordunque, nella fattispecie, in cui i signori R. hanno costruito per primi a distanza dal confine ed i signori V. devono edificare sotto il vigore del PRG e del piano particolareggiato vigenti nel Comune di Lucera, la convenzione privata della propria dante causa deve intendersi superata ed essi non possono esimersi dall’osservare il distacco minimo fra fabbricati prescritto dall’art. 21 delle citate NTA al PRG.

6.- Conclusivamente, alla stregua delle considerazioni tutte che precedono, l’appello dev’essere accolto con riforma della sentenza appellata.

Di conseguenza, sussistono evidenti motivi per disporre tra le parti la totale compensazione delle spese di lite relative al doppio grado di giudizio
P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando, accoglie l "appello come in epigrafe proposto, e, per l’effetto, in riforma della sentenza del TAR Puglia n. 1535 del 2007, accoglie integralmente il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese di lite relative al doppio grado di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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