Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 20-01-2011) 05-05-2011, n. 17401 Violenza sessuale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

Svolgimento del processo

Con la sentenza in epigrafe la corte d’appello di Ancona, per quanto qui ancora interessa, dichiarò le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti, ridusse la pena ad anni due e mesi otto di reclusione, e confermò nel resto la sentenza 12.2.2006 del GUP tribunale di Pesaro, che aveva dichiarato I.R. colpevole dei reati di cui: capo A) agli artt. 609 bis e 609 ter c.p. per avere, nel luglio 2004, trattenendola per un braccio, costretto con violenza la figlia del fratello I.S.R., nata il (OMISSIS), e quindi minore degli anni 14, a subire atti sessuali, toccandola nelle parti intime, palpeggiandola sul seno e baciandola sul viso; capo B) agli artt. 609 bis e 609 ter c.p. per avere, nell’estate del 2003, sfregato il proprio corpo contro quello della suddetta nipote, ed averle baciato il viso mentre la bambina dormiva accanto a lui ed alla sorellina.

L’imputato propone ricorso per cassazione deducendo:

1) in relazione al capo B), violazione di legge per insussistenza del reato di violenza sessuale per carenza della connotazione oggettiva, in quanto la sfera sessuale della parte offesa non è stata minimamente attinta dalle condotte contestate che, se mai ci sono state, altro non erano che comportamenti affettuosi ma non incidenti sulla libertà di determinazione sessuale del soggetto passivo.

Osserva che tutt’al più è ravvisabile il tentativo.

2) in relazione al capo B), violazione di legge per mancanza di motivazione avendo la corte d’appello omesso di motivare su quali parti del corpo della minore siano state interessate da baci e abbracci e comunque se le stesse siano zone erogene nonchè su come tali condotte abbiano inciso sulla libertà di determinazione sessuale della presunta vittima.

3) in relazione al capo B), violazione di legge per insussistenza del reato di violenza sessuale per carenza della connotazione oggettiva, per mancanza dello scopo libidinoso del toccamento e per manifesta illogicità della motivazione nella parte in cui ritiene la condotta intrinsecamente libidinosa.

4) in relazione al capo B), violazione di legge per mancanza di motivazione in ordine alla mancata concessione della attenuante del fatto di minore gravità. Lamenta che la corte d’appello ha completamente omesso di esaminare questa istanza della difesa.

5) in relazione al capo A), violazione di legge per il diniego della attenuante del fatto di minore gravità. 6) in relazione al capo A), contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione per il mancato riconoscimento della attenuante della minore gravità del fatto e la contemporanea concessione delle attenuanti generiche prevalenti sulla aggravante, anche alla luce della fugacità e sporadicità degli atti.

7) in relazione al capo A), per illegittimità costituzionale dell’art. 609 bis c.p. per difetto di determinatezza della fattispecie incriminatrice, in relazione alla nozione di libidinosità della condotta e alla nozione di atti sessuali in contrasto con i principi desumibili dall’art. 25 Cost..

8) in relazione al capo B), per illegittimità costituzionale dell’art. 609 bis c.p. per difetto di determinatezza della fattispecie incriminatrice, in relazione alla nozione di casi di minore gravità in contrasto con i principi desumibili dall’art. 25 Cost..
Motivi della decisione

Va innanzitutto dichiarata manifestamente infondata la proposta eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 609 bis c.p. in riferimento all’art. 25 Cost. per indeterminatezza della fattispecie incriminatrice, sia sotto il profilo della nozione di libidinosità della condotta e della nozione di atti sessuali, sia sotto il profilo della nozione di casi di minore gravità.

Ed invero la Corte costituzionale ha reiteratamente affermato che la verifica del rispetto del principio di determinatezza va condotta non già valutando il singolo elemento descrittivo dell’illecito, ma raccordandolo con gli altri elementi costitutivi della fattispecie, nell’ambito della disciplina in cui si inserisce. In particolare, "l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero di clausole generali o concetti elastici, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentali in cui essa sì colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato, permettendo, al contempo, al destinatario della norma, di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo" (cfr. da ultimo sent. n. 327 del 2008; sent. n. 5 del 2004).

Nella specie, appunto, sia la nozione di libidinosità della condotta, sia quella di atti sessuali, sia quella del caso di minore gravità, sono state puntualmente individuate e precisate dalla giurisprudenza alla luce delle finalità perseguite dall’incriminazione e del più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca, sicchè è consentito sia al giudice sia al destinatario della norma di avere una percezione sufficientemente chiara ed immediata del relativo valore precettivo.

Ed infatti, la giurisprudenza di questa Corte ha più volte precisato che, "in tema di violenza sessuale, la nozione di atti sessuali è la risultante della somma dei concetti di congiunzione carnale ed atti di libidine, previsti dalle previgenti fattispecie di violenza carnale ed atti di libidine violenti, per cui essa viene a comprendere tutti gli atti che, secondo il senso comune e l’elaborazione giurisprudenziale, esprimono l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo.

Devono pertanto essere inclusi i toccamenti, palpeggiamenti e sfregamenti sulle parti intime delle vittime, suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale anche in modo non completo e/o di breve durata, essendo irrilevante, ai fini della consumazione del reato, che il soggetto attivo consegua la soddisfazione erotica, (Nel caso di specie, la S.C ha ritenuto che anche i toccamenti delle parti intime o, più in generale, erogene, effettuati sopra i vestiti e gli abbracci accompagnati da toccamenti di parti del corpo della vittima, integrano gli elementi del delitto di cui all’art. 609 bis cod. pen.)" (Sez. 3, 18.10.2005, n. 44246, Borselli, m. 232901). Per tale ragione è stata dichiarata "manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 609 bis c.p., sollevata con riferimento all’art. 3 Cost. e art. 25 Cost., comma 2, atteso che la nozione di "atti sessuali", richiamata dalla norma ai fini della configurabilità del reato di violenza sessuale, altro non è se non la risultante della somma delle previgenti nozioni di "congiunzione carnale" e di "atti di libidine", previste rispettivamente dagli abrogati artt. 519 e 521 c.p., per cui essa viene a comprendere tutti gli atti che, secondo il senso comune e l’elaborazione giurisprudenziale, esprimono l’impulso sessuale dell’agente con invasione della sfera sessuale del soggetto passivo" (Sez. 3, 6.5.2004, n. 35118, Gerboni, m. 229555).

Allo stesso modo, la giurisprudenza ha precisato i limiti della ipotesi di minore gravità del reato di violenza sessuale, affermando che gli elementi soggettivi di cui all’art. 133 c.p., comma 2, non rilevano ai fini della configurabilità di tale ipotesi, "non rispondendo la mitigazione della pena all’esigenza di adeguamento alla colpevolezza del reo e alle circostanze attinenti alla sua persona ma alla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima" (Sez. 3, 15.6.2010, n. 27272, P., m. 247931); e che "ai fini dell’accertamento della diminuente del fatto di minore gravità prevista dall’art. 609 bis c.p., comma 3, deve farsi riferimento, oltre che alla materialità del fatto, a tutte le modalità che hanno caratterizzato la condotta criminosa, nonchè al danno arrecato alla parte lesa, soprattutto in considerazione dell’età della stessa o di altre condizioni psichiche in cui versi" (Sez. 3, 19.12.2006, Sala, m. 236024).

Per il resto i motivi di ricorso si risolvono in censure in punto di fatto della decisione impugnata, con le quali si richiede una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali riservata al giudice del merito e non consentita in questa sede di legittimità, e sono comunque infondati, in quanto la corte d’appello ha fornito congrua, specifica ed adeguata motivazione sulle ragioni per le quali ha ritenuto integrate le fattispecie di reato contestate.

Per quanto concerne infatti il reato di cui al capo B), la corte d’appello ha adeguatamente e congruamente osservato che la natura sessuale degli atti compiuti e dei toccamenti in zone erogene e lo scopo di libidine che li aveva determinati erano dimostrati dal fatto che l’imputato si era strusciato contro il corpo della bambina, l’aveva abbracciata e toccata sulla pancia e l’aveva baciata sulla guancia, e ciò mentre la stessa si trovava ancora a letto accanto a lui e stava dormendo, sicchè non vi era alcuna necessità di manifestazioni affettive. Ciò del resto era confermato dal fatto che la bambina, appena accortasi del comportamento dello zio, si era alzata di scatto e si era allontanata dalla stanza, avendo percepito chiaramente la natura e lo scopo di dette manifestazioni. Poichè gli atti sessuali (abbracci, toccamenti, palpeggiamenti, sfregamenti, baci sulla guancia) hanno investito zone erogene (viso, pancia) e, pur se di breve durata, sono stati compiuti, il reato si è consumato e non è solo rimasto alla fase del tentativo. Esattamente poi la corte d’appello ha ritenuto che siffatte condotte, finalizzate a soddisfare l’istinto sessuale e coinvolgenti zone erogene, avevano inciso sulla libertà di determinazione sessuale della vittima.

I giudici del merito hanno motivatamente escluso la configurabilità del fatto di minore gravità in relazione ad entrambi gli episodi, in considerazione sia della reiterazione del fatto, indicativa di una pervicacia nonostante il trascorrere del tempo, sia dell’atteggiamento di scherno e di sfida nei confronti della vittima, sia del fatto che si trattava dello zio convivente, da cui ci si attendeva un comportamento di protezione e di assistenza e non già un comportamento compromissivo della libertà sessuale, sia delle negative conseguenze fisiche-psichiche sulla bambina, che era stata traumatizzata dal fatto in maniera sufficiente da somatizzarle in forti mal di pancia, passati solo dopo che aveva riferito i fatti alla madre, e da piangere al momento del racconto.

D’altra parte, la giurisprudenza ha ritenuto valida causa di esclusione della configurabilità dell’attenuante della minore gravità del fatto la circostanza che il fatto sia avvenuto nell’ambito di un rapporto fiduciario di affidamento tra l’autore del reato e la vittima (Sez. 3, 12.1.2007, n. 42110, Gioito, m. 238073).

Non sussiste poi alcuna contraddittorietà o illogicità nel mancato riconoscimento della attenuante della minore gravità del fatto e nella contemporanea concessione delle attenuanti generiche prevalenti, che sono state accordate dal giudice di primo grado in considerazione dello stato di incensuratezza e sono state riconosciute prevalenti dalla corte d’appello in considerazione dell’ammissione, sia pure parziale, delle proprie responsabilità, della sporadicità degli episodi e del fatto che il prevenuto si era assoggettato ad un percorso terapeutico. Le attenuanti generiche invero sono state concesse per considerazioni relative ai precedenti penali ed in genere alla personalità dell’imputato, mentre l’attenuante speciale attiene alla gravità del fatto ed alla condotta concretamente posta in essere, e dipende in particolare dalla minore lesività del fatto, da rapportare al grado di violazione del bene giuridico della libertà sessuale della vittima.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione dichiara manifestamente infondata la proposta questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 609 bis c.p..

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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