Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 19-01-2011) 05-05-2011, n. 17400 Reato continuato e concorso formale

Sentenza scelta dal dott. Domenico Cirasole direttore del sito giuridico http://www.gadit.it/

à del ricorso.
Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con sentenza del 22 aprile 2010 la Corte di Appello di Salerno confermava la sentenza emessa dal Tribunale di Salerno in data 19 dicembre 2007 con la quale A.G. – imputata del reato di cui all’art. 81 cpv. c.p. e L. n. 638 del 1983, art. 2 – era stata condannata alla pena (condizionalmente sospesa), previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, di mesi quattro di reclusione e Euro 350 di multa.

Ricorre avverso la detta sentenza la difesa dell’imputata, deducendo carenza assoluta di motivazione in punto di quantificazione della pena e omessa motivazione anche in ordine a quanto rappresentato dalla difesa nei motivi di appello relativamente all’elemento soggettivo del reato, alla luce di analitiche circostanze rassegnate nell’atto di appello, ma non esaminate dalla Corte.

Il ricorso è fondato soltanto in parte.

Invertendo per ragioni di priorità logica l’ordine di esposizione dei motivi di ricorso, va ritenuto infondato il motivo concernente l’omesso esame da parte della Corte territoriale della doglianza contenuta nei motivi di appello in merito all’assenza in capo all’imputata dell’elemento soggettivo del reato.

Va, in questa sede, ribadito il principio in forza del quale la struttura motivazionale della sentenza di appello, laddove le due pronunce di primo e di secondo grado risultino concordanti nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a base delle rispettive decisioni, si salda e si integra con quella precedente di primo grado (Cass. Sez. 1, 26.6.2000 n. 8886; Cass. Sez. 1, 2.10.2003 n. 46350), con la conseguenza che è pienamente legittima una motivazione per relationem, peraltro, nel caso di specie non esauritasi nel mero richiamo alla sentenza del GUP, ma estesa anche all’analisi della condotta omissiva in concreto tenuta dall’ imputata, giudicata contra legem in modo coerente e logico anche sul versante dell’elemento soggettivo richiesto per l’integrazione della fattispecie.

La difesa della ricorrente, in particolare ha sottolineato come, a fronte di alcune specifiche censure riguardanti il profilo soggettivo del reato (affidamento ai consulenti del compito di effettuare i versamenti; sussistenza di una situazione di credito legittimante un conguaglio; ascrivibilità della condotta ai consulenti esterni della società, peraltro fuorviata da una erronea interpretazione della normativa di settore oltremodo complessa; età avanzata dell’imputata inconciliabile con il dolo richiesto dalla norma incriminatrice;

mancato esame di tali profili da parte del GUP), la Corte di merito si sia sottratta all’obbligo specifico della motivazione. Detto assunto non ha pregio posto che la Corte di Appello ha – seppure in forma indiretta -individuato precisi elementi di responsabilità anche sul piano della consapevolezza diretta da parte della A., nella sua specifica veste di amministratore della società, della illiceità della condotta desumendoli, razionalmente e convincentemente, dai modelli DM 10 utilizzati per la denuncia contributiva e contenenti l’elenco analitico dei lavoratori impiegati e l’indicazione delle retribuzioni da costoro percepiti: modelli ricondotti direttamente alla A. quale soggetto datore di lavoro.

Inoltre, proprio con riguardo ad un possibile errore di fatto dedotto con i motivi di appello, la Corte territoriale ha decisamente escluso che le norme previste in materia contenessero elementi tali da fuorviarne l’interpretazione, così ribadendo – sotto tale peculiare aspetto – la sussistenza del dolo richiesto.

Ma vi è di più: diversamente da come sostenuto dalla difesa della ricorrente la Corte ha analizzato in modo specifico l’aspetto relativo ad un possibile diritto al conguaglio, escludendolo sulla base di una argomentazione immune da vizi logici ed anzi del tutto coerente con il dato normativo che impone un obbligo di versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali ai sensi della L. n. 638 del 1983, art. 2, richiamando, anche in questo caso, l’orientamento giurisprudenziale che impone tale tipo di comportamento al datore di lavoro.

Diffusamente, quindi la Corte di Appello si è soffermata sui vari profili della condotta posta in essere dall’imputata, prendendo in esame tutte le censure sollevate con l’atto di appello, ivi comprese quelle riguardanti l’aspetto soggettivo del reato, asseritamente pretermesse secondo il giudizio della ricorrente.

E’ fondato, per contro, il primo motivo di ricorso, posto che con l’atto di appello era stato sollecitato dalla difesa il contenimento della pena entro i limiti minimi edittali, attese le ragioni dell’età e la modesta entità del fatto.

Nulla, sul punto, è dato leggere nella sentenza impugnata, essendosi così la Corte di Appello sottratta a specifico obbligo di motivazione in merito alla determinazione della pena ed alle ragioni per le quali si è ritenuto di negare ingresso alla istanza difensiva volta ad u ridimensionamento della pena originariamente inflitta:

obbligo tanto più necessario in relazione alle specifiche circostanza esposte a sostegno della relativa doglianza. Si impone, sul punto, annullamento con rinvio ad altra Sezione della Corte di Appello, per nuovo esame sul punto, mentre, per il resto, va rigettato il ricorso.
P.Q.M.

Annulla con rinvio la sentenza impugnata al Tribunale di Napoli limitatamente alla determinazione della pena. Rigetta nel resto.

Testo non ufficiale. La sola stampa del bollettino ufficiale ha carattere legale.

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